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22/11/2024 06:42:54

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Karawan

Dal deserto al web

Mernissi Fatima


Editeur - Casa editrice

Giunti Editore

Africa
Marocco
Islam


Città - Town - Ville

Firenze

Anno - Date de Parution

2004

Pagine - Pages

255

Titolo originale

Les Sindbads Marocains: Voyage dans le Maroc Civique

Lingua originale

Lingua - language - langue

italiano

Edizione - Collana

Astrea


Karawan Karawan  

Fatema Mernissi propone un'antica e infallibile ricetta per favorire l'arte del confronto: partire per un viaggio. E invita il lettore alla scoperta di un Marocco che non si trova sulle guide del turismo di massa, né s'incontra fra le pagine e le immagini che focalizzano soltanto l'incubo del terrorismo islamico. Ci racconta di una carovana che è al tempo stesso reale e virtuale, fatta di gente in carne e ossa come anche di figure mitiche - Sindab il marinaio, Ulisse, Calipso, Penelope, Venere. Il libro si fonda su anni di ricerche e di esplorazioni nella cultura islamica e nella realtà marocchina, per raccontarci un paese vivacissimo e per sostenere una comune speranza di dialogo fra un Islam umanista e l'Occidente di giustizia sociale.

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Recensione de il café lettrario
Il volume della Mernissi, estremamente originale nella concezione e nella struttura, si apre con alcune pagine dedicate a George Orwell e al suo soggiorno a Marrakech del 1938. Lo scrittore inglese avrebbe poi più volte lamentato la difficoltà di comunicare con la popolazione locale a causa sia di una sua pigrizia nell’imparare l’arabo che di un uso piuttosto improprio del francese da parte marocchina. Di certo, sottolinea la Mernissi, se allora vi fosse stata la facilità di comunicazione odierna, internet e la posta elettronica, i contatti tra Inghilterra e mondo arabo sarebbero stati molto più facili anche perché proprio le “minoranze escluse” sono quelle che hanno tratto maggior vantaggio dal progresso tecnologico nel campo delle comunicazioni. Così avrebbe potuto conoscere l’esistenza di movimenti di resistenza all’occupazione coloniale francese che invece neppure immaginava.
Certo se Orwell avesse potuto vivere nella Marrakech del 2004 avrebbe avuto una ben diversa esperienza del viaggio e soprattutto avrebbe potuto seguire i consigli che l’autrice dà a tutti coloro che intendono scoprire un Marocco “civico”, a quei “turisti responsabili” che spesso hanno ancora in testa alcuni stereotipi davvero sbagliati. Infatti una delle idee centrali di questa scrittrice è, in questo libro come nel precedente L’harem e l’Occidente, liberare il campo da tutti i luoghi comuni che gli occidentali, anche i più democratici, hanno in testa sul mondo arabo. La televisione via satellite, estremamente diffusa in Marocco, ha poi reso popolari informazioni, nozioni e conoscenze prima patrimonio solo degli intellettuali, e questo è avvenuto in modo ancor più capillare che in Europa. Sono i giovani “che navigano da fermi”, quelli che abitano le zone rurali o montane, ad avere per primi sfruttato le innumerevoli possibilità date dalle nuove tecnologie: commercio elettronico di prodotti dell’artigianato locale, promozione del turismo responsabile, costituzione di Ong per fornire di energia elettrica i paesi più sperduti…
Così le notizie fornite da autorevoli guide che parlano di paesi “fossilizzati nel loro arcaismo” forse dovrebbero aggiornare le loro informazioni.
Un consiglio che viene dato ai viaggiatori è quello di bighellonare per i paesi e le città raccogliendo le tante voci che provengono dai suq e dalle strade, entrare nelle librerie e nei negozi, ascoltando cioè quella che l’autrice chiama “Radio Medina”, e si scoprirà che se il turista è incantato da serpenti e incantatori, la gioventù locale lo è dalla Rete e se le madri continuano a tessere stoffe e tappeti, i figli navigano appassionamene in internet.
Comunque anche l’arte di tessere tappeti va considerata una competenza davvero preziosa e che va assolutamente conservata, da notare che alcune donne hanno fatto il grande salto: da tessitrici a pittrici di successo. Le bellissime illustrazioni del volume riescono a darci l’idea della festa di colori di questi quadri. In Marocco poi “milioni di persone si mobilitano per iniziative civiche”, i militanti dei diritti umani sono attivissimi, gli scrittori e gli ex perseguitati politici girano per il Pese, anche nei villaggi sperduti, dialogando con un pubblico sempre numeroso e appassionato da tutto questo substrato culturale è nata la “Carovana civica” momento di riflessione collettiva itinerante a cui il turista può portare un forte contributo di dialogo.
Un libro, questo di Fatema Mernissi, davvero imperdibile per chi voglia viaggiare in Marocco in modo consapevole.

