N° 10 |
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Dicembre
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In questo numero: Editoriale Diritto di replica 2002 anno della montagna Notizie dal Tibet Notizie dal Ladakh Notizie dal Nepal Albania Italia USA Unsubscribe Note - Disclaimer | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Sommario | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Editoriale | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Diritto di replica | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
2002 anno della montagna | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Tibet | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Ladakh | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nepal | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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Albania Italia
Usa Quando gli Albanesi eravamo noi |
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Editoriale | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Un po' di silenzio I mesi passano velocemente. Alcuni amici mi hanno scritto preoccupati: non ricevevano più questa news letter e mi chiedevano di reinserirli nell'indirizzario. Nessuno è stato cancellato, ma più semplicemente non ci sono state news letter in tutti questi mesi. Notizie e commenti sono comparsi in altra forma nei vari notiziari come Tibet News on Line, nella rassegna stampa su Kashmir e Ladakh ed in quella sul Nepal. Sono attività che assorbono tempo ed energie, piccoli impegni che devo conciliare con quelli lavorativi, fortunatamente numerosi ma ancora interessanti, con quelli istituzionali in Italia Tibet ed in Aiuto allo Zanskar, e soprattutto con quelli familiari che ritengo prioritari. Non mi rimane che formulare a tutti i migliori auguri per questo 2003 che si avvicina inesorabile.
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Diritto di replica | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Subito dopo l'uscita del numero 8 avevo ricevuto una lettera che
pubblico ora volentieri. Non dubito sulla purezza della mente che ha
ideato questo progetto definita da me "mente balzana". Mi lascia
perplesso il gigantismo di una statua che mi sembra faraonica, ma
poiché il tutto favorirà le genti del Bihar, mi auguro che il
progetto proceda al meglio.
Firenze, 4 Febbraio 2002 Poiché sono il coordinatore per l’Italia del Progetto, credo di doverLe alcune informazioni, che La prego di leggere qui di seguito. Lo scopo del Progetto Maitreya (P.M.) è quello di beneficare il maggior numero di persone, per il tempo più lungo possibile, in campo spirituale, economico e sociale. Per questo il P.M. prevede la costruzione a Bodhgaya di un ospedale di livello internazionale, di una scuola fino ai corsi universitari e di una statua di Buddha Maitreya (il prossimo Buddha, secondo i buddisti) alta 500 piedi (152,4 m.) inserita in un vasto parco pubblico di 16 ettari. L’importanza e l’utilità dell’ospedale e della scuola, che serviranno una ampia area completamente sprovvista, credo non abbiano bisogno di commenti. Per quanto riguarda la statua, invece, è normale che qualche spiegazione sia necessaria.
L’idea di costruirla fu di un grandissimo Maestro ora scomparso, Lama
Thubten Yeshe, uno dei principali artefici della diffusione del
buddismo Mahayana in occidente e fondatore, in Italia, dell’Istituto
Lama Tzong Khapa a Pomaia e di molti altri Centri buddisti. I benefici che il P.M. porterà in campo spirituale, sociale, della salute e dell’istruzione mi pare non necessitino di essere sottolineati. Per quanto concerne quelli economici, il P.M. porterà investimenti per 195 milioni di dollari U.S.A. in 5 anni, in una delle zone più povere dell’India, dove la situazione degli abitanti è per lo più miserevole e dove non esistono le condizioni per l’impianto di industrie significative né risorse naturali. Le uniche opportunità di lavoro sono rappresentate dal turismo e da una limitata agricoltura. L’attuazione delle strutture del P.M. e la loro successiva gestione porteranno nuovi posti di lavoro. Inoltre, il Progetto promuoverà, in modo forte e continuativo, il turismo nella regione. La statua ed il parco in cui sarà inserita, con oltre un milione di opere d’arte di significato religioso che li guarniranno, eserciteranno una forte attrazione, non solo di ordine spirituale, ma anche turistico, poiché una “meraviglia” di questo tipo e di questa portata non esisterà in nessuna parte del mondo. È previsto un fortissimo, sostanziale aumento del turismo nel luogo. Pensi che le autorità aeroportuali indiane, per il solo fatto di sapere che il progetto sarà realizzato, hanno già deciso di rinnovare e riaprire il già esistente aeroporto di Gaya, precedentemente