Presentazione di Wu Ming 2
Facciamo un esperimento. Dimenticate per un attimo l’età anagrafica di questo libro e immaginate che sia uscito ieri. Terminata la lettura, che cosa vi resta? Intendo dire: cosa c’è dentro Walden a prescindere dal suo essere un classico, pieno di citazioni, rimandi, enigmi filologici, per non parlare di quanto può aver influito nella costruzione di un’identità yankee? Due elementi spiccano tra gli altri: uno più seduttivo, l’altro più strategico. Sono pronto a scommettere che tutti i commenti su Walden, anche i tanti che non ho letto, contengono prima o poi l’aggettivo attuale, quasi si trattasse di un appellativo omerico, appiccicato alla copertina come un secondo sottotitolo. In effetti, molti temi affrontati qui per la prima volta sono più urgenti oggi di centocinquant’anni fa. La ricerca di uno stile di vita sostenibile, il dialogo con le filosofie orientali, il rapporto paritario con la Natura, la critica al lavoro e alla società dell’abbondanza. Eppure, la grande attualità del libro, ciò che tuttora lo rende efficace, non emerge da questi contenuti. Se è vero che Thoreau ha inaugurato determinate riflessioni, così vivaci da interrogarci ancora, è normale che le sue risposte non sembrino più tanto originali. Il dibattito odierno ci ha pasteggiato fin dagli inizi e la digestione è ormai a buon punto. Ciò non toglie che la lettura di Walden quasi ti costringe a impugnare la matita per sottolineare frasi, aforismi illuminanti, slogan ideali per una collezione di T-shirt. Merito di una scrittura limpida e tagliente, capace di cambiare registro a ogni capoverso: dalla precisione del naturalista alle metafore del veggente, dai numeri del contabile alle liriche del poeta, dalla spocchia intellettuale alla semplicità del boscaiolo. È come guardare le imprese sportive di un calciatore d’altri tempi e confrontarle con quelle dei nuovi campioni. Da una parte eleganza e leggerezza, dall’altra muscoli e risultati. La voce di Thoreau, la sua capacità retorica, è proprio l’elemento seduttivo cui accennavo sopra. Impossibile non restarne affasci nati. Detto questo, sono convinto che su cento lettori almeno novanta arrivino in fondo al libro dopo aver saltato interi capoversi, con descrizioni di scoiattoli e nevicate. Dal punto di vista stilistico, quelli sono i passaggi più sorprendenti, veri e propri documentari con cent’anni d’anticipo. Fatto sta che l’elemento seduttivo non basta a sé stesso. Poi, ricordate l’esperimento: il libro è uscito ieri, i filmati di Richard Attenborough sono già roba vecchia. Allora, è del tutto evidente che Walden ci intriga al di là delle considerazioni estetiche. Non è l’ennesimo classico da contemplare, c’è qualcos’altro. La mia impressione è che in questo scritto Thoreau abbia delineato una metodologia ben precisa, un modo di pensare, una cassetta degli attrezzi per riparare guasti ancora aperti. Questo metodo Walden integra in maniera inedita tre diverse strategie, in apparenza molto distanti: l’essenzialità, lo humour e il selvatico. Vediamo di cosa si tratta.
