La formazione della catena himalayana è stata chiarita dopo l’avvento della teoria della tettonica a zolle, che ha permesso di dimostrare come la formazione dell’Oceano Indiano risalga a circa 100 milioni di anni fa. L’India era allora attaccata all’Africa orientale e separata dall’Asia da un oceano largo quasi quanto l’Atlantico attuale, la Tetide. Durante la rapida deriva verso nord del continente indiano, il fondo marino della Tetide veniva via via inghiottito al di sotto del margine asiatico, mentre l’oceano poco a poco si restringeva. L’inevitabile scontro tra i due margini continentali avviene circa 55 milioni d’anni fa, quando l’Himàlaya cominciò a sollevarsi. L’area dove si estendeva la Tetide è ancora oggi riconoscibile all’interno della catena himalayana, segnata da una zona di sutura che separa il margine attivo della zolla asiatica dal margine passivo della zolla indiana.
La sutura è una fascia larga circa 10 chilometri che segue l’andamento della catena, dove affiorano gli ultimi resti degli immensi fondali della Tetide scampata alla subduzione e non ancora erosi dopo essere stati coinvolti nella collisione. Questo lineamento di grande importanza geologica segna i confini fra la penisola indiana e il resto dell’Asia per 5000 chilometri, dal Pakistan, dove giunge fino all’Oceano Indiano presso Karachi, fino alla Birmania, dove si collega all’arcipelago indonesiano attraverso le isole Andamane e Nicobare. A nord della sutura, che segue per lunghi tratti l’alto corso dei fiumi Indo e Yarlung (il nome locale del Brahmaputra) si trova la zona del «Transhimalaya», dove affiorano i resti di un arco vulcanico rimasto attivo fino alla collisione. Ancora più a nord si estende l’altopiano del Tibet.
A sud della zona di sutura, nella zona della Tetide himalayana, affiora la successione sedimentaria accumulatasi sul bordo meridionale della Tetide durante la lunga storia geologica dell’India, e quindi si incontra la catena dell’Alto Himàlaya, il tetto del mondo. A sud della catena principale si ritrovano i monti dell’Himàlaya Inferiore, formati da rocce sedimentarie molto antiche, e quindi le colline del «Subhimalaya», costituite da sedimenti fluviali che hanno iniziato a sollevarsi solo in tempi molto recenti. Troviamo infine le grandi pianure solcate dai fiumi Indo e Gange dove si accumulano i detriti prodotti dall’erosione delle montagne himalayane, ancora oggi in rapido sollevamento. Lo scudo indiano, costituito da antichissime rocce ignee e sedimentarie, comincia ad affiorare solo a sud di Delhi, mentre si trova infossato a profondità di diversi chilometri ai piedi della catena.
Da sud a nord si suole distinguere alcune catene di montagne che formano diverse unità geologiche. Dal punto di vista morfologico le colline formano il punto di transizione fra l’altopiano indo-gangetico e l’Himalàya. Sul piano geologico esse sono formate da un materiale di erosione giunto dalla catena himalayana in forma di conglomerati (ebolitite) consolidati da un cemento, gres e marne.
Ad ovest, fra l’Indo ed il Sutlej, le colline Siwalik sono larghe 150 chilometri; ad est, in Bhutan sono pressocché completamente erose. La loro altezza varia dai 1.000 ai 2.000 metri. Salendo dalle piane verso Dharamsala o verso Jammu, oppure nelle colline fra i fiumi Ravi e Chenab, il paesaggio è modellato da rileivi fortemente scavati dall’erosione dei fiumi ed interrotti da strati asportati. L’erosione mostra banchi di conglomerati ed ha ricavato un paesaggio di strati scanalati. Gole brevi e strette, sistemi idrografici ramificati e isoclinali ben visibili. Gli insediamenti umani si trovano nelle vaste depressioni e fra gli anticlinali.
Le pendici himalayane, dette anche Himàlaya inferiore, si compongono di varie catene che si alzano improvvisamente in falesie che sovrastano le Siwalik, raggiungendo anche i 4.500 metri di altezza. Ad ovest il Pir Panjal fra Jammu ed il Kashmir, in Himachal Pradesh il Dhaula Dhar, in Nepal le Mahabharat Lekh. Le strutture geologiche di queste catene non sono ancora state completamente rilevate. Nell’insieme si notano strati orizontali che ricoprono i conglomerati del Siwalik in tempi assai recenti con uno scavalcamento marginale. Nell’Himàlaya centrale ed orientale sono rari i depositi fossili, ciò non permette un’agile stratificazione.
Per contro nell’Himalàya occidentale a contatto con masse cristalline arcaiche (precambriano) si osservano masse di sedimenti dell’antica Tetide. Nel Pir Panjal abbiamo una serie di depositi pressocché ininterroti dal carbonifero all’eocene. Fra queste catene e la Grande Himàlaya, si estende una zona di media montagna caratterizzata da valli strette ed incassate con versanti ripidi. Questo paesaggio è caratteristico dell’Himachal Pradesh fra Kangra e Simla, ed in Nepal dove è chiamato Pahar. Bacini più o meno vasti, come la Valle di Srinagar o Kathmandu, si alternano a queste zone di media montagna.
