Testo e foto di MAURA RITA ZURRU
L'ansia, l'insofferenza e l'irritazione
inquinano la mente e, annoiate dalla reciproca coesistenza in
quest'animo apatico, stimolano quel residuo di volontà a
reagire.
E cosi, come
c'e un tempo per ogni cosa, ora è tempo di andare, è tempo di
imboccare un'altra via: incerta e indefinita, forse per riesumare
gli originali valori, forse per dare un senso ai sensi o forse,
per risvegliare l'assopito gusto dell'essere e non dell'avere;
quindi è tempo di lasciarsi alle spalle tutto il superfluo che
ci impantana la ragione.
E allora, "nel mezzo del cammin di
nostra vita", decido di uscire da questa "selva
oscura" per un deserto assolato e solitario, lontano da
tutto e da tutti, alla ricerca probabilmente
anche del
niente.
Quindi, mettendo in pratica, o meglio nello zaino, l'avventuroso
detto: "Errare humanum est", nell'arco di brevissimo
tempo mi ritrovo ad errare in questo storico quanto fiabesco
deserto del Sahara.
Insieme al leader Marco Vasta, costituiamo appena una dozzina di
"ricercatori" non si sa bene di cosa, comunque assetati
di conoscere, desiderosi di vedere e soprattutto, impazienti di
vivere questa singolare esperienza: dodici giorni nell'intimo
più profondo del deserto Libico Sahariano.
Accompagnano la nostra "ricerca", come guide
espertissimo , nonché autisti e meccanici abilissimi, sei
tuareg, i folkloristici uomini blu, che ci insegneranno, col loro
linguaggio franco -berbero - gestuale, ad armonizzarci con
quest'ambiente.
Non ci sono tappe prestabilite o appuntamenti da rispettare
niente orologi per valutare il tempo, né squilli incalzanti di
telefonini, niente mappe per quantificare le distanze, ma solo
raggi di sole, ombre più o meno inclinate e sabbia, tanta sabbia
in continuo precario equilibrio: sabbia che migra, che si
disperde, che sedimenta e ricristallizza.
Questo è il Sahara: un mondo di solitudine assorto in un
incommensurabile silenzio, quasi privo di vita animale e
vegetale, un mare che disorienta, che spiazza e che confonde
anche l'uomo più "navigato" che vi approdi.
A volte mi domando chi sarà il destinatario di questo arido
regno chi si gioverà dei suoi irreali silenzi, chi si
avvantaggerà della sua sconfinata pace, chi riuscirà a godere
di tutte quelle spontanee emozioni offerte dalla natura, chi...,
interpretando il linguaggio mistico e rigoroso del deserto,
riuscirà a comunicare e quindi, entrare in sintonia con esso.
Ma, come tutti i mari , anche il Sahara è imprevedibile,
soprattutto quando il vento, grande protagonista, scuotendolo da
un illusorio torpore, lo rianima e, aggrottandone la superficie,
lo screpola, fessurandolo con solchi sempre più profondi.
Ed esso, con un respiro affannoso si lamenta e con sbuffi e
spasmi intona il suo inno alla libertà, distruggendo tutti i
vincoli di quell'aleatorio incantesimo.
I rilievi montuosi vengono sgretolati e livellati, oppure
rimodellati in strutture a libera interpretazione: pinnacoli
affusolati come canne d'organo, arcate sontuose e trionfali e
ancora torri menate di onirici castelli e guglie solenni di
mistiche cattedrali.
Dopo essersi sfogato, il "Sahara" si concede un attimo
di tregua, si assesta, si riassopisce, collassando
gravitazionalmente in un nuovo armonioso scenario.
"La quiete dopo la
tempesta" dura ben poco; il ciclico processo di demolizione
e costruzione e già pronto per essere riattivato, e solo
questione di tempo e di concomitanza degli agenti esterni per
rinnovarsi con un nuovo "lifting".
A bordo di tre toyota - che hanno conosciuto sicuramente tempi
migliori - e un pick up che ci segue con il kit di sopravvivenza
- acqua, cibo e gasoline - ci allontaniamo da Gadames e ci
inoltriamo nel deserto libico, lungo un'ipotetica pista che corre
parallela al confine algerino, procedendo verso sud alla volta
dell'acrocoro roccioso dell'Acacus. Con le 4x4, sprofondiamo in
soffici e diafani Erg sabbiosi, sussultiamo sulle ghiaie e sui
sassi appuntiti dei Reg più infernali, sobbalziamo sulle
argillose mattonelle arricciate del croccante Mud Crack e
sperimentiamo l'ebbrezza delle montagne russe nei meandri
tortuosi delle Barcane.
