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21 settembre 2002
[ Home ] [ Tibet ] [ Sinkiang - Xinjiang ]
Al campo base
del Muztag Ata
lungo la "via della seta"
Per
due giorni la voce cantilenante della capotreno ci ha svegliato, indicato
le stazioni, annunciato l'apertura del ristorante e... messo a dormire.
Finalmente dall'altoparlante del nostro vagone-cuccette esce l'annuncio
più atteso: il nostro arrivo nella stazione di Urumchi. Partito
cinque giorni fa da Pechino, questo treno ha toccato Xian, famosa per il
suo esercito di terracotta, ha attraversato la regione del Guansu ed è
penetrato in un territorio talmente inospitale che su questa frontiera
gli imperatori cinesi ritennero inutile la "grande muraglia". L'asprezza
di questi deserti era, ed è, tale che difficilmente un esercito
sarebbe riuscito a valicarli. Solo mercanti ed avventurieri la attraversavano
temendo demoni immaginari ed i banditi, ben più reali, che l'infestavano.
Xinjiang
Uygur
Marco Polo, Sven Edin, Vittorio Sella, Ferdinando Guaita,
Eric Shipton, H.W. Tillman: avventurieri, esploratori e fotografi ci hanno
preceduto in questa parte dell'Asia centrale. Noi veniamo da Xian, abbiamo
sostato brevemente a Donuhang per ammirare le grotte dove sono stati rinvenuti
manoscritti importanti per la conoscenza della storia sia della Cina che
del Tibet.
Ora, in viaggio anche noi sulla "via della seta", entriamo
nello Xinjiang - in cinese "nuovi domini" - regione cinta da un lato da
grandi deserti, dagli altri da montagne innevate e spesso invalicabili.
Catena del Tien Shan a nord, Pamir, Karakoram, Kun Lun a sud abbracciano
un vasto deserto, il Taklamakan. Gran parte della regione è occupata
dal bacino del fiume Tarino. Una grande depressione dove le acque vanno
a perdersi nel lago Lop Nor, circondato da dune sabbiose.
Lo
Xinjiang (Sinkiang) racchiude alcune fra le minoranze
etniche più interessanti dell'altra Cina, quella fuori dai tradizionali
percorsi turistici. Mongoli Uygur. Kirghisi, Kazaki, Sibo (i soldati manciù)
e russi bianchi qui fuggiti dopo la rivoluzione e che Lawrence d'Arabia
(secondo la leggenda) cercò di organizzare in un esercito.
La grande barriera formata da Karakoràm ed Himàlaya
blocca le piogge provenienti da sud: questo, combinato con la posizione
profondamente interna al continente, fa della regione una delle zone più
aride della terra.
Ai margini di questo grande deserto da secoli si sono
insediati gli Uygur occupando una catena di oasi. vere isole per i mercanti
che navigavano sulle vie della seta. Fra le montagne, là dove l'aridità
del suolo cede posto a verdeggianti pascoli, si muovono ancora oggi le
tribù nomadi d'altre due etnie:
Kirghisi e Kazaki. Tutte genti che poco hanno da spartire
con i Cinesi. La religione è islamica ed i vari dialetti, idiomi
musicali al nostro orecchio, sono di ceppo linguistico turco. Infatti lo
Xinjiang era noto fino agli anni '50 come Turkestan (terra dei Turchi)
Orientale,
Tradizionalmente, gli Uygur hanno sempre superato numericamente
gli altri gruppi e dominato la vita dello Xinjiang; oggi i coloni cinesi
stanno cambiando la situazione. I contadini "han" (cinesi puri) rappresentano
il 40% circa della popolazione dello Xinjiang. Una vera invasione se si
pensa che nel 1953. quando l'armata rossa riprese il controllo della regione.
i Cinesi erano solo il 6% della popolazione.
Urumchi e il
lago del cielo"
Urumchi, città
oramai sinizzata, larghi viali con efficienti autobus, affollati e grandi
ristoranti popolari. pranzi ed abbuffate assieme agli universitari, Brevi
lezioni di storia patria da pane di chi sente i Cinesi come invasori. Domenica
passata assieme a migliaia di persone a riposarci sulle rive del ''lago
del cielo". L'unico posto in Cina dove è consentito il campeggio
libero.
