Laogai: The Chinese Gulag
recensione 1992
When Harry Wu's home videos of the Chinese gulag were shown on 60 Minutes last September, the American public first learned the dirty secret of China's extensive network of forced labor (laogai) camps. (Earlier, the human rights group Asia Watch showed that Chinese convict labor products were being illegally exported to the United States.) Wu, himself a laogai prisoner for 19 years, is an authentic voice from the vast silence of China's hidden empire. His spare, sober account is a well-documented analysis of the several thousand forced labor camps, where an estimated 16 to 20 million Chinese, perhaps ten percent of them political offenders, labor on prison farms, and in factories and workshops, in a harsh atmosphere permeated by sadism, torture, and malnutrition. The Chinese Communists obviously learned many lessons from their Soviet comrades, whose gulag Solzhenitsyn so brilliantly chronicled. This is a unique and valuable contribution to our understanding of post-1949 China.
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I primi due o tre anni», racconta Harry Wu, «pensi alla tua ragazza, alla tua famiglia, alla libertà, alla dignità: poi non pensi più a niente. Perdi ogni dimensione, entri in un tunnel scuro. Preghi di nascosto. In un laogai non ci sono eroi che possano sopravvivere: a meno di suicidarti o farti torturare a morte. Scariche elettriche. Pestaggi manuali o con i manganelli. L'utilizzo doloroso di manette ai polsi e alle caviglie. La sospensione per le braccia. La privazione del cibo e del sonno. Questo ho visto, e così è stato per preti, vescovi cattolici, monaci tibetani». |
Harry Hongda Wu è nato nel 1937 a Shangai dove ha seguito le scuole cattoliche. Fuggito dalla Cina, dagli anni Ottanta del Novecento vive a Washington dove ha fondato la Laogai Research Foundation, che studia la particolarità cinese dei gulag e soprattutto i suoi addentellati economici nella produzione di merci che invadono il mondo.
La versione di Lettera 22 Venerdi' 15 Settembre 2006
Doveva essere una giornata importante a Roma per la conferenza dell'attivista cinese Hongda Harry Wu, autore del libro "Laogai. I gulag di Mao Zedong", edito dalla casa editrice "L'ancora del Mediterraneo", da oggi nelle librerie italiane. L'autore, di passaggio nella capitale, aveva deciso di parlare dei campi di concentramento cinesi in un book-bar del quartiere storico di San Lorenzo. Ma all'ultimo momento la libreria è stata chiusa: una catena a bloccare l'entrata del locale e un cartello per dire che non se ne faceva più nulla. Sembra che poche ore prima fosse circolata, su alcuni siti internet di destra - di certo in quello di Forza Nuova - la notizia dell'evento e, per timore di possibili aggressioni, i gruppi dei centri sociali di San Lorenzo abbiano deciso di presidiare il luogo dell'incontro. Quando l'autore e lo staff della casa editrice - tra cui il titolare Stefano De Matteis - sono arrivati sul posto la tensione era alta: nessuna traccia dei gruppi di destra ma un presidio numeroso che ha spinto gli organizzatori a disdire la conferenza. Di certo per motivi di sicurezza: "non si può celebrare un evento simile con il presidio in strada" ha dichiarato De Matteis a Lettera 22. Ma anche per la volontà della casa editrice, come ha fatto sapere in un comunicato stampa, "di evitare ogni strumentalizzazione estremistica" dell'incontro, da qualunque parte provenga. Fatto sta che Hondga Harry Wu a breve lascerà l'Italia, e per chi oggi sperava di ascoltare la sua testimonianza non ci sarà a breve un'altra opportunità. Un'occasione sfumata di parlare dei campi di concentramento nati negli anni '50 per combattere i nemici del regime Zedong. Fabbriche-lager dove le persone sono costrette a lavorare più di 18 ore al giorno in condizioni inumane, private del sonno, del cibo, e torturate abitualmente. Dati esaustivi non sono a disposizione, ma secondo la Laogai Research Foundation (associazione di cui Wu è stato il fondatore), esistono oggi almeno 1000 laogai ancora "funzionanti". Circa 50 milioni di persone sono state incarcerate a seguito di processi sommari, e spesso - come è accaduto allo stesso Wu - "solo" per aver criticato il governo. Un sistema, comunque, che secondo l'autore ha notevoli risvolti economici. Già perchè i laogai sono una fonte di ricchezza non da poco per il governo di Pechino: manodopera gratis strappata a una popolazione in catene che, secondo l'associazione, si aggirerebbe tra i 4 e i 6 milioni di persone.
La versione della destra
18 settembre 2006 -Squadristi dei centri sociali aggrediscono il Presidente della Laogai Foundation Grave episodio di intolleranza culturale e inciviltà politica a Roma. È stata impedito con la violenza e l’intimidazione la presentazione di un libro sui crimini in Cina. Il fatto è avvenuto presso la libreria Tuma’s book bar di via Sabelli 17 nel popoloso quartiere di san Lorenzo poco dopo le ore 11. Orario in cui era stato fissato da tempo l’appuntamento: la presentazione del libro, Loagai i Gulag di Mao Zedong autore Harry Wu, presidente della Laogai Foundation, il primo testimone di una verità nascosta. Il primo libro di Harry Wu, che denuncia da oltre 15 anni le atrocità che si commettono in Cuna, tradotto in italiano. Nel saggio viene descritta la vita nei campi di concentramento in Cina, dove ne sono funzionanti oltre 1100. Wu ha fondato l’Associazione Laogai, proprio per descrivere questi crimini. Lui stesso ha “trascorso” 19 anni nei Laogai. La presentazione del libro non si è potuta svolgere perché una cinquantina di attivisti dei Centri sociali , armati di mazze, bastoni e spranghe, ha bloccato l’ingresso nella libreria. Successivamente alcune persone che volevano assistere al dibattito sono state aggredite selvaggiamente. Altri giovani sono stati rincorsi e malmenati per le strade del quartiere. Lo stesso Harry Wu a stento si è sottratto al linciaggio. Soltanto dopo mezz’ora sono intervenute le forze dell’ordine, ma ormai gli aggressori si erano dileguati. Sul gravissimo episodio il presidente della Laogai Foundation Harry Wu ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Sono rimasto veramente sconcertato che dopo il fallimento in tutto il mondo dei regimi comunisti, ci sia ancora in Italia chi nel nome della repressione, intolleranza e del disprezzo delle più elementari nozioni di civiltà impedisca la divulgazione dei crimini che ogni giorno si commettono in Cina”. Anche il presidente della Laogai Foundation Italia Antonio Brandi ha stigmatizzato l’aggressione e ha dichiarato: “Quello che è avvenuto oggi a San Lorenzo è una riprova che i regimi comunisti si possono imporre soltanto con la violenza e l’intimidazione e che denunciare certi crimini dà fastidio a chi vuole imporre le idee con la forza e impedire la denuncia della verità con l’aggressione. Ma questi teppisti non prevarranno e non riusciranno a riportare in Italia indietro di quaranta anni. Ma nessuno fermerà le nostre denunce, il nostro atto di accusa nei confronti di un ignobile regime che ha represso ogni libertà e cerca di imporre in tutto il mondo il proprio negativo modello di sviluppo di capitalismo di Stato”. |