La recensione de L'Indice

Guida (anche turistica) alla democrazia dal basso in Marocco, l'ultimo libro di Fatema Mernissi ci conduce in un viaggio attraverso il vivace dinamismo e la creatività civile che contraddistingue in questi anni il paese maghrebino. Ne è un segno l'impetuosa crescita dell'associazionismo - fatto di una miriade di iniziative molecolari impegnate in progetti culturali, microimprenditoria cooperativa, auto-organizzazione civica - che procede sull'onda delle nuove tecnologie di telecomunicazione: web e tv satellitari hanno aperto inedite opportunità e orizzonti anche a soggetti tradizionalmente esclusi, giovani, donne, comunità di villaggio. Un esempio fra tutti: un villaggio dell'Alto Atlante realizza ottimi profitti vendendo prodotti artigianali sul suq virtuale, dopo aver creato un'associazione locale che si è mobilitata per l'arrivo dell'elettricità, ottenendo anche l'allacciamento alla rete idrica che ha liberato le donne da pesanti incombenze quotidiane. E non è un caso che, nel nuovo modo di guardare al futuro, il tasso di scolarizzazione femminile nel villaggio sia passato nel giro di due anni dal 5 al 90 per cento.

Brillante scrittrice e sociologa empirica (insegna all'università di Rabat), Mernissi in veste di osservatrice partecipe racconta con levità, ironia e gustosa aneddotica un campionario di casi e ritratti che disegnano uno spaccato concreto del cambiamento in atto nel suo paese, con particolare attenzione al protagonismo femminile e al diffondersi delle pratiche di cooperazione e riconoscimento reciproco fra uomini e donne, che ha improntato anche la recente riforma del diritto di famiglia. Nelle reti associative descritte incontriamo contadini e professori, tessitrici e sportive, ecologisti e libraie, ex detenuti politici e promotori dei diritti umani. Paradossalmente, nel quadro del mondo arabo, l'assenza di petrolio in Marocco sembra essere una chance per la ricerca di una via meno soffocante alla modernità, spingendo a puntare sulle risorse di conoscenza e comunicazione che si prestano a una microprogettualità autogestita e diffusa. Dagli innumerevoli internet-café sorti in tutte le periferie urbane i giovani hanno accesso a basso costo all'informazione in tempo reale, trovano occasioni di formazione e lavoro, realizzano idee: navigando nella rete, come moderni Sindbad senza visti e burocrazie insormontabili, scoprono alternative glocal all'emigrazione e allo spopolamento. Da un computer domestico o dal proprio cellulare tessitrici di tappeti smerciano i loro prodotti e non mancano quelle che, passate alla pittura, hanno conquistato lo spazio pubblico come artiste.

Come sempre (per chi ha letto La terrazza proibita e L'harem e l'Occidente, Giunti, 1996 e 2000), Mernissi ama esplorare i confini, le frontiere culturali che il cyber rende mobili e aperte: consente di scoprire le varietà del mondo captate dalle antenne paraboliche fin nei più remoti villaggi e di creare reti fra coloro che coltivano gli stessi pacifici progetti "a proposito di un pianeta in cui i cittadini possano tessere mille dialoghi", imparando a conoscere gli stranieri e a padroneggiare le differenze. È la sfida che la globalizzazione impone ai "Cosmocivici" contro i "Cosmocrati", i dominatori dei network mediatici a fini di propaganda bellica o reclutamento terroristico. Programmaticamente la scrittrice intende mostrare l'altra faccia del mondo arabo-islamico, quella dialogica e pluralista estranea allo schema dello scontro di civiltà, oscurata dall'impatto mediatico del fondamentalismo, come dagli stereotipi dell'arcaismo esotico nelle guide del turismo di massa.

