Cinesi
Le buone maniere dei cinesi di J. C. Yang In passato i cinesi si salutavano tenendo la mano sinistra nella destra e sollevandole di fronte al petto; in pratica, stringevano la mano a se stessi. Nel corso del ventesimo secolo quest’abitudine è stata quasi del tutto abbandonata, ed è normale stringere la mano agli stranieri, oltre che agli altri cinesi. In famiglia è raro che si dimostrino forti emozioni; se all’arrivo in aeroporto vedete qualcuno in attesa che, quando arriva il passeggero, gira semplicemente i tacchi e si avvia fuori, con tutta probabilità si tratta di marito e moglie, di madre e figlio, o di fratelli e sorelle che si ritrovano per la prima volta dopo anni. L’esibizione dei sentimenti, per i cinesi, è inversamente proporzionale alla loro profondità. Perfetti estranei possono sentirsi fare domande molto esplicite: «Quanti anni ha?»; «Quanto guadagna?»; «Come mai siete sposati da due anni e ancora non avete figli?». Non si tratta di maleducazione, e ci si aspetta una risposta (anche se non c’è niente di male nel rispondere evasivamente, truccando un po’ i fatti). Ci sono però cose che farete bene a evitare di dire, a scanso di imbarazzi. «Come è carina sua figlia», fa pensare all’interlocutore: «Guarda questo animale, ha messo gli occhi su mia figlia». E non costringetelo a fare un bel gesto solo per educazione; non dite, per esempio: «Che bel quadro!» («Oh no, vuole che gli regali il mio Picasso»).
i saluti
La lingua cinese ha un’espressione per «Buon mattino» e una per «Buona notte»: in mezzo non c’è niente. Negli altri momenti della giornata si va da un semplice grugnito a «Come sta?», fino all’affermazione dell’ovvio («Oh, è andato a far compere!», «Oh, siete scesi dall’autobus»). La replica più comune sarà «Ha già mangiato?», che riflette l’onnipresente ossessione cinese per il proprio stomaco. Ma non dovrete rispondere di no, perché dareste l’impressione di volervi far invitare fuori a pranzo. Le forme di cortesia un tempo erano assai complicate. La moglie altrui veniva chiamata «La sua Grande», ma la propria moglie era «La mia disgraziata spina nel fianco». Analogamente si diceva «Il tuo onorevole cognome», ma «Il mio piccolo cognome»; «Il tuo principe» ma «Quel mendicante di mio figlio». Oggi si usano espressioni più normali. Una nuova parola che si è affermata nell’uso comune, per indicare il coniuge, è ai-ren, l’amante, e indica uguaglianza tra i partner. Tra amici è comune l’uso di soprannomi, spesso ispirati da caratteristiche fisiche, e non sempre gentili: Spilungone, Muso di topo, Pelatore d’angurie (per chi ha gli incisivi sporgenti). «Dopo di lei», «No, dopo di lei». La battaglia per dare la precedenza può causare gravi ingorghi davanti alle porte, e impedire l’uso degli ascensori. Fortunatamente questa gentilezza si applica soltanto a chi si conosce bene, quindi il problema è limitato; gli altri, gli sconosciuti, non esistono. La persona che si è quasi messa in ginocchio per supplicare l’amico di precederla nell’ufficio, due secondi dopo sgomita nella coda per il taxi, spingendo vecchiette nelle pozzanghere. Al ristorante è buona norma lottare per avere il conto. Se finite per pagare voi, fa male al portafoglio ma conta come una vittoria morale sui vostri commensali. La tattica più ragionevole consiste nello scivolar via a lavarvi le mani quando diventa chiaro che il momento del conto si avvicina. Al ritorno vi affretterete verso la tavola gridando al cameriere di portarvi il conto. Qualcuno naturalmente l’avrà pagato mentre eravate via: ma farete anche voi una bella figura.
il galateo a tavola
Per i cinesi mangiare è un piacere, e non vogliono certo rovinarselo per seguire qualche stupida regola. Si può quindi parlare a bocca piena, e chi se ne frega se qualcuno risputa il cibo nelle scodellone comuni nel corso di un’accesa discussione. Non nascondete la mano libera sotto la tavola o tutti si chiederanno che cosa stiate facendo. Non mettetevi mai le dita in bocca. Se avete tra i denti un ossicino o qualcosa di schifoso di cui volete liberarvi, sputatelo sulla tovaglia o sul pavimento. Perfino un bambino sa che mettersi le mani in bocca è da sporcaccioni.
Tratto da J. C. Yang, Cinesi, Edizioni Sonda, 1995, pp. 39 - 42
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