La storia dello schiavo è depositata nel manoscritto H. 6 che è stato redatto nel 1156 e ritrovato nella sinagoga di Ben Ezra al Cairo. Questa sinagoga è stata il più ricco archivio di testi arabo-ebraici. Con in mano soltanto il frammento di una lettera Ghosh si mette alla ricerca di un ignoto schiavo di cui non conosce neppure il nome, e che tuttavia gli appare come una chiave per intendere e raccontare i legami tra la sua India e l'Antico Egitto. Punti di partenza e centro della vicenda sono due piccoli villaggi egiziani di oggi. Nei vicoli di terra battuta, nelle amicizie con i loro abitanti, nel profondo rispetto reciproco e nelle differenze di usi e religioni l'autore cerca vecchi legami. Così le storie dell'antico schiavo e del ricercatore si intrecciano.
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Attraversando di continuo i sottili confini che separano il presente dal passato, con in mano soltanto un frammento di una lettera scritta da un mercante arabo del XII secolo, Amitav Ghosh si mette alla ricerca di uno schiavo indiano di cui non conosce neppure il nome, e che tuttavia gli appare come una chiave per intendere e raccontare una Storia fatta di tante storie, diaspore e guerre, rotture e sparizioni. Centro della vicenda sono due villaggi egiziani, luoghi di uno straordinario apprendistato linguistico e umano, e punti di partenza per una lunga indagine: per più di dieci anni Ghosh insegue lo sconosciuto, costruendo un meraviglioso romanzo in cui tutto è rigorosamente vero. Ombra consapevole dell'antico schiavo, il moderno ricercatore percorre un duplice itinerario: quello nell'universo medievale, lungo le rotte mercantili che dal Maghreb all'Egitto, attraverso il deserto e l'Oceano, portano in India; e quello nell'universo contemporaneo di archivi e biblioteche, lungo le rotte aeree che lo conducono più volte da oriente a occidente, da una religione all'altra, da una lingua all'altra. Se è vero, come dicono gli indiani, che l'uomo libero sa parlare agli déi, allora, senza dubbio, Amitav Ghosh è un uomo, uno scrittore libero.
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