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21 settembre 2002
L’Himàlaya del Garwal si estende nel settentrione dello stato indiano dell'Uttar Pradesh. Il Garwal è un immenso tempio degli dei e della natura, una méta, un sogno per i fedeli ma anche per i turisti più attenti e per gli alpinisti. Da secoli migliaia di pellegrini percorrono i sentieri fra le montagne raggiungendo santuari e luoghi di culto: Yamunotri e Badrinath sacri a Vishnu, il dio che conserva e redime, Gangotri e Kedarnath, dove è presente Shiva, il dio che trasforma e distrugge.
Al termine di una impegnativa camminata nel Karakorum pakistano ho scelto di "andare in vacanza" in... India. A New Delhi sono stato raggiunto dagli amici Franco Rivetta con la moglie Stefania Portieri e da Vincenzo Canepari (CAI Salsomaggiore). Da Delhi, con una macchina su e giù per strade di montagna, spesso ostacolati da frane ed acquazzoni, abbiamo passato tre piacevoli settimane visitando santuari ed ammirando montagne. Prima tappa il santuario hinduista di Gangotri e la sorgente del Gange, il più sacro fiume indiano, rifugio di rishi (saggi) in fuga dalle tentazioni del mondo, méta di pellegrini in cerca di salvezza. Ai tempi in cui furono scritti i Veda, testi brahaminici, il Gange sgorgava a Gangotri: da qui nacque la sacralità del luogo (ora il ghiacciaio è arretrato di diciannove chilometri fino a Gaomukh). Nel villaggio che circonda il tempio sorgono alcuni ashram, case in pietra e legno dal tetto a punta, spesso costituite da più costruzioni con all'interno un'unica stanza dove gli ospiti possono vivere in solitudine. Sono case modeste dove un maestro spirituale accoglie tutti coloro che si recano da lui per un insegnamento o per la pratica religiosa. Il vitto è spartano. In tutto il Garwal è proibito l'uso di bevande alcoliche, in considerazione della santità dei luoghi. I pasti sono ovunque vegetariani: riso, chapati, sadji (vegetali al curry). In genere il cibo è piccante ed è difficile trovare anche uova o formaggi.
Al termine della strada asfaltata, quasi ad annunciare la sacralità del tempio, la gola si apre fra boschetti. Un tempo, gli alti fusti di betulle erano coperti con sottilissimi fogli di carta recanti preghiere. Oggi, molto più prosaicamente, una passeggiata in cemento chiude ad anello la forra. Il tempio è di un bianco abbagliante e richiama lo splendore delle nevi. Una cupola centrale, su base quadrata di circa dieci metri, è circondata da quattro cupole minori. Ogni sera si celebra una "puja" preceduta dall'immersione nelle acque sacre e gelide del fiume. È una cerimonia affascinante. Altre cerimonie avvengono ad ore fisse, con letture delle scritture, sacrificio rituale ed offerte di grano, orzo, olio, spezie ed altro.
Trascorriamo alcuni giorni camminando verso il ghiacciaio Gangotri che con i suoi venticinque chilometri di lunghezza è il più lungo Himàlaya. Gli dei sono stati benevoli: abbiamo goduto di una settimana di sole cocente in pieno periodo monsonico. Il sentiero si fa strada nella rada foresta tenendosi ad un centinaio di metri sopra il torrente Bhagirathi (nome di questo tratto del Gange). La valle è ricca di cascate. Sul versante opposto un sentierino conduce attraverso semplici romitaggi.
