Numero di utenti collegati a questa sezione: 11002
Sei il visitatore numero 6929
di questa pagina dal
21 settembre 2002
"Dio è grande,
Maometto è il suo
Profeta
L'Islam è eterno.
Dio dacci forza e salute,
Dio guidaci si tuoi sentieri,
quelli che tu hai preparato
per coloro che a Te si affidano"
Ogni mattina, per ventisette stupendi
giorni, questa semplice preghiera saluterà l'inizio della nostra
marcia. Siamo cinquanta persone sparse in un grande cerchio, zaino affardellato,
tutte in attesa che il sirdar più anziano intoni questo viatico
che dà la benedizione ed il segnale di partenza. Alla voce possente
di questo omone dal volto reso ancor più severo dalla grande barba.
si uniscono quelle degli altri portatori. Il canone, in arabo e baltì.
risuona fra ghiacci e morene. vibra nell'aria cristallina e suscita una
intensa emozione.
È con orgoglio che guardo
questo serpente colorato snodarsi davanti a me. È stato un anno di preparativi,
lettere, fax e telex scambiati con l'amico Nazir Sabir (saliti Broad Peak
e Gasherbrum con Messner). Ed ora l'attesa si è concretizzata. Con
gli amici sono qui per realizzare la grande traversata del Karakorum, più
di trecento chilometri sui ghiacciai Baltoro, Biafo ed Hispar.
Al supermarket degli 8000
Non credevo che fosse così
semplice. Non ci credeva neppure il capo della spedizione giapponese al
Falchen Kangri: «Dieci dall'Italia al campo base del K2? Impossibile!».
Partiti da Brescia lunedì 1° luglio siamo arrivati al campo
base del K2 il giorno 11. Coincidenze aeree rispettate, perfetto sincronismo
nell'organizzazione, un breve volo su Skardu e poi via in jeep, saltando
le tradizionali tappe nella valle di Shigar ormai percorsa da una carrozzabile.
Ad Askoly (3.000) ultimo villaggio,
lasciamo parte del materiale e iniziamo la camminata: bocca del ghiacciaio
Biafo, quindi Korophon. Poi il sentiero affronta un tratto roccioso a picco
sul fiume e percorre una serie di strette cengette esposte, unico tratto
pericoloso per i porters. Scendiamo al torrente Dumordo che nasce dal ghiacciaio
Pannah, posto in una valle laterale. L'attraversiamo con un «jula»
(il termine indica ponti e teleferiche) e piantiamo il secondo campo. Nei
giorni successivi il ritmo sarà sempre quello. Sveglia alle 6 e
smontaggio tende. coazione alle 7, partenza alle 8, sosta per uno spuntino
alle 12. I partecipanti più veloci, guidati da Asgar Khan, nostro
ufficiale di collegamento ed amico di vecchia data, arrivanti ai punti
tappa assieme ai portatori ed allo staff verso le 16. Io arrivo sempre
più tardi assieme all'aiuto guida ed a quelli clic. come me, amano
la camminata tranquilla. la sosta riposante, la fotografia e uno stuzzichino
ogni tanto «per tenersi su».
La marcia di avvicinamento continua,
forse un po' monotona. fino ad uno sperone che domina una grande piana
alluvionale. Alla nostra destra si profila la catena del Masherbrum. Al
centro si scorgono le scintillanti vette delle Torri Biaho e la massa grigia
del ghiacciaio Baltoro Sulla sinistra ecco le poche piante dell'oasi
di Payù. Nel giorno di riposo viene macellata una capra comprata
ad Askoly. I pezzi sono suddivisi tra i portatori che immediatamente li
arrostiscono su braci fatte con l'erba raccolta nei dintorni e con rametti
di arbusti che coprono i pendii apparentemente aridi. Vengono cotti anche
i pani baltì, alti e spessi.
Il giorno dopo saliamo sul Baltoro.
