Messico
Nel 1930, Cecchi insegnava in California. Pensò di scendere verso il Messico. Fu un viaggio infero, anche se il viaggiatore tentava di nasconderlo, con la sua urbanità ironica e nemica dell’enfasi. Ma si accorse subito che nessun sapido detto toscano avrebbe potuto arginare l’invadenza delle visioni. A Hollywood, il suo sguardo si sofferma su Buster Keaton, «che cammina sbadato, inciampando nei detriti di un mondo capovolto». E subito cerca un allevamento di alligatori, centinaia di creature catafratte, di ogni dimensione, che guardano il visitatore «con l’occhio dell’ergastolano».
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scheda di Rondolino, G., L'Indice 1985, n. 4
Può darsi che abbia ragione Gianfranco Contini a definire "Messico" "il più bel libro di Cecchi", così come probabilmente ha ragione Italo Calvino, nella prefazione, a scrivere - "Il libretto che raccoglie le sue cronache di viaggio, uscito nel 1932 da Vallecchi, è una lettura godibile oggi forse ancor più d'allora". Certo è che queste pagine esemplari, a metà strada fra l'appunto di viaggio e l'elzeviro di terza pagina (del "Corriere della sera"), contengono non soltanto una serie di informazioni, osservazioni e giudizi su culture, società e costumi per i quali continuiamo a mostrare interesse, ma anche un'indicazione di stile, nel senso di padronanza della scrittura, che ci permettiamo di invidiare. Cecchi osserva con grande attenzione e partecipazione umana i luoghi meno frequentati della California e del Messico, la natura, gli uomini, le cose, e ce ne fornisce ritratti memorabili. A cinquant'anni di distanza essi ci parlano e ci istruiscono - basti pensare ai capitoli su Hollywood o sui musei e monumenti messicani - , in una forma al tempo stesso accattivante e profonda. |