in disuso (situato a 6 Km dal luogo del P.M.), e di trasformarlo in aeroporto internazionale. L’aumento consistente delle correnti turistiche attirerà nuovi capitali e investimenti nella regione, determinando il sorgere di ulteriori posti di lavoro e benefici che aumenteranno con il conseguente incremento delle infrastrutture, dei servizi e del turismo. Tutto ciò non è una speranza ma il frutto di concrete previsioni fondate su ragionamenti di tipo economico-finanziario. S.S. il Dalai Lama conosce il Progetto, lo ha molto apprezzato e ne ha visitato il luogo. In attach Le allego un articolo apparso su “SIDDHI”, la rivista dell’Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia, che dà conto di questa visita. Spero di averLe fatto cosa gradita con questa lunga “chiacchierata” sul P.M. Resto, comunque, a Sua disposizione per qualunque informazione Lei possa desiderare. Lei può anche, se lo vuole, visitare il sito web del P.M. in lingua italiana, che è http://www.maitreyaproject.it/italy.htm. La prego si scrivermi, se lo desidera, al mio indirizzo e-mail omissis. La ringrazio per l’attenzione e Le porgo cordiali saluti. prof. Marcello Torrigiani |
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2002 anno della montagna- la montagna di chi? | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Tempo addietro mi ero interessato per ottenere il patrocinio dell'organizzazione 2002 Anno Internazionale della Montagna ad una mia serata. Con sorpresa avevo trovato un lunghissimo modulo da compilare con impegni anche economici da sottoscrivere, come: 2) Offrire ospitalità completa, full credit, compreso viaggio A/R ad almeno tre rappresentanti del Comitato Italiano per la partecipazione alla presentazione stampa e/o alla cerimonia di inaugurazione o all’effettuazione della manifestazione stessa. Pur comprendendo la necessità del Comitato Italiano di volersi difendere da un uso improprio del logo, questi vincoli mi avevano infastidito e un po' insospettito. Mi ero rivolto direttamente alla FAO a Roma ed avevo ottenuto in automatico patrocinio ed autorizzazione ad usare il logo. Ma ancor più mi aveva incuriosito una em@il spedita agli amici da Paolo Vitali e da Sonia Brambati, i due ragazzi terribili dell'alpinismo italiano. Paolo e Sonia segnalavano un sito che affrontava l'argomento AIM in Lombardia: "l'articolo è online al seguente indirizzo http://www.gscot.org/smonda/33/index33.htm
da questa pagina clicca a sinistra sul titolo:
"Lassù sulle montagne della Regione". Purtroppo la discussione a
riguardo, proposta su internet dal sito di Alpinia è stata subito
chiusa dopo le minacce di querela di Da Polenza alla redazione di
Alpinia!!........ no comment!" Il prossimo anno sarà il 2003 anno dell'acqua. Chissà che bevute... |
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Tibet | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Monaci in salsa | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Ho iniziato a lavorare con monaci tibetani nel giugno dell'anno scorso in Francia. AaZ, assieme ai centri buddhisti di Tolosa e Carcassonne, aveva ospitato alcuni monaci di Gyuto, il monastero tibetano, famoso in patria ed in esilio, per le le vocalizzazioni. Francamente alcune cerimonie, svolte su un palco, davanti ad una platea di commensali, mi aveva lasciato perplesso. Ma questo può essere solo imputato a noi organizzatori. In luglio con gli stessi monaci avevo percorso i sentieri dell'Appennino con la Marcia per il Tibet. Claudio Tecchio, rappresentante di Italia e Francia in seno alla grande rete mondiale dei Tibet Support Group, era riuscito a procurare per lo "spettacolo" serale delle ambientazioni degne e consone. Il Teatro Romano di Fiesole, con il declinare delle colline lentamente sparite nelle brume del tramonto e poi punteggiate di luci, era stato il degno coronamento della marcia. Nei mesi successivi, sul web, ho cominciato ad incontrare monaci qui e là. Giornalmente, preparando la rassegna stampa per Tibet News on Line, vedevo spuntare una cerimonia in un paesino, un'altra in una città famosa. Ho calcolato che contemporaneamente in Italia fossero presenti almeno tre troupe di monaci della diaspora, cui si aggiungevano anche una troupe proveniente dal Tibet occupato ed anche una di "monaci" guerrieri, o meglio dire forse saltimbanchi, di Shiao Lin. Monaci in salsa new age, come una pummarola ottima a condire ogni piatto. Cerimonie e puje, mandala di sabbia ed Om, addirittura monaci in vetrina... Spesso neppure una parola spesa per il Tibet... Atteggiamento pienamente comprensibile per monaci che vivono lo stato di rifugiati... un po' meno per gli organizzatori. Sicuramente puje benefiche per tutti gli esseri senzienti, ma anche incongruenze e dubbi.