Dalla bocca nasce il torrente Biaho, è l'unico punto in cui si scorge
il ghiaccio vivo. il resto del ghiacciaio è tutto coperto da detriti
e presenta ancora l'aspetto di «black-glacier». L'attraversiamo
obliquando verso la sinistra orografica e raggiungendo la mulattiera che
dal deposito militare, con campo per gli elicotteri, sale al campo base
dei Gasherbrum. D'ora in poi non c’è pericolo di perdersi. basta
seguire il cavo del telefono militare! In breve raggiungiamo l'arido spiazzo
di Liligo (3.750m). Da qui una ripida salita consente di alzarsi un centinaio
di metri sul pendio che sovrasta il ghiacciaio. Lo sguardo spazia sul Payù
Peak che visto da est è ancor più impressionante. sulle Torri
di Trango che si ergono proprio opposte al sentiero, sul Thunmo (m 5.866),
una delle ardite cattedrali del Baltoro. Proseguendo per una serie di vallette
a fianco del ghiacciaio affrontiamo noiosi saliscendi sulla morena fino
ad un pendio erboso dove enormi macigni sembrano appoggiati in precario
equilibrio. È il punto tappa di Urdukas (baltì: pietre rotolanti).
Il giorno dopo è d'obbligo soffermarsi per ammirare l’elegante ed
isolato Masherbrum (m 7.821) e la Torre Mustagh (m 7.273. Il ghiacciaio
sembra terminare contro il Falchen Kangri (Broad Peak, m 8.047) affiancato
dal Gasherbrum IV (m 7.980). Superiamo Biange (m 4.200), posto fra due
collinette moreniche e proseguiamo per quasi quindici chilometri, incontrando
le «vele del Baltoro», fantastiche creste di ghiaccio comuni
per altro anche ad altri ghiacciai.
Gore (m 4.400) non offre alcun
riparo se non qualche muretto dietro ai quali i portatori costruiscono
i loro ripari con i teloni. Ci sono una baracca poligonale dell'esercito,
bidoni di benzina, paglia e cacca di mulo. Occorre riportare sassi e spianare
la ghiaia per non mettere le tende direttamente sul ghiaccio.
Mercoledì 10 luglio siamo
ben acclimatati. La tappa non è lunga. Il percorso non è
faticoso. L'interesse per il ghiacciaio, pur sempre affascinante e sorprendente,
è sostituito dal nuovo ambiente nel quale ci immergiamo. Non più
limitato dalle due catene di montagne che fiancheggiano il Baltoro, lo
sguardo spazia liberamente sul Circo Concordia, sul ghiacciaio Godwin Austen
che scende da nord sull'Alto Baltoro verso sud-est. Ci portiamo sotto la
stupenda piramide del Mitre, sulla nostra sinistra improvvisamente appare
la mole isolata ed inconfondibile del K2 nascosto fino all'ultimo da uno
sperone. Anche il Mitre è superato ed ecco a sud-est svettare la
sommità lineare del Chogolisa (m 7628) ed il Baltoro (Golden Throne,
m 7312). Di fronte a noi incombono Broad Peak e Gasherbrum.
Siamo emozionatissimi, ci abbracciamo. Il più festeggiato è Luciano Berni: lo scorso anno ha raggiunto i 5.400 metri del Kanga-la con un trekking lungo e faticoso, ora a 65 anni realizza un sogno: vedere il K2.
Oggi noi con tanta spesa e poca fatica, siamo arrivati in dieci giorni dall'Italia fin sotto il proscenio di tante fantastiche imprese alpinistiche. Il pensiero dovrebbe correre ai grandi exploit eppure alla mente torna un solo ricordo. Ero in prima elementare quando mio padre mi portò a vedere il film sul K2 del 1954. Di tutto mi rimane un'unica immagine: la slitta con Puchoz accompagnato alla sua ultima dimora.
Incontri
Un faticoso giorno di marcia permette
ai più allenati di salire al campo base del K2 (m 5.100). Chi ha
un passo normale si ferma al campo base del Broad Peak. I più pigri
rimangono a Concordia (m 4.600) crogiolandosi al sole e seguendo ad occhio
nudo i venti giapponesi che arrancano al campo IV (m 7.000) del Broad Peak.
Nella notte qualcuno di loro salirà in vetta.
Il percorso al K2, dal basso apparentemente
in piano, dappri-ma è una serie di scivoli ad imbuto che portano
a guadagnare la morena centrale del G. Austen. Incontriamo Profit e la
sua megaspedizione e poi, momento di gloria, il nostro gruppo viene ripreso
dalla televisione neozelandese.
La nostra fortuna continua. Solo
un paio di giorni di nevischio ed acqua ci affliggono mentre ridiscendiamo
verso la bocca del Biafo. Anzi, il sole e il caldo sono quasi maledetti
quando attraversiamo il ghiacciaio nero. E' una fornace e non c'è
acqua ma il picco Payù è stupendo!