E per i "turisti civici", oltre ai viaggi nel web, Mernissi ha messo in movimento una Karawan reale periodicamente itinerante che li interconnette sul territorio in una rete diretta di confronto e scambio: dal Marocco ha già compiuto puntate anche in Spagna (in occasione del conferimento alla scrittrice del premio Principe delle Asturie) e in Italia, a Bologna, lo scorso ottobre. Si preparano prossime tappe.

 

Consulta anche: Intervista su l'Unità 24.10.2005

Recensione in altra lingua (English):

24.10.2005
Islam e Occidente uniti da un filo elettronico

La vecchia e cigolante Uno guidata da Karim, dopo aver attraversato i quartieri popolari di Rabat, imbocca la strada per Témara, in direzione di Casablanca. Villette piatte e bianche separano la statale dalle scogliere sulle quali si stemperano le possenti onde dell’oceano. La casa del mare di Fatema Mernissi è a strapiombo sulla spiaggia; se non fosse per il colore cupo delle onde e per la loro forza, sembrerebbe di essere a Santorini a fine stagione. Non c’è molto tempo per parlare, non perché la scrittrice sia scontrosa o sbrigativa, ma perché sta fecendo, come spesso le accade, le valige. L’aspettano alla Fiera del libro di Francoforte; al Jazira e la Bbc hanno appena chiamato al telefono e la riprenderanno mentre, assieme a Mai al-Khalifa, ministra della Cultura del Bahrain, parlerà di Internet, della tv satellitare, della rivoluzione telematica e soprattutto delle donne del mondo arabo. «Voi in Occidente - esordisce Fatima sistemando sul tavolo un piatto con deliziosi dolcetti da intingere nel miele - non vi accorgete che molte cose stanno cambiando; in Kuwait le donne hanno fondato una televisione, in Bahrain la scrittrice Mai Al Khalifa ha assunto importanti responsabilità nel ministero della cultura, in Arabia Saudita la poetessa Nimah Ismail Nawwab firma i suoi libri in pubblico, Sheika Lubna al Qasimi è ministro dell’Economia negli Emirati».

Accanto a Fatima, seduta sul sofà, c’è Zahra Tamouh, docente di lettere all’Università di Rabat. Nei primi anni 80, dopo aver conseguito il dottorato alla Sorbona, tornò in Marocco da «gauchiste» e fondò un settimanale scritto solo da donne. «Ci accorgemmo che era tempo di cambiare, andammo nelle strade di Rabat e raccogliemmo un milione di firme di donne non tra le élites, ma nei quartieri più poveri e periferici. Alla televisione e alla radio ci emarginavano, chiudevano le porte, ma con gli anni abbiamo vinto la nostra battaglia». Nel 2003 il Marocco ha riformato la Mudawwana, il codice di famiglia: è stato abolito il dovere, per le mogli, di ubbidire ai mariti, la poligamia è stata pressochè cancellata (ma non del tutto) ed è stato introdotto il divorzio consensuale, ma restano pesanti discriminazioni in materia di successioni. Zahra ed altre militanti che hanno rischiato la vita per raggiungere questo risultato, come Najia Elboudali, sostengono però che «il 90% delle nostre rischieste è stato accolto».

Fatima rovista tra i ritagli di giornale e trova un foglio bianco sul quale disegna due quadrati eguali: «Il primo - dice indicando la figura con la penna - raffigura voi occidentali, prigionieri del vostro egocentrismo, impauriti dal terrorismo, sempre più decisi a chiudervi in voi stessi. Il secondo quadrato raffigura noi arabi, il nostro mondo, che sta cambiando senza che voi ve ne accorgiate. Tutti - aggiunge tracciando alcuni segni per unire i due cubi - abbiamo davanti una sola strada percorribile, quella della comunicazione, del contatto». Tra i fogli, sbucano quattro bellissimi disegni: nel primo è disegnato un sole circondato da ali e luci. Vi si legge: «Trasforma te stesso in uno straniero, viaggiare è il solo modo di rinnovarsi» (da un poema di Abu Tamman vissuto nel 9° secolo). I disegni degli altri tre sono contornati da scritte che recitano: «Il principio dell’Universo è il movimento, quando ci si ferma si torna alla non-esistenza», oppure «Unisci la tua mente a quella degli altri», e infine «Ogni uomo è ostaggio delle proprie azioni» (dal Corano, sura at-Tur N.52, verso 21).

