Bön di Marco Vasta
Quando Milarepa, il santo poeta vestito di cotone, giunse alle pendici del Tise, venne gioiosamente accolto dalle divinità locali ma altrettanto ospitale non si mostrò Naro Bön Cho, potente sacerdote che incontrando Mila sulle rive del lago Manasarowar proclamò con sussiego: «Accetta la superiorità della nostra religione ed unisciti a noi!». Milarepa replicò garbatamente «Buddha stesso ha profetizzato che il Kan Rimpoché cadrà sotto l'influenza dei seguaci del Dharma» e inoltre Marpa, il potente mago, non gli aveva a lungo descritto la santità monte? «Il ricordo del mio maestro mi lega alla montagna, sii tu a convertirti!» tagliò corto Milarepa. Naro declinò a sua volta l'invito e propose di risolvere il tutto con un duello di magia. Naro Bön Cho repentinamente si mise a cavalcioni sul lago, ponendo un piede sulla riva opposta e cantando un inno ai propri straordinari poteri. Milarepa rispose coprendo il lago con il proprio corpo «senza allargarlo» e canticchiando una contro canzone. Infine, per meglio chiarire i propri poteri a tutti i presenti, mise l'intero lago sulla punta di un dita senza nuocere a nessuno degli esseri che vivevano nelle acque. Naro, perplesso e stupefatto, ammise una momentanea inferiorità ma volle un'altra prova e si diresse verso la montagna assieme ai suoi discepoli, iniziando a camminarvi attorno in senso antiorario. Milarepa fece lo stesso ma nell'altro senso ed alla fine si incontrarono presso una grande roccia e cominciarono a spintonarsi. Ovviamente, ma questa è la versione buddhista, vinse Milarepa che costrinse il gruppetto di Bön po a proseguire assieme a lui. Allora Naro suggerì una prova di forza e sollevò un macigno grande come uno yak. Milarepa sollevò sia il macigno che Naro e poi si sedette a riposare nella «Caverna del loto». Poi allungò una gamba e con il piede bloccò l'entrata della caverna, posta dove sul pendio opposto della valle, dove si era assiso Naro. Dalle cime e dalle rocce dei ed esseri non umani risero fragorosamente. Umiliato ed in imbarazzo riprese a camminare attorno alla montagna secondo la sua pratica e rincontrò Milarepa, questa volta a sud del Kailash proprio mentre iniziava a piovere. «Ci servirebbe un rifugio - affermò Mila - preferisci costruire le fondamenta o sistemare il tetto?». Naro scelse il tetto. Poco sportivo, Milarepa ricorse ai suoi poteri e rese così pesante la pietra destinata alla copertura che Naro non riuscì a sollevarla. Milarepa intervenne alzandola, rigirandola, soppesandola e lasciando ogni volta l'impronta delle mani sulla roccia e il rifugio così allestito divenne la «Caverna del lavoro miracoloso». Naro, sebbene umiliato, sostenne giustamente che questa non era una prova concordata e non si diede per vinto. Si ricorse così ad un'ultima sfida. Il Kailash sarebbe stato posseduto da chi avesse raggiunto la vetta nel quindicesimo giorno del mese. Naro immediatamente iniziò ad esercitarsi dedicandosi assiduamente alle pratiche Bön. Ai primi albori del mattino stabilito i discepoli di Milarepa videro Naro iniziare un volo nello spazio a cavallo di un tamburo. Indossava una veste verde e suonava uno strumento musicale. Il loro maestro non si era ancora svegliato e i discepoli erano veramente preoccupati. La loro ansietà era aumentò quando Milarepa, informato degli eventi, mostrò poco interesse e non si mosse. Ma i discepoli non ebbero da temere poiché proprio all'ultimo momento Milarepa fermò il suo avversario con un semplice gesto. Quando il giorno tinse di rosa il cielo egli schioccò le dita, indossò la tunica e volò verso la cima. il primo raggio di sole illuminò Milarepa trionfante mentre atterrava in cima al Kailash. Sorpreso, Naro Bön Cho perse il controllo e precipitò lungo i fianchi del monte seguito da tamburo che rotolava di cengia in cengia.