A Gaumukh (m 3.892), il fiume esce con violenza da una grotta di ghiaccio aperta sul fronte del ghiacciato Gangotri. Il luogo è spesso deserto. Si sale poi su un tratto accidentato e ripido fino a giungere a Topovan (m 4.463) posto su un pianoro a circa cinque chilometri dalla bocca del ghiacciaio. Nel pianoro viene posto il campo base per i versanti settentrionali dello Shivling (m 6.543).All’origine di Topovan si aprono infinite possibilità d’escursioni nelle varie valli che confluiscono sul ghiacciaio. Verso ovest si apre la valle del Kirti Bamak. Questa lingua di ghiacciaio permette di ammirare in tutta la loro maestosità vette imponenti: Kaacharkund, Sri Kailas (m 6.932), Matri, Chuturang, Shivling, Kedarnadlfr Bhagirarhi, Merti, che nasconde il Talhay Sagar, nota anche come Phating Pirhwara. Con la sua mole alta e slanciata ed una parere di circa 2.001) metri di sviluppo, il Talhay Sagar chiude da nord una valle con un laghetto glaciale, il Kejar Tal. Tre sono le vette del Bhagirathi, un massiccio possente con splendidi pilastri di granito rossastro ed esili creste nevose. Proseguendo sullo sfondo inizia a comparire un fianco del Charékhaniba (m 7.138), uno dei nomi del dio Brahama, il Creatore, che è la cima più alta della zona ma che è ancora invisibile perché si nasconde dietro l'ultimo sperone che scende sul ghiacciaio Gangotri. Riusciamo a individuare ogni cima e le varie vie di salita grazie al libro curato da Jan Bahicz dell'Alpinistyczny Club Esploracyiny polacco. Arrivare quassù è stato per me un modo per ricordare mio padre che mi regalò un libretto: "Pellegrinaggio alle sorgenti" di Lanza del Vasto, personaggio che egli ammirava e che ho avuto occasione di conoscere anni fa. Ma anche oggi, come Lanza del Vasto, fondatore di una comunità non violenta, altri pellegrini salgono quassù con un messaggio di pace. Jegat Fesan di Bombay lo incontriamo ad una svolta del sentiero mentre spinge una pesante bicicletta fra i sassi della morena. Da mesi pedala attraverso l'India, ricevuto da autorità civili e militari, portando il suo messaggio: "Siamo tutti fratelli". un appello di cui l'India de] 2000, scossa da lotte separatiste ed ancora fortemente divisa in caste, ha certamente bisogno.
Seconda tappa culturale il tempio di Kedarnath a 3.500 metri, al quale fa da sfondo il picco omonimo. Mentre il tempio di Gangotri si raggiunge in macchina, quello di Kedarnath richiede sedici chilometri di estenuante salita a piedi. Se il ghiacciaio Gangotri ci ha entusiasmati per l'incomparabile corona di vette, a Kedarnath abbiamo provato un'esperienza unica. Per tre giorni siamo stati i soli quattro occidentali in mezzo ad una processione di oltre quattromila fedeli hindu! Sulla via abbiamo incontrato uomini e donne di ogni età e ceto sociale. I più ricchi salgono a dorso di muli in portantina e, fra mille colori vivaci di abiti femminili, si snoda una processione silenziosa di intensa spiritualità.
Secondo la religione hindu, chi intraprende un pellegrinaggio alle sorgenti vedrà tutte le sue colpe cancellate dalle sacre acque e sarà purificato nel corpo e nell'anima. In agosto il pellegrinaggio avviene sotto il diluvio del monsone. I fedeli salgono lenti, stremati dalla pioggia e dalla quota, incrociando chi torna, felice di aver acquistato meriti ed indulgenze. Fra la nebbia e le nuvole basse che ovattano il suono di mille cascate, squarci improvvisi si aprono sulla foresta. Scimmie saltano di ramo in ramo sbeffeggiando i pellegrini. I nagasaddhu, asceti nudi dai capelli lunghi e cosparsi di cenere, attendono silenziosi un'offerta.
Questa occasione mistica verso il tempio ed i laghi sacri è stata il momento culmine di tutta la vacanza. Poi sono venuti, ugualmente interessanti ma non così suggestivi, il tempio Badrinath, la valle dei fiori, e poi al sud, verso Bombay, le grandi e famose grotte di Ajanta e Ellora.
Un viaggio bellissimo? Sì, ma non ad occhi chiusi! Di fronte agli scempi che ho visto perpetrare contro le montagne indiane (tagli indiscriminati di boschi, strade che feriscono i pendii, dighe che preannunciano sicuri disastri) mi è salita una domanda amara: con quale senno nazioni come l'Italia possono suggerire ai Governi locali misure atte a salvaguardia della natura quando neppure in casa nostra riusciamo ad attuarle?
Marco Vasta
pubblicato su Adamello 70 - semestrale del CAI Brescia
fotografie pubblicate su Avventure nel Mondo 1993