Mentre il gruppo riposa, con Ashgar
scendo al deposito di Askoly. Ricomposizione bagagli, scelta viveri, assunzione
di alcuni portatori. Incontro la spedizione di Giordani, Righetti e rispettive
mogli ai Latokh. Mi lasciano l'incarico di soccorrere un ragazzo austriaco
ferito e intrasportabile. Non ha versato la cauzione per l'elicottero e
l'esercito rifiuta di soccorrerlo. Con angoscia ci prepariamo a raggiungerlo.
Il femore è spezzato in tre punti, fortunatamente non c'è
shock. Ma il timore di Pierluigi, il nostro medico, è una possibile
cancrena. E di fronte ad una cancrena l'amputazione è l'unico rimedio...
La giornata è splendida
ma è con pensieri tristi che iniziamo a salire il ghiacciaio Biafo.
Ansia ed amarezza ad ogni passo.
E poi la speranza quando due elicotteri
ci sorvolano. Due ore di angoscia e poi ci sciogliamo in lacrime di gioia
quando ritornano, ci sorvolano per tre volte in cerchio ed a cenni ci comunicano
che il ferito è stato recuperato.
Solitudine sul lago di neve
Sul Baltoro abbiamo trovato una
comoda traccia, morena assolata a non finire, una processione di centinaia
di portatori, alpinisti e militari. Il ghiacciaio Biafo è il regno
della solitudine. Fin dal primo giorno camminiamo in scarpa di ginnastica
su una autostrada di ghiaccio quasi liscio. minuscoli sassolini fanno attrito
e non si scivola. Ogni tanto guadagniamo la morena laterale e percorriamo
spiazzi verdi e sentierini tracciati dai cacciatori. Primo campo ai prati
di Namla, in lingua balti è il "passo del cielo". I Baltì,
pur mussulmani, parlano un dialetto simile al tibetano ed ogni tanto qualche
vocabolo, appreso negli anni passati, mi torna alla mente. La mia pronuncia
stentata scatena allegre risate fra i portatori che sono felicissimi nel
vedere che un “sahib” conosce la loro lingua.
Su una piana sabbiosa troviamo
traccia del campo Speleo 1990 - CAI Ancona. Non ci sono grotte sul Biafo
ed allora? Questi pazzi sono scesi di notte nei profondissimi crepacci
a stella caratteristici di questo ghiacciaio. Sono inghiottitoi ad imbuto,
fortunatamente evidentissimi, che si aprono sull'ampia spianata in leggera
pendenza che stiamo risalendo.
Dopo un campo alla confluenza del
ghiacciaio Phobsong siamo costretti a sostare per il cattivo tempo in località
Baintha (m 4.200) prima della valle dei Latokh. La neve copre tutto. le
nuvole ci avvolgono. Nella nebbia un orso furtivo si avvicina alla mia
tenda, cerca di aprire i bidoni dei viveri e se ne va scacciato dalle urla,
lasciandomi con la mantella completamen-te stracciata ed il rammarico di
non averlo fotografato tanto ero terrorizzato.
Quando torna il sereno l'ambiente
è ancor più maestoso, ma i numerosi crepacci non sono più
visibili. Dobbiamo muoverci: non voglio che i portatori piantino qualche
grana. Tiriamo fuori occhiali, corde, maglioni, tutto quello che abbiamo
portato espressamente per loro in aggiunta a quanto procurato dall'agenzia
e torniamo sul ghiacciaio.
I Latokh (m 7.145) sono invisibili nelle nuvole.
ma il cielo è sempre più aperto. Ci leghiamo tutti. Impieghiamo
quattro ore per raggiungere la confluenza con il ghiacciaio Sim Gang, che
forma la parte meridionale del «Lago di neve» (m 4.500).
È impressionante! Inaspettato!
Chilometri e chilometri di distesa bianca! Il Baltoro ci aveva stupito
con la maestosità degli ottomila. Qui siamo punti persi in un mare
bianco azzurrino. Attorno all'enorme bacino di neve le cime (Sosbum Brakk,
m 6.414; Lukpe Lavo Brakk, m 6.593; Baintha Brakk, m 7.285) formano una
corona di ghiaccio puro! Altre quattro ore di salita dolce, costante ed
un po' faticosa verso il passo. Lasciamo alle spalle il Sim Gang ora visibile
in tutta la sua lunghezza. Il dr. Pialorsi traccia la pista, poi lo sostituisco,
e poi tocca ad Asghar, per fortuna non dobbiamo gradinare per aiutare i
portatori.