Il leggendario confronto fra il santo cantautore ed il mago Bön Cho indica che sicuramente le due fedi ebbero modo di scontrarsi per il controllo religioso del Tibet ed in questa leggenda rintracciamo molti elementi per comprendere, attraverso le nebbie del tempo, le lontane origini del Bön. Il monte Kailash è sacro alle religioni Hinduista, Buddhista, Jainica e Bön. Rappresentazione concreta del mitico monte Meru, è l'axis mundi per milioni di asiatici. I Bön lo chiamano Tise e lo considerano l'anima dello Shang Shung, il Tibet occidentale. Esso torreggia sopra le sfere celesti come un parasole con otto anelli e sopra la terra come un loto ad otto petali. E' la residenza di 360 Gi Kod, una classe di dei specifica del Kailash e chiaramente associata al ciclo dell'anno solare. Abbiamo quindi la possibilità di identificare la regione dove nacque questa religione ed anche supporre quali fossero le divinità originarie. Ma il Tise è anche la corda che collega terra e cielo lungo la quale il corpo di emanazione di Shen Rab, fondatore del bön modificato, scese sulla terra. I primi re tibetani erano uniti al cielo, da cui scendevano, mediante una corda che partiva dalla loro testa ed compito dei sacerdoti Bön era quello di proteggere i re e quindi l'intero popolo. Religione quindi istituzionale che aveva assimilato anche elementi sciamanici, volare su un tamburo era infatti una prerogativa di maghi, esorcisti e sciamani nelle credenze popolari. La cosmogonia Bön ci offre anche altri miti, non presenti nella leggenda di Mila vestito di cotone e di Naro, che si rifanno allo scontro bene e male, dio buono contro dio malvagio ed in questo autorevoli studiosi hanno individuato elementi iranici. Questa a grandi linee potrebbe essere stata la religione Bön agli inizi della nostra era prima che Atisha e Padma Sàmbhava, il nato da loto, introducessero sul tavoliere tibetano quella versione del Buddhismo tantrico che noi conosciamo come Vajarayana, la via di diamante, più comunemente Lamaismo. Se il Buddhismo voleva prevalere nel Tibet doveva assumere il controllo di questa montagna così simbolica sottraendola ai Bön po. Ed alla fine ci riuscì appropriandosi delle forme di culto e della fitta schiera di genii loci delle montagne che, secondo la tradizione canonica, Padma Sàmbhava sconfisse e trasformò da nemici in protettori del Buddhismo. Non che i Bön si arrendessero facilmente se è vero che essi spinsero il re Langdarma a cacciare i lama dal Tibet. Ma Langdarma venne ucciso e pian piano il Vajrayana si diffuse definitivamente su tutto l'altopiano. Ma il Bön non scomparve: così come gli dei delle montagne si erano adattati e sottomessi alla predicazione di Padma Sàmbhava così il Bön si mimetizzò trasformando iconografia delle divinità, testi canonici e liturgie dalle forme originarie in copie della religione lamaista. Artefice di questa grande opera di plagio fu Shen Rab Mi Bö, mitico o realmente esistito, che è raffigurato esattamente come Padma Sàmbhava. Il Bön con il passare dei secoli si è talmente modellato sul Vajrayana da rendersi quasi indistinguibile. Bön e Lamaismo si sono compenetrati specialmodo nelle correnti più esoteriche come i Nyima Pa, la più antica delle sette, e il Bön ha mantenuto radici in tutta l'area tibetana assumendo talvolta diversità regionali. Ma per gli uomini delle montagne le distinzioni filosofiche e teologiche sono prive di significato e le due religioni sono in fondo espressione della stessa fede. Camminare attorno ad un chorten od attorno al Kailash in un senso o nell'altro non ha, alla fine, nessuna importanza poiché Dio, sosteneva un saggio lama, non siede isolato in vetta alle montagne ma è ovunque sia l'uomo. |