Turfan
È l'oasi più famosa perché nei pressi
c'è la grande depressione che scende sotto il livello del mare.
Ne visitiamo i dintorni: la città morta di Gaochang con le sue mura
lunghe sei chilometri, le montagne fiammeggianti, le grotte di Atsana,
Senza trascurare una sosta nelle fattorie dove si produce un buon vino
locale. Caldo torrido, 45° all'ombra mentre all'orizzonte risplendono
i ghiacci delle montagne. L'acqua giunge all'oasi tramite gelidi canali.
Un sapiente adattamento dell'uomo all'ambiente.
Kashi
Come
ai tempi di Marco Polo il bazar di Kashi è ancora brulicante di
attività commerciali. Gli Uyguri acquistano e vendono gli abiti
sgargianti tanto apprezzati dalle donne mussulmane. Peperoncini piccanti.
verdura fresca ed una specialità chiamata "uva a capezzolo di cavalla".
L'agricoltura riesce a prosperare in questi deserti grazie all'irrigazione
ed agli acquedotti che conducono la preziosissima acqua dalle montagne
fino ai centri abitati.
Kashgar (Kashi): città mitica come Timbuctù,
di cui tanti hanno parlato ma che pochi hanno visto. Ci dedichiamo con
calma alla visita di questa grande oasi clic percorriamo con i mezzi locali,
cioè in calesse (non esistono autobus urbani o taxi), dal bazar
alla moschea di Id Kas. dalla tomba di Alach Hoja (piccola versione del
Taj Mahal) alla vicina città di Hanoi.
Pochi turisti, tanti contrabbandieri; giovanissime cameriere
che si prenotano per poter conversare in inglese alla presenza della direttrice
dell'albergo.
Fra i Kirghisi del Muztag Ata
Antichi
padroni dell'Asia centrate, Kazaki e Kirghisi un tempo si muovevano liberamente
dalla Cina alle sponde del mar Caspio. Oggi vivono divisi dal confine cino-sovietico,
ostacolati nei loro spostamenti tradizionali. La maggior parte di essi
vive nello Xinjiang Uygur. Circa un milione di Kazaki popola le aree settentrionali
fra la catena del Tien Shan ed i monti Altaj.
I Kirghisi cinesi sono pochissimi, circa 150.000 persone.
e vivono più a sud sulle pendici meridionali del Tien Shan e sulle
montagne del Pamir. Dopo settimane in treno, aereo e bus, una settimana
a piedi fra i villaggi sulle pendici del Muztag Ata è quello che
ci vuole per cambiare il ritmo del viaggio.
L'ufficiale di collegamento è laureato in lingua
inglese, insegna basket ed èreclutato dal ministero del turismo
nel 1987, quando lo Xinjiang è stato aperto alle spedizioni straniere.
Dalla riva dell'Ekki bel Sul risaliamo i pendii sempre
dolci in direzione del Muztag Ata. Cammina cammina, in lontananza appare
sul pendio una serie di punti color caki: sono le yurte kirghise, una ventina
di tende disseminate in un cerchio di un mezzo chilometro Arriviamo al
villaggio assieme ad una carovana di cammelli che trasporta la tenda e
le masserizie di una famiglia kirghisa. I basti vengono sciolti ed i carichi
deposti. Ben dodici i cammelli necessari per il trasporto di una tenda.
L'intero
villaggio, spostatosi sulla statale con i camion. ha raggiundo a dorso
di cammello questi pascoli alti che occuperà fino a settembre quando
pecore e yak torneranno ai pascoli invernali.
Mentre noi ci accasciamo per la camminata, i nuovi arrivati
montano la yurta. Aprono una serie di graticci a losanghe che formano la
parete della tenda circolare. Sopra ai graticci vengono incastrati pali
leggeri che, come capriate, si incontrano al centro, poggiando su un cerchio
di circa un metro di diametro che forma l'apertura superiore della cupola.