Fatima ha dedicato a questi principi gran parte della propria vita, teorizza il «cyber-Islam», crede nel potere della conoscenza e della rivoluzione telematica che sta minando le fondamenta del tradizionalismo.Karawan, dal deserto al Web (titolo originale: Sidbads marocains: voyage dans le Marocco civique), il suo ultimo lavoro, in libreria da alcune settimane per l’editore Giunti, riprende i temi già sviluppati in L’harem e l’Occidente, si rivolge ad un «turista politico», fa giustizia di luoghi comuni diffusi (ed amplificati in Italia dai crociati in marcia contro la cultura meticcia). Fatima scrive sulla diffusione del commercio elettronico tra i giovani marocchini, delle tessitrici di tappeti (i cui lavori saranno esposti a Palazzo Pigorini di Roma dal 10 novembre), delle pittrici analfabete che, sul Web, fanno conoscere le loro opere, del turismo responsabile. E descrive la sofferenza delle madri dei detenuti politici che, da alcuni mesi, possono finalmente gridare in pubblico il loro dolore.

Il Marocco ha deciso di affrontare la terribile eredità dei suoi lunghi «anni di piombo» (’50-’90) copiando il Sudafrica del post-apartheid. Dal gennaio dello scorso anno è all’opera la Commissione per l’equità e la riconciliazione che ha già ricevuto 16mila richieste di indennizzo da parte di altrettante vittime della repressione che aveva trasformato il Marocco nel regno del terrore. Le vittime sfilano alla televisione o appaiono sul Web e raccontano le atrocità in una sorta di «seduta psicanalitica collettiva»; alle denunce però non seguono né processi né le punizioni dei colpevoli e ciò ha attirato molte critiche anche a livello internazionale. Il giovane re Mohammed VI, salito al trono nel 1999, guida la modernizzazione dall’alto in un paese che resta per gran parte agricolo, vittima della povertà e dell’analfabetismo, ma, che, negli ultimi anni, è diventato un interessante laboratorio politico nel quale la sfida tra le forze che si schierano per la «modernità» e l’integralismo è più forte e dagli esiti imprevedibili. A questo tema è dedicata una delle opere più recenti dell’autrice, Islam e democrazia. La paura della modernità. La scrittrice è convinta che «l’elemento-chiave che caratterizza oggi il mondo arabo non è la religione, come sostengono molti americani, bensì la tecnologia informatica e cioè le televisioni satellitari indipendenti rispetto a quelle gestite dai vari regimi e stati islamici, le reti Internet a cui si rivolgono soprattutto i giovani e le donne. Attraverso questi strumenti, che consentono il confronto delle opinioni, si può arrivare alla conoscenza reciproca e allontanare la violenza e la guerra».

Fatima Mernissi (Fez, 1940 docente di sociologia all’Università di Rabat), considerata una delle più grandi scrittici arabe (i suoi libri sono stati tradotti in 20 lingue), pur rifiutando di essere «in quota» a qualcuno o di appartenere ad uno schieramento, crede nelle forza dirompente della comunicazione, della contaminazione e della competizione tra culture diverse e differenti. Per questo, anche senza aver chiesto il suo assenso, possiamo iscriverla nella schiera dei rinnovatori. Nella parte iniziale di Karawan, dal deserto al Web, la scrittrice ricorda che George Orwell soggiornò nel 1938 a Marrakech in compagnia della moglie Eileen. Qui scrisse Coming up for Air, pubblicato nel 1939. Il grande scrittore britannico, che due anni prima aveva combattuto contro i fascisti di Franco nella guerra di Spagna, ammira la capacità dei marocchini di comunicare, ma ammette di non essere stato capace di stabilire un contatto con loro: perché «parlano una sorta di francese bastardo ed io ero troppo pigro per imparare l’arabo». Fatima è convinta che se Orwell fosse vissuto ai tempi di Internet e della posta elettronica ciò non sarebbe accaduto perché oggi, nonostante il terrorismo e le paure che esso genera, i fili che legano il mondo arabo a quello occidentale e, più in generale a tutti i mondi nei quali viviamo, sono molto più numerosi, robusti ed estesi. Fatima ha in cantiere due saggi che arriveranno in libreria nel 2006. Il primo sarà pubblicato da un editore americano e intitolato Digital arab challenge (la sfida digitale araba), il secondo racconterà «il segreto del tappeto volante» e introdurrà al mondo delle tessitrici e ai mille misteriosi messaggi che i loro lavori nascondono. Con Zahra, Najia e molte altre donne, Fatima ha fondato Sinergie civique, un’associazione che ha promosso la «Carovana» che gira di villaggio in villaggio, nelle zone meno conosciute del paese e ai margini dei circuiti turistici, per raccogliere testimonianze e diffondere le speranze di cambiamento che si celano nel «cyber-Islam».
L’incontro finisce, Fatima, in partenza per l’Europa, consegna disegni, appunti, un depliant che riassume i contenuti del suo sito Internet. Karim si rimette al volante della Uno scricchiolante che attraversa nuovamente i quartieri vecchi e nuovi Rabat.