1) Essenzialità. Mentre le ideologie godono sempre di ottima salute, i valori condivisi rischiano davvero l’estinzione. Individualismo e Civiltà – due facce della stessa medaglia – sono in agguato per occuparne la nicchia biologica. L’etica sperimentale del Walden ha le carte in regola per respingerli entrambi. Quando Thoreau costruisce la capanna sulle rive del lago, non lo fa per una scelta di vita. Due anni dopo soggiorna di nuovo nel mondo civile. Si tratta piuttosto di un esperimento di filosofia pratica, la ricerca di un’unità di misura per valutare le proprie abitudini. Essenzialità non significa privazione. È solo il punto di partenza per una maggiore consapevolezza. I comportamenti più radicati, le convenzioni sociali, vizi & virtù: tutto va messo in discussione e valutato di persona. «Non ci si può fidare, senza prove, di alcun modo di pensare o di fare, per quanto antico». Non stupisce che un intero capitolo illustri come l’autore ha determinato la profondità dello stagno, da tutti considerato senza fondo. Ogni uomo deve trasformarsi in San Tommaso e infilare il dito nelle piaghe della Tradizione. Occorre azzerare l’etica e ripercorrerla da capo, senza la pretesa di approdare a un sistema assoluto e valido per chiunque. Spinoza provò a dimostrare i principi dell’etica come fossero teoremi; Leibniz sognò un linguaggio matematico, dove qualunque disputa potesse risolversi calcolando; per Thoreau, l’unica certezza è la capacità dell’uomo di scegliere e cambiare. «Io non vorrei che nessuno adottasse il mio modo di vita […]; perché […] desidero che ci sia al mondo il maggior numero possibile di persone diverse; ma renderei ciascuno molto attento a scoprire e perseguire il suo modo». Detta così, pur col solito fascino, sembra la classica frase relativista che esalta la diversità per giustificare l’indifferenza Thoreau canta l’individuo, esalta l’autonomia e non potrebbe essere altrimenti: ciascuno deve fare il proprio cammino. Eppure il suo spirito nomade, quella che lui stesso chiama extra-vaganza, gli impedisce di isolare il singolo in un castello al centro del mondo, «come se ci fosse sicurezza solo nella stupidità». La vera sicurezza sta nell’umorismo, che mette in crisi l’individuo e il suo essere misura di tutte le cose. «L’universo è più vasto di ciò che vediamo».
2) Humour. Da Freud a Pirandello, da Bergson a Bateson esistono molte teorie dell’umorismo, ma quasi tutte concordano nel farlo sorgere da una contraddizione, un’incongruenza di significato che genera stupore. A sua volta, questa meraviglia può esaurirsi in sé stessa, produrre una sonora risata o sfociare in un atteggiamento divertito che coinvolge tanto l’incongruenza iniziale che la meraviglia stessa. Ci si stupisce del proprio stupore, perché chi ride con umorismo ride soprattutto del suo modo di vedere il mondo. Come scrive Calvino nelle Lezioni americane, lo humour – a differenza della comicità – «mette in dubbio l’io e il mondo e tutta la rete di relazioni che lo costituiscono» . I Viaggi di Gulliver – in questo senso – è il romanzo umoristico per antonomasia, e Walden gli somiglia più di quanto non emerga a prima vista. Mettete lavoratori irlandesi e filosofi wasp al posto di Lillipuziani e Cavalli saggi e il gioco è fatto. L’ incongruenza fondamentale nasce dal primo passo del metodo Walden. L’essenzialità genera letture inattese per situazioni usuali e questa divaricazione tra vecchio e nuovo è sempre contraddittoria. In alcuni casi, l’uomo dei boschi si limita a fare propria la nuova prospettiva e a difenderla con l’ard o re tipico dei convertiti. In altri, deride le vecchie convinzioni, divertito dalla loro assurdità. Ma nei passaggi più profondi, proprio grazie all’umorismo, prende coscienza del suo essere profondamente meticcio: la purezza dell’eremita è lontana mille miglia, la città più vicina, una manciata di chilometri. «Nessuno è così povero da doversi sedere su una zucca. Quella sarebbe indolenza». Come si vede, anche l’essenzialità ha le sue incongruenze. Anzi: cosa c’è di più contraddittorio del tentativo di smantellare le convenzioni a partire dall’individuo, sorgente primaria di qualsiasi abitudine? La contraddizione è nell’occhio di chi guarda. Ecco per quale motivo nessuno può trasform a re il proprio percorso di verifica in punto di vista assoluto. La verifica non ha un traguardo, agisce su se stessa, come una funzione ricorsiva: «Lasciai i boschi per una ragione altrettanto valida di quella per cui vi ero andato. Forse mi sembrava di avere parecchie altre vite da vivere […]. Ero là da appena una settimana e già i miei piedi avevano segnato un sentiero dalla porta della mia casa alla riva dello stagno».