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Le notizie più recenti da | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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Ladakh | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Numerose
adesioni al progetto Riscaldiamo un'aula in Himalaya |
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Lanciata nel corso di Immagimondo 2002 nel primo weekend di Ottobre, l'iniziativa di Aiuto allo Zanskar per dotare di riscaldamento la Lamdon Model High School in Zanskar sta procedendo con ottimi risultati. Nel corso della manifestazione (nei padiglioni della Fiera di Osnago) sono stati raccolti fondi sufficienti ad acquistare un kit completo (stufa, bombole e cauzìone bombole. Una seconda raccolta è stata organizzata dagli amici di Avventure nel Mondo di Padova, Un ringraziamento ad Avventure - Viaggi nel Mondo di Roma che ha coperto le spese per l'organizzazione della serata. L'appello Riscaldiamo un'aula in Himàlaya, pubblicato sul precedente n° 9 di questa News Letter ha raccolto adesioni fra i lettori. Due sponsorizzazioni complete sono state offerte da Isabella Gerosa ed Anna Cuva. Contributi sono giunti anche dai soci di AaZ, già impegnati nel sostenere agli studi una ragazza o un ragazzo nella grande valle dello Zanskar. Grazie a tutti, per il bellissimo regalo |
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Rassegna stampa su Kashmir e Ladakh (da Himàlaya on line) | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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Nepal | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Una rassegna stampa (sempre a cura di marco vasta) | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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Albania Italia Usa Quando gli Albanesi eravamo noi |
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18 ottobre 1912 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nonno Giovanni e nonna Iginia avevano chiamato la loro primogenita America, come la speranza di una vita migliore. Non più carbonai in Maremma ma minatori in Pennsylvania... 90 anni fa, il 18 ottobre 1912 Iginia ed America sbarcavano a Ellis Island dal piroscafo Taormina. Provenivano da Genova dove si erano imbarcate il 3 ottobre.
Provenivano da Valdibure (allora provincia di Firenze, ora di Pistoia) e diligentemente furono incluse nella categoria degli italiani del sud.
