Nella terra della morte bianca
Nel 1912, sei mesi dopo che Robert Falcon Scott e i suoi uomini morirono su i ghiacci dell’Artico, il trentaduenne ufficiale di navigazione russo Valerian Albanov si imbarcò sulla Santa Anna in una spedizione che si sarebbe rivelata persino più disastrosa. Alla ricerca di nuovi terreni di caccia, la Santa Anna rimase ben presto intrappolata nella gelida morsa del Mar di Kara – una sventura resa ancora più grave da un comandante incompetente, dall’assenza di carte nautiche fondamentali, insufficiente carburante e da scorte inadeguate che indebolirono e debilitarono l’equipaggio colpito dallo scorbuto. Per quasi un anno e mezzo, venticinque uomini e una donna sopportarono terribili privazioni e pericoli, inesorabilmente trascinati verso nord dalla deriva. Certi che la non si sarebbe mai liberata dai ghiacci, Albanov e altri tredici uomini dell’equipaggio abbandonarono la nave nel gennaio del 1914, nel disperato tentativo di sfuggire al destino di morte, attraversando il mare ghiacciato con slitte e kayak improvvisati, nella speranza di raggiungere le lontane coste della Terra di Francesco Giuseppe. Con il solo aiuto di una mappa inesatta, Albanov guidò i suoi uomini lungo un pericoloso ed estenuante viaggio di 235 miglia durato 90 giorni, fra tempeste, tratti di mare aperto, ghiacciai, attacchi di orsi polari e trichechi, inedia, malattia, ammutinamento fino alla terraferma. Tratto dal diario che l’autore tenne durante l’odissea, Nella terra della morte bianca pubblicato per la prima volta in Russia nel 1917 e riscoperto da Jon Krakauer (l`autore di Aria sottile), è uno dei rari capolavori della letteratura sulle esplorazioni polari e merita di essere paragonato ai testi classici di Fridtjof Nansen, Robert Falcon Scott, Apsley Cherry-Garrard e Sir Ernest Shackleton.
|