3) Selvatico Thoreau punta sul singolo per due ragioni. La prima è di carattere metodologico: ciascuno deve partire da se stesso. La consapevolezza nasce da un’indagine personale; se fosse un processo collettivo, puzzerebbe troppo di consuetudine. A bilanciare questa pre messa, interviene lo humour. La seconda ragione, è di natura pratica: «L’uomo che viaggia da solo può partire oggi; ma chi va con un altro deve aspettare finché l’altro è pronto». Ciò non toglie che anche tra gli individui, non tutti siano pronti allo stesso modo. Thoreau dichiara più volte di voler lasciare tranquille le persone soddisfatte, contente di lavorare e vivere in società. Chi ha bisogno di una nuova vita appare più pronto di chi potrebbe solo desiderarla. Questo riferimento alla dimensione materiale del bisogno, amplifica l’esperienza del singolo e la rende collettiva. I più pronti a «perdere il mondo per ritrovare se stessi», sono coloro che, in quel mondo, hanno ben poco da guadagnare. La loro ricerca – benché individuale – nasce tanto da pulsioni intime che da esigenze condivise. I più pronti, allora, dovrebbero far coincidere le proprie necessità spirituali e materiali. La loro ricerca – benché individuale – approderebbe così a risultati più ariosi. Purtroppo, l’uomo non è (più) capace di conciliare spirito e materia. Solo nel contatto con la Natura può sperimentare una parvenza di unità ed imparare così a riprodurla. Nella Natura, infatti, c’è un elemento che coinvolge spirito e materia allo stesso modo, una sorta di sintesi tra i due opposti. Questa sintesi è il selvatico: «Ci serve essere testimoni della trasgressione dei nostri stessi limiti, e di qualche vita al pascolo libero là dove non vagabondiamo mai». Dosi abbondanti di selvatico rieducano l’individuo a sentire la vita, che è un brulicare del cuore e dello stomaco. E se il cuore batte in ciascuno a un ritmo diverso, lo stomaco è più o meno lo stesso per tutti. Il tonico della Natura diventa così un alleato ulteriore per sconfiggere i rischi dell’individualismo.
Basta così. Forzature ne ho fatte a sufficienza. Immagino che questo parlare di un metodo Walden sia poco più che un delirio personale. Ciononostante, considero lo stesso i tre elementi che ho evidenziato – essenzialità, umorismo e selvatico – quanto di più originale e innovativo ha da offrirci questo libro, anche nel caso li considerassimo separati. L’essenzialità, come indagine sul proprio stile di vita, di consumo e di pensiero, è all’ordine del giorno per tutte quelle persone che hanno bisogno di un altro mondo, che lo ritengono possibile, che considerano necessario iniziare a costruirlo subito, adesso, a partire dalle scelte di ciascuno. Sicuri che queste scelte, se nascono dal cuore e dallo stomaco, sono destinate a confluire. Lo humour, preso in sé, è l’unica valida alternativa agli stili retorici dominanti: l’apocalisse e l’ironia, che avvolge e raffredda qualsiasi discorso, arte di non mostrarsi mai coinvolti, sempre distaccati, per poter restare in bilico e decidere all’ultimo se farsi prendere sul serio. L’umorismo non lascia scampo a questo atteggiamento: chi osserva finisce osservato; chi vorrebbe sfiorare la superficie rimane sommerso; chi amerebbe giocare con la contraddizione se la ritrova negli occhi. Senza mai perdere la leggerezza. Infine, quella del selvatico è una prospettiva ancora piuttosto inusuale nel nostro rapportarci con la Natura. Da una parte la «difesa dell’ambiente», perfettamente giusta e auspicabile in quanto tale, ci ha condannati a una perenne nostalgia di purezza; dall’altra, «amore per la Natura» è diventato uno slogan, un atteggiamento condiviso ma svuotato di senso. Grazie a questo libro possiamo tornare a percepire la Natura come una vibrazione selvaggia, che si propaga allo stesso modo da vette incontaminate o prati suburbani, per risuonare dentro ciascuno di noi, a metà strada tra lo stomaco e il cuore.
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