La catena principale è costituita soprattutto da rocce metamorfiche e magmatiche (graniti e gneiss). Banchi di sedimenti sono rari. Secondo Toni Hagen, la massa roccioso che compone la nappa o placca del Khumbu, dove troviamo le vette più alte, rappresenta la base della zona sedimentaria tibetana.
Disposta a nord della catena principale, oltre all’Indo Bramaputra è composta da sedimenti in strati dell’antico mare Tetide. Sotto l’influsso di un clima arido l’erosione fluviale è scarsa e le montagne si sgretolano lentamente sotto l’azione meccanica del vento.
I differenti tipi di clima che regnano sul grande arco della catena himalayana influenzano, in modo decisivo, le caratteristiche non solo del paesaggio e della vegetazione ma anche il genere di vita degli abitanti.
Monsone deriva dall’arabo mausim, stagione, a ricordo dei venti stagionali che favorivano il commercio fra Arabia e porti africani. Nel corso dell’anno l’oceano Indiano ha una temperatura costante attorno ai 25° . Nei mesi invernali la massa continentale asiatica si raffredda velocemente ed aumenta la pressione atmosferica sul continente. La differenza di temperatura e di pressione favoriscono la formazione di correnti d’aria che soffiano da nord-est in direzione dell’oceano dove si instuara una pressione più bassa. Questi venti, freddi e secchi (monsone d’inverno), portano in genere bel tempo sull’Himàlaya centrale ed orientale.
In estate avviene il procedimento inverso. La massa continentale si riscalda fortemente. La pressione atmosferica sulla terra ferma diminuisce mentre sull’oceano Indiano si forma una zona relativamente più fredda con alta pressione. L’aria marina umida proveniente da sud-ovest raggiunge gradualmente il continente e produce le cateratte del monsone estivo. Himàlaya occidentale e Karakorum che non sono interessati da questo fenomeno.
Oltre ai ben conosciuti venti monsonici, i meteorologi hanno individuato, negli ultimi anni, altri fenomeni atmosferici approfondendo la conoscenza delle correnti d’alta quota. Gli alisei, venti costanti che soffiano sia a sud che a nord dell’equatore, nell’emisfero boreale (il nostro) soffiano da nord-est sulla c.d. zona di convergenza intertropicale. Questa fascia di bassa pressione genera forti precipitazioni ed è di origine termica, essa dipende, dalla posizione del sole che determina le cosiddette precipitazioni zenithali. Attorno al 21 giugno il sole è sul tropico del Cancro. La zona di convergenza, con bassa pressione e pioggia, si sposta verso nord fin sulla catena himalayana. Qui si scontrano venti caldi tropicali e correnti aeree relativamente fredde e non tropicali. Si determinano così le condizioni per avere il record di precipitazioni, detenuto dall’Assam nell’estremo oriente dell’Himàlaya, dove si sommano piogge monsoniche e piogge zenithali.
In inverno la zona di convergenza si sposta a sud dell’equatore. In questa stagione il jetstream, che soffia fra i 9.000 ed i 10.000 metri con velocità di 300 km/h, si sposta pure verso sud ed abbandona ul cuore del continente asiatico per posizionarsi sopra l’Himàlaya.
L’Himàlaya centrale e quella orientale (Nepal, Sikkim, Bhutan, Assam) «godono» di un clima monsonico caratterizzato da abbondanti piogge estive e da inverni secchi. Quanto all’Himàlaya occidentale (Kashmir, Himachal Pradesh) si trova in inverno sotto l’influenza di una depressione mediterranea con venti predominanti da ovest. Ma mentre le precipitazioni sono relativamente più abbondanti in Kashmir nel periodo gennaio maggio, per poi riprendere lievemente in agosto, in Himachal Pradesh esse sono più abbondanti in luglio-agosto con l’arrivo del monsone. Aldilà della catena himalayana, in Lahul, Zanskar, Ladakh, come in Hunza ed in Tibet il clima desertico porta ad un’assenza di precipitazioni sia in inverno che in estate.
Grazie a varietà del monsone ed ai differenti livelli di altezza possiamo quindi distinguere alcune fasce climatiche:
clima tropicale: ai piedi dell’Himàlaya caratterizzata da savane con estati torride ed inverni dolci.
clima subtropicale: anche aldilà dell’Himàlaya inferiore, nei bacini di Srinagar o di Kathmandu, con estati calde ed inverni freddi e temperature attorno allo zero.
clima alpino: fino a 4.500 metri di altezza, con temperature diurne assai elevate in estate oscillanti fra i 10° ed i 20° gradi, le notti sono sempre fredde. È solo in luglio ed in agosto che le notti sono sopra lo 0°. La neve può fare la sua comparsa in qualsiasi periodo dell’anno.
clima polare: è il clima delle grandi altezze con temperature che, grazie anche al vento, possono scendere a -50°.
La disposizione geografica crea zone con microclimi particolari. Ne è un esempio Leh, posta in un’ampia valle a 3.500 metri dove ci si aspetterebbe basse temperature notturne. Il vento monsonico da sud, scaricata l’umidità sulla catena e sullo Zanskar è invece caldo, molto simile al foehn delle valli alpine settentrionali. Altro esempio di microclima è la scarsa piovosità di Srinagar protetta dal Pir Panjal contro le nubi del monsone.
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