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Il grande viaggio
Cederna Giuseppe

Editeur - Casa editrice

Feltrinelli

  Asia
India
Garhwal

Città - Town - Ville

Milano

Anno - Date de Parution

2007

Pagine - Pages

264

Titolo originale

Il grande viaggio

Lingua - language - langue

italiano

Edizione - Collana

Universale economica


Il grande viaggio  

Un attore fa un viaggio, e si scopre scrittore. Giuseppe ha scritto un libro (Feltrinelli) che - come ci racconta - lo ha assorbito per un lungo periodo di tempo fin quasi a fargli dimenticare la professione per la quale è più noto al pubblico; quella di attore. Ma l'esperienza vissuta durante il viaggio in India lo ha permeato e trasformato a tal punto che ha ritenuto giusto condividere in forma scritta una parte delle cose viste ed imparate. Un lavoro accurato, limato e messo a punto con lo stesso scrupolo con cui Giuseppe si prepara ad affrontare una via di roccia.

Nell'autunno 2002, per conto di Aiuto allo Zanskar onlus , Giuseppe ha consegnato all'Abate del monastero di Tabo (Spiti, Himalaya Indiano) la somma raccolta da AaZ per la locale scuola di bimbi tibetani.

Viaggiare, sognare, raccontare sono divenuti negli anni parte integrante della sua vita e del suo lavoro. Il viaggio in tutti i suoi aspetti, ricorda Giuseppe, come conoscenza, come denuncia, come esplorazione.
Nel novembre 1999 Giuseppe Cederna parte con alcuni amici per il Garwal, nel nuovo stato dell'Uttarkand nel nord dell'India. zona meta di un pellegrinaggio hindu verso le sorgenti del fiume sacro per eccellenza, il Gange.
Guidato, come in ogni grande viaggio di iniziazione, da una serie di coincidenze (un generoso interferire di letture, mappe, personaggi letterari e persone in carne e ossa, memorie e sogni) percorre in auto e a piedi la via delle Sorgenti e delle Confluenze. E, al ritorno a Delhi, ha un appuntamento con l'amica Paola: lei non l'ha seguito ma, alla fine di un suo viaggio parallelo in Kosovo, sarà là ad aspettarlo.
Questi i patti, questa l'attesa.
Questa la premessa di un dolore.
"Il grande viaggio è una storia", un racconto in cui si fondono lo stupore del cammino dentro una natura che ancora si manifesta come ignota e miracolosa (le cime, gli dèi che le abitano, le acque purificatrici dei fiumi, il trotto di un leopardo), gli incontri straordinari (con nomadi ed eremiti ma anche con i movimenti che si battono contro le grandi dighe e per la conservazione degli equilibri naturali), la riconquista - proprio attraverso il filtro della distanza - di una dolcissima vicinanza al sé più profondo e alle immagini dell'infanzia (i monti della Valtellina, la casa di famiglia, la figura del padre che torna per un simbolico passaggio di testimone).
Negli interstizi del racconto appaiono immagini, segni grafici, stilizzati profili di catene montuose, foto di famiglia, santini, fogli vergati da mani amiche. Un libro emozionante, visivo, spirituale. Un libro speciale come il 'pellegrino' che lo ha scritto.
Ho centellinato il libro, non solo perché sono le emozioni, le confessioni, i sogni di Giuseppe, ma anche per i nostri ricordi personali: Garwal, Ladakh, Zanskar, Nuova Delhi, i ristoranti di Connaught Place, sono i luoghi che un altro amico, Piero Piazza, ha voluto vedere prima di dover partire per l'ultimo viaggio.

 


Recensione in altra lingua (English):