Durante le
pause, in cui Muftà e Ali si ingegnano con le attrezzature più
disparate a riparare lo auto, noi ci dedichiamo alla
"ricerca": dei graffiti rupestri sulle pareti dei Wadi,
alle punte di frecce nelle spianate degli Hamada, dalle diatomee
racchiuse negli sfaldabili pianori argillosi, alle piccole
"bombe" sferiche, sparate da qualche vulcano del
passato e intanto la giornata volge al termine.
Prima che il sole tramonti allestiamo il campo ed andiamo ancora
alla ricerca, questa volta di legna - rami di acacie secche - da
bruciare nei due fuochi - per la cena: uno, per cuocere la capra
dei Tuareg, l'altro per i nostri minestroni "Knorr".
Dopo cena però, tutti intorno ad un unico fuoco per la cerimonia
del the e per cantare i vocalizzi tuareg suon di taniche, poi un
ultimo sguardo a quel disarmante cielo stellato ed e tempo, o
meglio temperatura, di rifugiarsi nei sacco a pelo.
Il freddo della notte è tanto intenso da far condensare e
solidificare il respiro sulle pareti interne della tenda.
Alle sei del mattino, quando sua
"vastità" Marco Vasta ci dà la sveglia, con gioia
usciamo da quel gelido loculo, poiché ad attenderci c'è
un'altra giornata di sole ma soprattutto, un'altra giornata di
vita.
Oggi, Capodanno, abbiamo in programma la visita del Museo
naturale dell'Oued Mattendus, un deserto nero, fatto di sassi e
strapiombi rocciosi, dove ammiriamo straordinari lavori di
decoro, opera delle abili mani di uomini del passato, che tra
questi anfratti, probabilmente, trovavano rifugio.
I graffiti stilizzati e le pitture rupestri, come piccoli flash
di una storia passata, raffigurano scene di caccia e momenti di
vita familiare, un puzzle di immagini custodite nel tempo dalla
natura e inviate ai posteri "per conoscenza"
Poi, mentre girovaghiamo su un basamento roccioso facilmente
sfaldabile, ecco altre provo del passato che, inghiottite dal
tempo e integrate nella terra, riaffiorano pian piano in
superficie. Sospinti da forze orogenetiche emergono labirinti di
Wadi con i loro letti prosciugati, custodi di conchiglie fossili
e di organismi marini che, sedimentati e pietrificati in quelle
ultime pozze d'acqua, testimoniano l'abbondanza idrica del
passato.
E
così, giorno dopo giorno, la nostra vagabonda ricerca continua
in questa sorprendente varietà di paesaggi, con un unica'
ostante; la sabbia; te la ritrovi addosso, dentro l'orlo dei
pantaloni, nel la cerniera della giacca a vento e negli
interstizi più nascosti. All'inizio tenti di scuoterla
dalle scarpe; di allontanarla dai capelli, di filtrarla dall'aria
con la bandana, poi ti accorgi di fare un tutt'uno con essa e,
usufruendo dei suoi benefici effetti, cominci ad apprezzarla.
Indescrivibile sono il gusto di sentirla scricchiolare sotto i
piedi nudi: il piacere di sdraiarsi di essa a riposare durante le
soste giornaliere; l'armonia trasmessa dai profili dello sue
dune, sinuose e capricciose come gli accenti di una poesia; il
perdersi con lo sguardo fra quelle onde fluttuanti che sotto
l'effetto del vento, ne increspano la sabbiosa epidermide; il
sollievo rinfrescante, infuso nelle oasi da quelle ultime
coraggiose pozze d'acqua che, come miraggi, si cullano nelle
verdeggianti depressioni.
Finalmente anch'io, come un granello di
Sahara, godo dei caldi raggi del sole e, a sera, al riparo delle
dune, sotto una gelida coltre di stelle, ascolto in silenzio la
voce del deserto, mentre il respiro del vento culla il mio sonno;
mi assesto, così, in questo sconfinato universo di libertà, con
lo spirito inebriato e con la consapevolezza sempre più intensa
di esistere.
Pubblicato su
Avventure nel Mondo n° 6 - 1999
Copyright (c) 1999 by Maura Rita Zurru e Marco Vasta
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