Nascita di una nazione

Non è facile per il turista individuare l'anima della nazione pakistana. In genere essa si delinea attraverso l'incontro con le genti del nord e questo porta a confondere lo spirito battagliero ed indomito delle tribù o la vita ritirata delle popolazioni dei northern territory con l'identità di tutta una nazione.
D'altro canto spesso, specie nel sud, verrebbe la tentazione di definire il Pakistan "tout court" una regione dell'India di religione musulmana. Il legame fra la Repubblica Islamica del Pakistan e la Bharat India, la grande madre India, sono sicuramente esistenti: non si possono negare millenni di storia, ma è la religione islamica che ha modellato questa nazione e le che le conferisce una sua identità ben precisa.
Al nostro spirito laico, che guarda con fastidio ogni manifestazione di integralismo, è difficile comprendere come una religione possa talmente permeare una società da influenzarne l'identità. I semi di questa identità islamica risalgono a secoli or sono, quando Arabi e prima, e poi Turchi, conquistarono il continente. Su questa ventata esterna si conglomerarono la comunità musulmana composta da Arabi, Afghani, Turchi Moghul, i discendenti dei primi invasori e la popolazione indigena.
Ma la diffusione della "vera fede" si estende ben oltre l'India fino alle isolette dell'estremo sud est asiatico. La comunità islamica, così come si sviluppò in Asia, non era né compatta né organica. Per questo nei secoli i fedeli svilupparono una propria cultura sotto la spinta di forze di coesione interne ed esterne alla comunità religiosa.
In primo luogo l'Islam, non riconoscendo distinzione di nascita o di luogo, si presentava non come adesione formale ad un credo ma come la partecipazione ad una comunità. Questo si scontrava contro il sistema delle caste, ed i musulmani vennero considerati come intoccabili, il che cementò ulteriormente i legami fra i fedeli.
In secondo luogo, secoli dopo la grande unificazione di Ashoka, frantumatasi nel tempo, i musulmani diedero al subcontinente una parvenza di unità politica in uno stato dove le capitali provinciali replicavano lo stile della capitale centrale. Questa nuova civilizzazione era basata più sulle città che sulle campagne e gli insediamenti musulmani erano colonie in un territorio ostile.
Infine la religione musulmana, con i suoi principi ed i suoi santi, i primi fortemente radicati nella coscienza del credente, i secondi con il loro umanesimo, agirono non solo da legame fra i fedeli ma anche da radice alla comunità indo-musulamana.
Possiamo quindi delineare una comunità musulmana che si stende sul sub-continente ed in continuo sviluppo fino al 18<198> secolo. L'occupazione inglese fu un trauma per i musulmani indiani. Soggetti per la prima volta ad un dominio straniero ed estraneo, i musulmani si rinchiusero dapprima nella propria comunità. Ma dopo l'insurrezione del 1857 nuove idee iniziano a lievitare. In un primo momento i progressisti vedono nella collaborazione con l'apparato burocratico ed amministrativo un'occasione per rivalutare la posizione dei musulmani, ma le delusioni portarono ben presto all'idea di una nazionalità mussulmana ben distinta dalle altre nazionalità del subcontinente.
Per comprendere quindi il Pakistan occorre comprendere l'islam, ma ciò non è facile. Gli orientalisti amano distinguere due contraddittorie ed esclusive alternative di musulmani e relative società: "modernisti occidentalizzati" e "tradizionalisti fondamentalisti", per cui i primi sono visti come liberali, umanisti, progressisti mentre i secondi sono fanatici e retrogradi. Queste etichette, applicabili alle nostre democrazie occidentali non sono riproponibili per una realtà politica e sociale, ben lontana dalla nostra.
E' meglio parlare di due differenti modi di vivere la fede islamica per comprendere i quali possiamo compiere alcuni confronti fra personaggi storici: l'imperatore Auramgzeb ed il fratello Dara Shikoh, il presidente Ali Bhutto ed il generale Zia.