La recensione de L'Indice

Un libro che entra nella grande tradizione del resoconto di viaggio e che sembra scritto per smentire un'idea ormai diffusa per cui il viaggio e il viaggiatore non esisterebbero più non essendoci sostanziali diversità: chi parte non va da nessuna parte poiché tutto si assomiglia. Anche se molto pare corroborare questa opinione, di sicuro nel Grande viaggio troviamo conforto se vogliamo ancora credere che ci siano modi diversi e praticabili di vivere oltre che di viaggiare, e di cui questo resoconto è una ricca galleria, non solo di persone incontrate durante il percorso verso le sorgenti del Gange, ma anche di altri incontri precedenti a cui bisogna aggiungere la forte presenza di tre traumatiche assenze: il padre Antonio inascoltato antesignano della tutela del patrimonio culturale e ambientale; l'amico Marco Lombardo Radice, neuropsichiatra infantile, protagonista della migliore storia italiana recente, e Paola Biocca, scrittrice ma soprattutto operatrice in tutto ciò che occorre per ripristinare i danni prodotti da un mondo venale.
Da un capitolo all'altro si assiste alla costruzione di un ponte: i capitoli come pilastri che sostengono legami tra persone, luoghi, scritti, immagini, anche sogni, per formare un solido passaggio che se ondeggiante è solo in apparenza fragile. Così si svela che il viaggio esiste di per sé e l'autore si fa portare da un'apparente casualità, o meglio da una casualità organizzata: il progetto a lungo meditato e condiviso con gli amici, il patronato di Amitav Ghosh, i suoi consigli e gli indirizzi dei suoi amici indiani, questi ultimi, dove vivono e cosa fanno, la Valtellina, i ricordi del passato, i libri e i personaggi, con particolare riferimento a Kim e alla sua storia, specialmente nella parte itinerante; è più che un percorso, è una rete di cose forti osservate e riferite con attenzione, come sempre accade al viaggiatore sensibile, come è Kim. Convincente contrappunto tra la realtà osservata, i sogni, le visioni, i riferimenti letterari, i ricordi, forma inoltre una buona melodia che si segue con molto piacere senza cadute per la sostanziale omogeneità narrativa e climax emotivo; a questa struttura fa da utile sostegno il corredo iconografico di certo non solo decorativo che, molto ben curato e organizzato, dà all'intero lavoro il tono del taccuino di viaggio d'antan. E così la struttura narrativa del viaggio prende la sua forma, che, sostiene l'autore, esiste già prima che il viaggiatore lo conosca, non resta altro da fare che farsi portare scoprendo il suo segreto che nel caso specifico è consolidare i già forti legami con persone a cui si deve molto per diversi ma tutti ottimi motivi. Ma per fare questo, il viaggio ti deve essere nato dentro, deve avere origine da qualcosa che tu hai già prima di partire senza conoscerlo e vai a cercarlo: questa è la differenza tra il viaggio del turista che si fa portare da altri sapendo a mala pena dove si trova e quello del viaggiatore che porta se stesso alla scoperta e forse anche alla conferma di qualcosa che già gli appartiene ma era eluso. Questo tipo di impresa e testo conseguente riconforta e dimostra che si può ancora viaggiare consapevoli sia di ciò che si sta facendo sia di ciò che si sta vedendo e vivendo.
Franco Orsini



Recensione in lingua italiana

PREMIO GAMBRINUS `GIUSEPPE MAZZOTTI` - SEZIONE ESPLORAZIONE 2004

Motivazione: " È la vicenda di un’ascensione himalajana verso le sorgenti del Gange nel quale l’autore, spinto dalla sua passione per la cultura induista e le montagne himalajane che gli ricordano quelle della sua Valtellina, racconta in una prosa gradevolissima la varietà degli incontri con la gente delle valli e le situazioni in cui viene a trovarsi un europeo in un mondo tanto diverso".

1 edizione - 2004 Feltrinelli varia

Indice - Sommario
Il desiderio preso per la coda
I. Nuova Delhi
II. Verso le sorgenti
III. Nell'Ashram
IV. In cammino
V. Le confluenze
Indici

