L'India (senza gli Inglesi)
Infaticabile viaggiatore per dovere e per passione, Pierre Loti è stato un autore altrettanto infaticabile di racconti di viaggio, finora ingiustamente penalizzati dalle rare traduzioni italiane. Questo suo diario indiano del 1903 lo colloca a pieno titolo nella grande stagione tardoromantica, tanto sensibile al fascino di un paese idolatrato come la culla della più remota civiltà. L'India descritta da Loti è un paese di infiniti contrasti. È l'India dei templi fiabeschi e dei palazzi sontuosi dei raja, ma anche l'India che agonizza per fame. Terra di morte e di rovine, corrosa dal tempo (ma non dalle passioni politiche: il titolo è una promessa, non vi sono accenni, nel libro, al colonialismo britannico), eppure terra di eterno incanto. Un paese in cui, tuttavia, Loti sa anche tratteggiare un'immagine straordinariamente vicina alla nostra sensibilità contemporanea: l'India come mèta di un pellegrinaggio mistico, come rifugio per le anime inquiete in cerca di un "altrove" lontano dagli pseudovalori della civiltà Occidentale.
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(Rochefort sur Mer 1850 - Hendaye 1923) Diplomatosi all'Accademia Navale di Brest, affiancò nei 43 anni di Marina militare un'intensa attività di scrittore di romanzi e libri di viaggio in cui descrive magistralmente la cultura dei più lontani paesi conosciuti in missione (specialmente Medio ed Estremo Oriente). Nel 1891 divenne il più giovane membro dell'Académie française. Fu letto e apprezzato da Nietzsche, Proust e Van Gogh. |