Il passo Hispar (m 5.150) è
un pianoro largo due chilometri e lungo altrettanti, Ci accampiamo poco
oltre il passo. Pestando la neve, approntiamo grandi spiazzi per noi e
per i tendoni dei portatori. Il freddo cala subito. È
stata una giornata
di sole accecante. Siamo letteralmente bruciati. Sia noi che i portatori
abbiamo vesciche sul viso.
Ritorno a Karimabad
Al mattino successivo partiamo
in discesa alla garibaldina e... ci perdiamo nella nebbia. Procediamo per
tentativi con grandi teleferiche sui ponti di neve. Percorriamo duecento
metri in tre ore! Quando la nuvola si solleva ci troviamo su un salto largo
quanto il ghiacciaio. Sono quasi cento metri di banchisa. Non possiamo
calarci. I pendii laterali sono spazzati da impressionanti slavine, attorno
a noi è un labirinto di seracchi. Asghar parte veloce ed individua
una serie di ponti al centro del ghiacciaio che ci permettono (ma che paura...)
di scendere sul ghiacciaio sottostante, bianco di neve e costellato da
laghetti cobalto.
La nostra avventura sul ghiacciaio
Hispar dura quattro giorni. Sentierini esposti sui pendii laterali e penosi
attraversamenti delle confluenze del ghiacciaio Khanibasa (scende dal Kanjut Sar, m 7.760), del ghiacciaio Jutmau, del ghiacciaio Pumarikish. Camminare
fra sassi, inghiottitoi, sfasciumi è spossante ed, ogni volta, ci
attende una pericolosi salita sulla morena laterale o sui pendii sabbiosi
ed instabili. Spesso ci troviamo su passaggini esposti che in Italia non
affronteremmo mai ed invece l'abitudine ha il sopravvento e camminiamo
senza più preoccuparci. Dovremo anche portarci al centro del ghiacciaio
Hispar per aggirare l'immissione del ghiacciaio Kyang (che scende dal Distaghir
Sar, m 7.885) che è molto crepacciato.
Salti e sfasciumi spezzano le ginocchia
ma la fatica è ben ripagata quando il sole fa scintillare tutta
la catena che ben scorgiamo sul versante opposto a noi. Classificata come
una continuazione della catena del Rakaposhi, questa bastionata ci divide
dalla valle di Arandu e dal ghiacciaio Chogolungma. La recente nevicata,
coprendo le rocce, l'ha trasformata in un baluardo di cristallo.
Ed è con tristezza che raggiungiamo
la teleferica sottostante al villaggio di Hispar (in 3.000.). Le jeep ci
prelevano alla minuscola oasi di Raro ed eccoci tornati sulla Karakorum
highway fra turisti e torpedoni. Un breve soggiorno a Karimabad, nell'oasi
degli Hunzakut, renderà meno doloroso il distacco dal Pakistan.
Note tecniche - Viaggio 1991
Partecipanti:
Luciano Berni (CAI Brescia)
dr. Luigi Pialorsi (CAI Brescia)
Piero Piazza (CAI Ascoli Piceno)
Agostino Rossi (CAI Macerata)
Enrico Donadini (CAI Lovere)
Bruna Pastro (CAI Treviso)
Mauro Paganella (XXX Ottobre)
Paolo Zenatti (SAT Arco)
Marco Vasta (CAI Brescia, organizzatore)
Liason Officer:
Asghar Khan (Karimabad).
Staff: 1
aiuto guida, 1 cuoco, 1 aiuto cuoco, 4 aiutanti.
Personale assunto:
da 36 a 24 portatori (a scalare) di vari villaggi baltì.
Durata: 37
giorni, 27 di trekking.
Difficoltà Baltoro: Escursionista
Esperto. Salita 5-8 giorni di cammino, 4 in discesa. Nessun pericolo oggettivo.
Difficoltà Biafo-Hispar:
E.E. con esperienza di ghiacciaio. 4 giorni
in salita, 4-5 in discesa. Nei pressi del passo crepacci nascosti e non
evidenti.
© 1991 - 2001 - Marco Vasta