Prefazione / Introduzione
Dal capitolo 1

“Si possono bruciare bambini morti.” È il primo cartello all’entrata di Nigambodh Ghat, il crematorio di Nuova Delhi. Sui banchi ai lati della strada si compra il necessario. Corde, barella artigianale di legno e lenzuolo ripiegato. Samagri (segatura mista a fiori e frutta secca), Ganga jal (l’acqua del Gange aromatizzata), ghii (burro chiarificato), ral (polvere di resina), i braccialetti rossi, la canfora, il roli rosso e il tikka giallo per segnarsi la fronte, il legno di sandalo e il panch ratan, cinque pallottoline di metallo da mettere nella bocca del morto. La legna la vendono dopo il cartello dei bambini, a sinistra. Cento chili per duecentosettantuno rupie. Una canzoncina allegra e ripetitiva si diffonde a tutto volume dagli altoparlanti, la voce di una cantante bambina che ride della morte. Sul viale si affacciano più file di letti crematori con le loro cappe a baldacchino: fosse di mattoni profonde una trentina di centimetri. La maggior parte sono vuote e pulite. Ma in fondo, sotto il sole, alcuni uomini a piedi nudi sono inginocchiati dentro una fossa. Accanto a loro una manciata di fiori arancioni e un filo di incenso, il doop bhatti, quel cono che fuma ovunque, sulle bancarelle, sui vassoi, accanto alle foglie di paan e all’olio per friggere. Mentre la voce bambina ripete all’infinito il suo mantra questi uomini, ginocchia e mani nella cenere, setacciano i resti. Raccolgono i frammenti calcinati, le schegge di ossa, i denti e li mettono in un sacchetto di stoffa. Lo battono per terra e il sacchetto suona come se contenesse conchiglie. La riva del fiume è vicina ma ancora non si vede. Bisogna salire le scale fino a una piscina di piastrelle turchesi che simboleggia la confluenza dei tre fiumi sacri dell’India: Saraswati, Ganga e Yamuna. Qui vengono immersi i cadaveri legati alle barelle prima di essere bruciati. Sulla riva, fra i saltelli dei corvi e i cani scheletrici che si rotolano nella melma, c’è un cadavere in attesa: è avvolto in un telo marrone e legato stretto con cordicelle arancioni. Ha una ghirlanda di calendule sul petto e un fazzoletto rosso sul volto. Sacchetti di plastica, fiori marci, acqua ferma. Un pietoso vento da ovest. La Yamuna è una vecchia putrefatta distesa nel fango, scavalcata dagli archi di cemento e dal traffico perenne delle superstrade. Sotto lo scarico della piscina tanti uomini in ampie mutande a calzoncino si lavano ridendo, i vestiti al sole sulle panchine rosa a pochi metri dalla riva. Quella su cui sono seduto è stata donata in memoria del padre da una famiglia di Pauri, Garhwal. Arrivano altre barelle, altre mummie. Un carro di legna viene rovesciato con fragore sulle scale. È il suono che dà il via alla cremazione. Si sciolgono i legami, si strappano le ultime corde, si libera la mummia. Nel momento del sollevamento, un attimo prima di essere deposta sul suo ultimo letto, la mummia si raccoglie, si piega su se stessa, si scompone. Ritorna corpo. Diventerà un teipee indiano di legna intrecciata. Un segnale di fumo. Un mucchietto di cenere tiepida. Scendendo lungo la riva destra della Yamuna si incontrano le case dei barcaioli che traghettano i parenti a versare le ceneri al centro del fiume. Poche casupole fatiscenti raccolte intorno a un tempietto – una cupola sorretta da colonnine di cemento – dedicato a Shiva. Una fila di minuscoli villaggi circondati dall’acqua melmosa del fiume e da quella maleodorante dei rigagnoli a cielo aperto. Ognuno con il suo albero di pipal, Ficus religiosa, e i suoi vecchi seduti fuori dalla porta o sdraiati sui charpai accanto ai remi. Ognuno con il suo ghat, le sue scale di pietra cosparse di petali che portano al fiume. C’è un’atmosfera rilassata da sponda fluviale, battere di arnesi e grattare di pialle. [...]


Biografia

Giuseppe Cederna è nato a Roma il 25 giugno 1957. E’ attore di cinema e teatro. Tra i film ricordiamo Marrakesh Express e Mediterraneo di Gabriele Salvatores e Italia-Germania 4-3 di Andrea Barzini, Il partigiano Johnny di Guido Chiesa, El Alamein di Enzo Monteleone. Tra gli spettacoli teatrali: Amadeus di P. Shaffer con Umberto Orsini, Il giardino dei ciliegi, di Anton Cechov regia di G. Lavia, La Febbre di Wallace Shawn, Tacalabala! Il racconto del calcio regia di Giorgio Gallione, Il giro del mondo in 77 minuti, Lennon & John e Cani sotto la pioggia, spettacolo-concerto dedicato a Tom Waits e a Raymond Carver e l’ultimo lavoro Il Grande Viaggio, scritto con Francesco Niccolini e ispirato all’omonimo libro di Cederna, “Il Grande viaggio” (ed.Feltrinelli), affascinante cronaca di un viaggio accompagnata sulla scena dalle musiche originali di Alberto Capelli, Mauro Manzoni e Nicola Negrini.
Da anni collabora con l’inserto di «Repubblica» - «Viaggi», «I Meridiani», «L’Espresso» e «Gente Viaggi».