Aurangzeb, ortodosso, legalista, fedele all'Islam con accenti di enfasi verso l'ummah, cioè la comunità dei fedeli, scoraggiò le arti e sostenne gli ulema. La sua ortodossia si mostrò anche nel respingere ogni esteriorità, rifiutando i vestiti di seta, le insegne dorate, o respingendo innovazioni come l'adozione dell'anno solare. Le sue letture favorite erano il Corano e gli scritti di Al-Ghazzali. Tutto il contrario del fratello Dara Shikoh la cui opera sarebbe stata sincretista ed eclettica, pur rimanendo nell'Islam. Il suo sogno di un umanesimo universalistico, lo portò ad incoraggiare l'arte nelle sue varie forme di espressione, nel criticare il potere clericale ("Il Paradiso è qui, dove non vi sono mullah"). La sua vita si svolse in compagnia di yogi e sanyasi sia Sufi che Hindu e si racconta che il suo anello portasse incisa la parola "Prabhu", che in sanscrito indica dio. Patrocinò la traduzione delle Upanishad e del Bhagavadgita in lingua persiana, le sue letture preferite erano quelle dei mistici. Desiderò allargare l'Islam sincretizzando l'arcangelo Michele con Visnù, Adamo con Brahma.
Non possiamo parlare quindi di due tipi di Islam contrapposti ma di due diversi aspetti della stessa religione.
Questo contrasto si ritrova appieno nelle personalità di Zulfikar Ali Bhutto e di Zia. Bhutto e Dara: entrambi eclettici e sincretisti. Mentre Dara voleva inglobare l'Induismo nell'Islam, Bhutto cercò di esercitare un sincretismo sull'ideologia rivale del socialismo, proponendo un concetto di "socialismo islamico". Egli mostrò una propensione per gli strati meno abbienti ricordata dalla sua devozione per il santo Qalandar, detto "il santo dei poveri". Tanto che il dhammal, inno devozionale verso il santo, veniva spesso suonato nelle udienze e negli incontri pubblici, accompagnando con battiti di mani e danze la comparsa del primo ministro.
In sintesi Bhutto presentava una propria visione "mistica" ed informale dell'Islam, visitando i santuari dei Sufi, assumendo una personalità stravagante agli occhi dei tradizionalisti, bevendo alcoolici ("bevo alcool e non sangue come fanno altri").
L'amministrazione Bhutto incoraggio la preservazione dei dialetti regionali conferendo importanza alle varie etnie, egli vestiva all'occidentale od indossava abiti comuni, caratteristico il suo berretto cinese. Non nascondeva di leggere le biografie di Napoleone e di Mao-Tse-Tung e con lui l' assemblea nazionale rappresentava tutte le componenti politiche.
Tutto il contrario di Zia formalmente ortodosso obbediente al precetto delle cinque preghiere quotidiane e periodicamente in visita ali luoghi santi del sud Arabia.
Favorì l'uso dell'Urdu come unica lingua nazionale. L'Ummah, la collettività dei fedeli è superiore a qualsiasi etnicità locale. Vestiva sempre in divisa od indossava l'abito nazionale con un soprabito nero su una camicia bianca musulmana metre la divisa era indossata in tutte le occasioni protocollari e pubbliche. L'Assemblea Nazionale era da lui chiamata "Majlis-e-Shoora" (dei buoni musulmani) ed era nominata fino alle elezioni del novembre 1988.
Come in ogni altro paese in via di sviluppo, la società pakistana è principalmente rurale. essa rappresenta i sette decimi della popolazione totale. Il mondo rurale è tradizionalmente avverso alle innovazioni ed è lontano dai giochi di potere di Islamabad. D'altro canto dal 1947 ad oggi due generazioni di Pakistani sono cresciute fiere della propria identità nazionale e desiderose di trasformare il loro paese in una nazione moderna ma al contempo islamica e preoccupazione dei governanti è stata quella di conciliare aspetti differenti dell'Islam prima che divenissero origine di contrasti. È su questa la sfida che Benazir Bhutto ed i governanti del prossimo 2000 dovranno affrontare e vincere affinché il Pakistan non si infranga sul problema delle etnicità e delle differenti convinzioni religiose.


dal 1° gennaio 2002

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