L'operazione è coordinata e veloce e dopo mezz'ora ecco l'intelaiatura
è pronta. Pesanti pelli di yak, cucire assieme. coprono le pareti.
poi la tenda viene soffocata da due enormi coperture di pelle che formano
il tetto a cono. Una pelle più piccola copre l'apice della yurta,
lasciato ora aperto ora chiuso a seconda delle ne-cessita.
Solleviamo il pesante tappeto, detto "altegat", che funziona
da porta della tenda ed entriamo nella abitazione kirgisa. È un
piccolo mondo: il tepore di una stufa, un bricco di té. Cerchiamo
di rispettare il rigoroso protocollo evitando di calpestare il "dastocor",
la tovaglia che posta sui tappeti , funge da tavola. Ci viene assegnato
il posto d'onore di fronte alla porta. L'arredo è spartano: siamo
nei campi alti e la tenda è piccola. Ci accoccoliamo sul tappeto
presso un armadio in legno.
Fuori
la sera scende e rapidamente; passiamo dalla fornace 25° che ci ha
abbagliato tutto il giorno al freddo della notte. Assistiamo al tramonto:
il fiato gelido del Muztag Ata cala sul villaggio. L'acqua non scorre più
nel torrente che attraver-sa l'attendamento: là in alto, alcune
centinaia di metti sopra di noi, il ghiaccio ha vinto e l'acqua non fluisce
più. Solo domani riprenderà a scendere ma sarà ben
tardi, quasi a metà giornata.
Il sole scende fra i monti del Pamir ed è con
emozione che pensiamo che dietro a quel profilo di montagne c'è
la Russia, un confine che presto sarà riaperto. Il ricordo va alla
spedizione di Filippo De Filippi: nel 1913 da Karachi risalì fino
al Baltoro, svernando a Skardu e poi. attraverso il Turkestan, entrò
in Russia e raggiunse il Mar Nero da dove rientrò in Italia nel
1914.
Alpinisti e cavalieri
Trascorriamo
due giorni fra i pastori, poi ricarichiamo le nostre masserizie e spostiamo
il campo sulle pendici occidentali del Muztag Ata. Ben acclimatati saliamo
al campo 1° relativamente basso visto che è posto a 5.800 metri.
Ed è con sorpresa che incontro il capo spedizione che ho conosciuto
a Natale nel Sahara.
Ulak e spalle lussate
Il
giorno dopo siamo nuovamente a 3.500 metri per assistere ad una partita
di "ulak". Il villaggio sorge in una piana dall'erba verde con riflessi
azzurrini ed è composto da tende e da casupole di fango. La partita
sta proprio per iniziare quando i nostri cammelli entrano nel villaggio.
La
piana è una bolgia di cavalieri che corrono in tutte le direzioni:
cavalli al galoppo, polvere, urla, cozzi violenti fra i giocatori. Non
è facile comprendere le regole. Più che un gioco a squadre
è una serie di sfide tra i partecipanti. La posta è una capra
cui hanno mozzato la testa. Il cavaliere che se ne impossessa, strappandola
ad un avversario, inizia a percorrere il campo, cercando di sottrarsi agli
avversari, talvolta aiutato da alcuni compagni suoi alleati ed alla fine
deve raggiungere una roccia posta vicino alle case. Se riuscirà
a deporvi la pecora. sarà una grande prova di abilità. I
cavalieri vanno avanti per ore. anzi per due giorni mentre noi ormai stanchi
della partita vaghiamo per la piana raggiungendo tende isolate, cercando
di comunicare con bambini, sorelle e madri, nonni e curiosi vari: i cavalieri
continuano imperterriti a giocare. La partita non si interrompe neppure
per la brutta caduta di un contendente che spinge Ugo, il nostro medico,
ad operare una dolorosa riduzione di una spalla lussata.
E
poi un comodo fuoristrada e via sulla Karakoràm Highway verso il
passo Kunjerab, la valle degli Hunza, il Pakistan e l'Italia.