In pochi giorni raggiungevano Giovanni che le aveva precedute in cerca di lavoro. America era la prima di 11 figli, alcuni morti in miniera, altri nella guerra del Pacifico. Come Giovanni, Iginia, America, lo zio Bista, tra il 1876 e il 1976, in 100 anni, dall’Italia se ne sono andati 27 milioni di esseri umani. Non erano "alieni" erano nostri padri, nonni, cugini, compaesani, per buona parte analfabeti, ma con tanti sogni e speranze. Giovanni, Iginia, America, lo zio Bista, ormai appartengono a quell'enorme buco nero nella memoria in cui vorremmo ricacciare loro e tutti gli immigrati che giungono in Italia. |
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Quando gli Albanesi eravamo noi | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nei mesi scorsi, per caso, ho assistito in TV ad uno dei tanti talk show: che amarezza ascoltare Leo Gullotta che leggeva i passi di un libro e guardare l'espressione sprezzante dei razzisti di turno che lo ascoltavano con aria annoiata. Gullotta leggeva brani tratti da L'orda, recentemente pubblicato da Gian Antonio Stella. Un libro che ripropone tutti gli stereotipi diffusisi in Italia a partire da un enorme vuoto nella nostra memoria collettiva. Stella ha effettuato una ricerca che attenti lettori hanno definito "straziante" perché ripercorre la storia dell’emigrazione italiana all’estero e quindi è anche un fare i conti con se stessi (Stella è veneto, di quel Veneto che oggi non ricorda, nega o – peggio – idealizza tempi che certo non meritano tale sorte), con i propri padri e quindi anche con il proprio futuro. «La feccia del pianeta, questo eravamo. Meglio: così eravamo visti. Non potevamo mandare i figli alle scuole dei bianchi in Lousiana. Ci era vietato l’accesso alle sale d’aspetto di terza classe alla stazione di Basilea. Venivamo martellati da campagne stampa indecenti contro questa maledetta razza di assassini», scrive Stella nell’introduzione. Stella racconta con brutalità. Tutto ciò che noi oggi addebitiamo agli immigrati extracomunitari, tutte le malefatte di cui li accusiamo, tutte, nessuna esclusa, le abbiamo vissute anche noi. Esempi documentati non mancano. Anche noi abbiamo venduto i bambini per fame, li mettevamo in mano a negrieri che li affamavano ancora di più per stiparli meglio nelle navi. Abbiamo riempito di giovani donne i bordelli del città del nord Africa dove queste arrivavano pensando di andare a fare le cameriere e in breve si trovavano vendute ai ricchi locali che le cercavano soprattutto bionde. E possibilmente bambine. Accusiamo gli immigrati di rubare il pane? Lo abbiamo fatto ovunque. Di far lavorare i bambini? Fatto anche questo. Di fare troppi figli? Gli Italiani in Australia arrivano spesso a dieci figli per famiglia. Abbiamo esportato criminalità organizzata a quintali ed i passeur sulle Alpi avevano la tradizione di sbattere giù dai burroni i connazionali che guidavano all’estero. Esattamente come gli scafisti magrebini o gli albanesi oggi. E terroristi? Si, anche terroristi: un italiano fece saltare in aria Wall Stret 80 anni prima di Bin Laden: 32 morti e 200 feriti.
Le popolazioni dove emigravamo ci vedevano esattamente come oggi gli molti italiani vedono gli stranieri: babis (rospi), blackdago (accoltellatori neri), guinea (africani), mafia-mann (non occorre traduzione), katzelmacher (fabbrica gatti, ovvero persone che fanno figli in numero altissimo come i gatti). Per non parlare poi delle vignette apparse all’epoca sui giornali stranieri e che Stella riporta nel suo volume che ci descrivevano come scimmie, topi di fogna. La sorte di questi connazionali non fu molto diversa da quella degli emigrati di oggi, spesso costretti a vivere di espedienti, in condizioni di salute ed igiene precarie, in bilico perenne tra onestà e delinquenza. Gian Antonio Stella la racconta con la chiarezza e l’attenzione per i particolari del giornalista esperto e con il tono forte e indignato di chi si ribella al «fetore insopportabile di xenofobia che monta, monta in una società che ha rimosso parte del suo passato». Stella sostiene che la generazione degli "schei" (soldi, in dialetto veneto, titolo di un precedente libro di Stella dedicato alla generazione dei nuovi veneti, tutti dediti alle loro fabbrichette del mitico nord-est) ha compiuto una enorme e radicale rimozione sulla quale ha costruito una pretesa superiorità nei confronti dei nuovi cittadini che vivono nelle nostre città. E a chi volesse farlo, anche in rete, consiglierei una
visita al sito
www.ellisisland.org. Forse troverete qualche parente, qualche
compaesano, emigrati in compagnia di Umberto Bossi, Giulio Tremonti,
Roberto Maroni. Cercare per credere! |
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