Kundun (DVD)
Trama Nel 1937 in Tibet, un bambino di due anni e mezzo proveniente da una modesta famiglia viene riconosciuto come quattordicesima reincarnazione del Buddha della compassione, destinato a diventare il Dalai Lama, guida spirituale e politica della sua gente. Negli anni Quaranta, il bambino cresce sotto l'insegnamento degli anziani maestri buddisti, pronto a diventare per tutti esempio di una indomita volontà e di un fervido impegno religioso. La seconda guerra mondiale tocca solo marginalmente il Tibet ma è sul finire del decennio che i nuovi assetti politici si abbattono con forza e violenza sul Paese fino a cambiarne il corso della storia. Nel 1950, quando il Dalai Lama ha 15 anni, l'esercito comunista cinese del presidente Mao invade il Tibet, proclamandolo territorio della Cina. Ma il giovane Dalai oppone resistenza, rifiutando con fermezza di venire meno ai basilari principi del Buddismo, compresa l'ideale della non-violenza. Infine accoglie l'invito a recarsi a Pechino, dove Mao lo tratta con affabilità ma poi gli conferma che la situazione è irreversibile e che la religione deve essere bandita dalla mente delle popolazioni. Tornato a casa, il Dalai cerca ancora di organizzare una opposizione, che vorrebbe mantenere pacifica, ma i soldati cinesi infieriscono, provocando stragi e uccisioni di massa. Il Dalai vorrebbe non muoversi dal palazzo, ma gli anziani monaci insistono e nel 1959 si decide a prendere la via dell'esilio. Dopo un lungo, estenuante viaggio il Dalai Lama arriva al confine con l'India, dove viene accolto con tutti gli onori. Ha 24 anni ed oggi, 39 anni dopo, aspetta ancora di poter tornare nella propria terra.
|
"Con belle intuizioni visive Scorsese traduce i concetti di lontananza e di solitudine ricorrendo non solamente ai campi lunghi su carovane o monaci a cavallo secondo una scontata tradizione narrativa hollywoodiana. Tenzin è come separato dai precettori e dai monaci che pure lo circondano. Il bambino e poi ragazzo e poi giovane uomo abita in uno spazio che esclude il prossimo; e lui fissa gli altri da dietro lo sportello di una lettiga, dall'alto di una finestra, al di qua del vetro di un'automobile che, se abbassato, una mano subito richiude. Il cannocchiale con cui Tenzin scruta Lhasa - la città proibita - e l'avanzata delle truppe di Mao è simbolo, sì, dell'attrazione per la odiernità percepita dal Dalai Lama ma anche della solitudine che attende il testimone di una saggezza secolare che Scorsese, semplificando di molto le cose, riassume nel concetto della non violenza che, aggiunge, per affermarsi "chiede tempi lunghi". (Francesco Bolzoni, 'Avvenire', 27 marzo 1998) "Poco o nulla capiamo del Tibet prima e all'infuori del Dalai Lama. Cultura materiale, amministrazione, rapporti fra i monaci e le altre caste, restano nell'ombra mentre Mao, chissà perché, è un giovanottone dalle movenze quasi gay. Eppure, quando abbandona lo script di Melissa Mathison per seguire la strada visionaria, grazie anche alla fastosa ambientazione che Dante Ferretti ha ricreato in Marocco, 'Kundun' offre momenti memorabili: la morte del padre, squartato e offerto agli avvoltoi secondo tradizione; le danze degli sciamani, i mandala che si disfano o si creano sotto i nostri occhi come mistici labirinti. Ma forse il cuore di questo film spiazzante e spaesato è proprio nell'infanzia del Dalai Lama, nel suo resuscitare il mito di un potere puro, perfetto, mondato dalla sua contropartita di violenza, senza angoscia né ombra, senza errori né tormenti. Un potere che non esiste, almeno su questa Terra". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 30 marzo 1998) |