Recensione in altra lingua (Français):

Les perles du Maroc civique
(Extrait du deuxième chapitre)

Comment transformer mon projet de livre quant à l'impact du satellite sur le monde arabe, que j'intitulais Cyber-Islam et sur lequel je travaille depuis des années, et qui est plutôt académique, en un guide rigolo pour touristes ? - Après deux semaines de réflexion, j'ai décidé d'écrire un livre sur un Maroc extraordinaire qui m'a surprise, étonnée et transformée et que les grandes agences touristiques ignorent totalement : le royaume du civisme. J'ai donc décidé de faire partager mon étonnement et mon admiration pour ce Maroc qui m'a époustouflée dès que j'ai entamé, en ma qualité de sociologue chercheur à l'Université Mohammed V, mon enquête sur l'impact du satellite après la première guerre du Golfe en 1991 et sur l'apparition des paraboles. Ce Maroc que je vous propose de découvrir est surtout celui des jeunes ruraux, ceux des montagnes (Haut Atlas) et des déserts (Figuig, Zagora) qui bougent et utilisent plus l'Internet et l'énergie solaire que les citadins qui habitent Casablanca.

Écoutez donc bien le conseil de Sindbad, qui était au départ un jeune citadin arrogant, fils d'un riche marchand de Bagdad, et qui n'a pensé à voyager qu'après avoir fait faillite et après avoir dilapidé la fortune paternelle : "Ne peut trouver de perles que celui qui s'improvise plongeur".


Recensione in lingua italiana

Le prime righe

George Orwell A Marrakech nel 1938
OVVERO
COM'È DIFFICILE FARE IL TURISTA IN UN PAESE ARABO

