Le vie dei canti
Per gli aborigeni australiani, la loro terra era tutta segnata da un intrecciarsi di «Vie dei Canti» o «Piste del Sogno», un labirinto di percorsi visibili soltanto ai loro occhi: erano quelle le «Impronte degli Antenati» o la «Via della Legge». Dietro questo fenomeno, che apparve subito enigmatico agli antropologi occidentali, si cela una vera metafisica del nomadismo. Questo ultimo libro di Bruce Chatwin, subito accolto con entusiasmo di critica e lettori quando è apparso, nel 1987, potrebbe essere descritto anch’esso come una «Via dei Canti»: romanzo, viaggio, indagine sulle cose ultime. È un romanzo, in quanto racconta incontri e avventure picaresche nel profondo dell’Australia. Ed è un percorso di idee, una musica di idee che muove tutta da un interrogativo: perché l’uomo, fin dalle origini, ha sentito un impulso irresistibile a spostarsi, a migrare? E poi: perché i popoli nomadi tendono a considerare il mondo come perfetto, mentre i sedentari tentano incessantemente di mutarlo? Per provare a rispondere a queste domande occorre smuovere ogni angolo dei nostri pensieri. Chatwin è riuscito a farlo, attirandoci in una narrazione dove i personaggi, i miti, le idee compongono un itinerario che ci guida molto lontano.
Bruce Chatwin, l'autore di questo libro, è morto il 18 gennaio a Nizza di una malattia che, secondo le poche notizie giunte in Italia, aveva contratto in uno dei suoi molti viaggi. Aveva quarantotto anni ed era un personaggio atipico nel mondo letterario inglese, come si può facilmente intuire dagli avvenimenti della sua vita e dalle numerose note autobiografiche che si trovano nei suoi romanzi. Chatwin iniziò a lavorare molto giovane come esperto d'arte per Sotheby, occupandosi in particolare d'impressionismo, e lavorò al "Sunday Times" come giornalista. Nel 1962 iniziò a viaggiare per il mondo, visitando fra l'altro l'Africa, l'Afghanistan, l'Unione Sovietica, l'America del Sud e l'Australia, ed interessandosi del fenomeno del nomadismo. Al 1977 risale il suo primo libro, "In Patagonia", pubblicato in Italia nel 1982 da Adelphi, come le altre sue opere: "Il vicerè di Oujdah", forse il più tradizionale dei suoi romanzi, ambientato in Brasile; "Sulla collina nera" le cui vicende si svolgono in Galles, e questo "Le vie dei canti", che tratta di una tradizione degli aborigeni australiani secondo i quali la loro terra è attraversata da strade invisibili che si possono seguire solo se si conosce un canto che fu funge da guida. Poco prima di morire, Chatwin aveva terminato il suo quinto libro, ambientato in Europa.
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Colpa di un esotico fungo cinese, come personalmente descrisse la causa della sua prematura scomparsa, o troppe frequentazioni quando si aggirava per la brughiera avvolto in un mantello, come racconta la moglie, Chatwin ci lascia a quarantotto anni. Scrittore e viaggiatore britannico, Bruce Chatwin è diventato celebre per i suoi racconti di viaggio. Dopo aver compiuto gli studi presso il Marlborough College, nello Wiltshire, inizia a lavorare presso la prestigiosa casa d’aste londinese Sotheby’s, diventando in poco tempo uno dei più competenti esperti di arte impressionista. A ventisei anni abbandona il lavoro e s’iscrive all’Università di Edimburgo per approfondire la sua passione per l’archeologia. Dopo gli studi inizia a viaggiare per lavoro: prima in Afghanistan, poi in Africa, dove sviluppa un forte interesse per i nomadi e il loro distacco dai possedimenti personali. Nel 1973 viene assunto dal «Sunday Times Magazine» come consulente per temi di arte e architettura. Questo nuovo impiego gli permette di continuare a viaggiare e a lavorare come inviato dall’estero. Dopo aver vissuto sei mesi in Patagonia scrive il libro che consacra la sua fama di scrittore di viaggi, In Patagonia (1977). Verso la fine degli anni Ottanta Chatwin si ammala di AIDS, nascondendolo fino alla fine. Passa gli ultimi giorni della sua vita, con la moglie, nel sud della Francia, morendo a quarantotto anni. |