I bit - il DNA dell'informazione - stanno rapidamente sostituendo gli atomi come strumento fondamentale della comunicazione tra gli uomini. La differenza tra lo schermo di un televisore e lo schermo un personal computer sta diventando una mera questione di dimensioni e quelli che un tempo erano i mass media stanno trasformandosi a poco a poco in mezzi di comunicazione personalizzati a due vie (anche se questa trasformazione sarà un po' lunga). L'informazione non sarà più "spacciata" a potenziali consumatori, ma saranno gli utenti stessi a crearsi la specifica informazione di cui hanno bisogno. Già dai primi anni del prossimo secolo microcomputer delle dimensioni di un paio di gemelli da camicia saranno ben più potenti degli attuali PC e addirittura in grado di comunicare tra loro grazie a una rete di satelliti su orbite basse: altro che telefonini! L'apparecchio telefonico non si limiterà a suonare o a registrare messaggi: selezionerà i messaggi e probabilmente risponderà alle chiamate come un maggiordomo ben addestrato. La comunicazione di massa sarà rivoluzionata da sistemi che consentono di trasmettere e ricevere informazioni e passatempi personalizzati. La scuola diventerà più simile a un museo interattivo e a un campo-giochi dove i bambini potranno scambiare idee e socializzare con altri bambini di tutto il mondo. Il mondo digitale diventerà piccolo come la capocchia di uno spillo: altro che "villaggio globale". Aumentando le interconnessioni tra gli individui, molti dei valori tradizionali propri dello stato-nazione lasceranno il passo a quelli delle comunità elettroniche, grandi o piccole che siano, così ben descritte da Howard Rheingold nel suo Comunità virtuali (Sperling & Kupfer, 1994). Socializzeremo infatti in un vicinato digitale, dove lo spazio fisico sarà irrilevante e il tempo avrà un ruolo differente. Fra vent'anni, guardando fuori dalla finestra, potrete vedere qualcosa distante da voi 10.000 chilometri e sei fusi orari. |
recensione di d'Amato, M., L'Indice 1995, n.11
Le scienze della comunicazione e dell'informazione hanno generato negli ultimi anni diverse questioni epistemologiche, e il direttore del Media Lab del Mit propone, con "Essere digitali", una riflessione per un vasto pubblico sul futuro della telematica e più globalmente sul tipo di mondo nel quale ci predisponiamo, secondo lui, a vivere. Un mondo che non è più solo dominato dall'atomo - la materia - ma piuttosto dal bit - l'informazione. La differenza fondamentale con chi già negli anni settanta individuava in questa la prima forma energetica inestinguibile, perché l'unica nella storia dell'umanità capace di riprodursi nel suo consumarsi (cfr. S. Nora, A. Minc, "L'informatisation de la société", in "La documentation franèaise", 1978) sta nel considerare il mondo digitale "intrinsecamente espandibile" perché "può crescere e cambiare in modo più continuo e organico che non precedenti sistemi analogici". La questione concerne evidentemente il potere, perché nel cyberspazio ognuno è potenzialmente emittente e ricevente, poiché lo spazio è qualitativamente diversificato, non fisso, predisposto di volta in volta dai partecipanti stessi, e sempre esplorabile. In questo nuovo ambito non ci si incontra in funzione di ruoli o di status ma di centri di interesse, in uno sfondo comune di significati e di conoscenze. La novità è la mancanza di gerarchie in una sinergia rapida di intelligenze, di scambi di sapori e di "navigazione" (per un approfondimento delle idee espresse da Negroponte in questo senso cfr. C. Alfonso, R. Bissio, P. Virnio, "Medias et controle des esprits", in "Manière de voir", 1995, n. 27). Ciò accade perché l'atomo è pesante e lento, il bit leggero e rapido. Il bit infatti diventa il denominatore comune dell'informatica, delle telecomunicazioni, dell'audiovisivo. I bit viaggiando si mescolano facilmente e di fatto aprono l'era digitale. Un mondo con "nuovi attori, nuovi modelli economici, e verosimilmente, un insieme di piccole imprese, fornitrici di informazione e intrattenimento". La parola chiave di questa nuova realtà? Interfaccia. Il suo obiettivo? Rendere il più semplice possibile le modalità d'uso e le vie d'accesso. La complessità delle reti favorisce la nascita di agenti interfaccia, incaricati di organizzare al nostro posto le informazioni di cui si può avere bisogno e di gestire la complessità di tali ricerche. Così, affinché si possa instaurare un vero dialogo tra il computer e noi stessi Nicholas Negroponte suggerisce di offrirgli l'immagine più articolata possibile persino della nostra personalità: finiremo per comunicare con lui verbalmente poiché conosce anche i nostri gusti oltre che i nostri bisogni. Afferma infatti: "Nel mondo digitale il mezzo non è più il messaggio. È giusto una sua materializzazione". La diffusione del digitale preconizza una rapida, profonda e irreversibile frattura nella nostra civilizzazione, ma il senso di questa rottura non è n‚ certo, n‚ univoco. Perché non cogliere questo momento, in cui si annuncia, come è accaduto nel passaggio dagli amanuensi alla stampa, una nuova cultura per orientarne deliberatamente l'evoluzione e il corso? Questo sembra implicitamente l'interrogativo retorico di tutto il libro, perché forse bisogna smettere di ragionare in termini di "impatto", perché la tecnologia predispone, ma poi è l'uomo che dispone; e forse bisogna smetterla di demonizzare il virtuale come se fosse il contrario del reale. La scelta infatti non si pone più tra la nostalgia di un reale datato e un virtuale minaccioso o eccitante, ma tra diverse concezioni del virtuale. L'alternativa in fondo è semplice: o il virtuale riprodurrà lo spettacolare, il consumo di informazioni commerciali, e l'esclusione su vasta scala, oppure ci si deve mobilitare in favore di un progetto di civilizzazione centrato sull'intelligenza collettiva come fondamento di un legame sociale basato sullo scambio dei saperi, riconoscimento, ascolto, valorizzazione delle particolarità, democrazia più aperta, più diretta, più partecipativa. Nell'immediato futuro, il successo del digitale e dell'interfaccia si legano a due funzioni essenziali: l'interattività e la possibilità di scelta cronologicamente consequenziali perché solo la prima consente la seconda. In quest'ottica anche la televisione diventa meno passiva, e l'educazione si arricchisce di una dimensione costruttivista (Seymour Papert). Persino i luoghi non saranno più solo spazi adatti ad accogliere oggetti intelligenti, ma acquisiranno essi stessi le loro proprietà. Attraverso vari aneddoti ed esempi il libro pone, alla fine e in un solo paragrafo, la questione delle possibili conseguenze negative del fenomeno digitale: quelle che concernono la libertà e l'occupazione; ma nelle conclusioni, il libro è esplicitamente favorevole alla supposta cultura del decentramento del potere che il digitale implica consentendo a tutti di accedere direttamente alla conoscenza.
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