Sono in pochi a saperlo, ma George Orwell (1903-1950), il celebre scrittore inglese innamorato della democrazia al punto da aver lottato per tutta la vita contro i fascisti - dapprima nel 1936, con la forza, arruolandosi nelle milizie del Fronte Popolare che combattevano Franco in Spagna; e poi con la penna, mettendo in ridicolo i capi totalitari in Animai Farm, scritto nel 1943 e, tre anni più tardi, in 1984 - George Orwell è venuto qui, a Marrakech. Accompagnato dalla moglie Eileen, Orwell ha trascorso in questa città l'inverno del 1938, seguendo le raccomandazioni dei suoi medici che gliene avevano consigliato il clima secco per lottare contro la tubercolosi. «Il 3 settembre salparono da Tilbury in classe turistica sulla SS Stratheden (...). Sulla lista dei passeggeri alla voce "professione" egli si era definito "scrittore", mentre Eileen aveva scritto "nessuna". Aveva preso un rimedio contro il mal di mare che, con sua grande soddisfazione, si era dimostrato efficace, perciò - ricordava Eileen - "si aggirava per la nave con un sorriso beato, osservando gli altri in preda alla nausea"». Proprio a Marrakech Orwell scrisse il racconto Corning up for Air, pubblicato nel 1939. Eppure, cosa sorprendente, egli stesso, uomo di sinistra e militante per i diritti umani, ammette che il suo soggiorno in Marocco era stato fallimentare poiché, nonostante gli arabi gli piacessero, non era riuscito a comunicare con loro: «Mi piacciono gli arabi, sono gentili... Ma non ho potuto stabilire un contatto con loro, perché parlano una sorta di francese bastardo e io ero troppo pigro per imparare l'arabo». Ovvio che il pensiero corra immediatamente alla lingua, quando si hanno delle difficoltà a comunicare con gli stranieri. E d'altronde è vero che anche i nostri fratelli arabi mediorientali, i siriani o i sauditi ad esempio, si sentono spaesati quando vengono da turisti in Marocco, perché noi siamo maestri nel parlare un cocktail di lingue e mischiamo l'arabo al francese e, soprattutto, al berbero. Cosa, quest'ultima, che a Orwell è sfuggita.
Ma Orwell era troppo intelligente per ridurre la difficoltà di comunicare a una questione linguistica: succede a tutti di accedere, malgrado l'handicap della lingua, a scambi molto profondi con degli stranieri. E infatti, sono le affinità a facilitare Ia comunicazione. Ben lo sapevano, obnubilati com'erano dall’idea di una religione universale, i primi musulmani, soprattutto i Sufi dell’VIII secolo come il persiano Bistami, il quale raccomandava il viaggio come strumento di auto-conoscenza e ripeteva chiunque lo volesse stare a sentire che lo scambio è più facile con uno straniero con cui si hanno delle affinità che con un parente prossimo che non condivide le nostre idee: «Dio mio, quante persone vicine ci sono di fatto lontane. E quanti stranieri lontani ci sono molto vicini!»
Orwell sapeva che il problema si situa a un livello altro, rispetto a quello della lingua. Era egli stesso meravigliato della propria capacità di comunicare con gli abitanti di un Marocco che,all’epoca, era doppiamente colonizzato, dagli eserciti della Spagna a nord e della Francia a sud. Una situazione, questa, che li obbligava a resistere, ovunque e comunque. Alla resistenza, Orwell era particolarmente sensibile, poiché era nato nel 1903 in piena India coloniale - a Motihari, vicino alla frontiera con il Nepal – dove suo padre era agente dell'Opium Department of the Indian Civil Service. La sua sensibilità al discorso coloniale non fu soltanto un atteggiamento giovanile: anche in età adulta pensava a se stesso come a un uomo che aveva dedicato la vita alla difesa della libertà.

© 2004 Giunti Editore


Biografia

Mernissi Fatima

Sua madre, analfabeta, voleva a tutti i costi che lei studiasse e apprendesse l’arte del raccontare. Fatema Mernissi ha insegnato all’Università di Rabat ed è ststa tra i maggiori studiosi mondiali del mondo islamico, raccontando la sua molteplicità, le radici storiche e le complesse sfumature delle sue culture. Ricercatrice in tutti i sensi: per professione, nella vita quotidiana e nell’anima. Convinta del ruolo rivoluzionario della donna e della necessità della diffusione della partecipazione e del sapere, Fatema è stata capace, a oltre 60 anni, di stupirsi e di rinnovarsi, di cogliere ogni dato nuovo per comprendere la realtà che la circonda e per raccontarla. Ha letto la sua vicenda personale sempre in relazione con la storia. “Ci sono milioni di anni luce tra quello che era mia nonna Jasmina e quello che sono io, ma allo stesso modo ci sono milioni di anni luce tra me e questa mia studentessa …”.
Al Festival della letteratura di Mantova 2002 ha portato con sé due testimoni diretti del passaggio dalla dittatura alla democrazia, due prigionieri politici che hanno tradotto in scrittura la loro esperienza diretta. E in ogni intervista aveva con sé, pronta a mostrarla alla domanda giusta, la fotocopia di una piccola guida per le tv satellitari arabe: vuol far capire a tutti quello che sta cambiando e che potrà cambiare.
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Con Zahra, Najia e molte altre donne, Fatima ha fondato Sinergie civique, un’associazione che ha promosso la «Carovana» che gira di villaggio in villaggio, nelle zone meno conosciute del paese e ai margini dei circuiti turistici, per raccogliere testimonianze e diffondere le speranze di cambiamento che si celano nel «cyber-Islam».

Consulta anche: Intervista su l'Unità 24.10.2005
Consulta anche: In ricordo di Fatima Mernissi
Consulta anche: Teche Rai - Festivalletteratura Mantova 2002