En Occident, le harem est représenté comme un lieu de plaisir où s'ébattent des femmes nues et lascives, odalisques d'Ingres et de Matisse, Schéhérazade en version hollywoodienne. En Orient, le harem est au contraire le lieu de la réclusion des femmes qui ne rêvent que de s'en émanciper, en jouant de leur talent et de leur intelligence, qu'elles aient vécu au temps du khalife Haroun AI-Rachid ou dans le harem domestique des années 50 à Fès. Ces deux représentations du harem - l'une fantasmée, l'autre historique - dessinent une vision différente, troublante et inattendue, non seulement de « la femme idéale » mais aussi de la séduction, de l'érotisme et des rapports entre les sexes. «Décris-moi ton harem, je te dirai qui tu es », semble nous suggérer avec humour l'auteur du Harem politique, de Sultanes oubliées et de Rêves de femmes, bien connu du public pour sa vision aussi pertinente qu'impertinente d'un monde arabe en pleine mutation. |
"Negli anni Trenta, mentre Matisse dipingeva le sue passive odalische, le riviste turche riproducevano foto di studentesse universitarie armate di pistola, in divisa militare." Intorno a questo recente saggio di Fatema Mernissi si è molto discusso, sui giornali e nei dibattiti pubblici, così come molto si dibatte in quest'ultimo periodo sull'influenza della cultura islamica e sull'eventuale "pericolo" che da essa può derivare al mondo occidentale. Il punto di vista dell'autrice è quello di una donna colta (è docente universitaria di sociologia), che ha molto viaggiato e visto, che è nata a Fez in un harem e che, da studiosa del Corano, rifiuta ogni forma di integralismo e di fanatismo. Fin dai suoi primi viaggi in Europa è stata particolarmente colpita dalla distorsione che qui veniva fatta del ruolo della donna nei paesi islamici, ma in particolare ha approfondito lo studio dell'interpretazione dell'harem nel mondo occidentale. Da luogo di segregazione e di tensioni, luogo in cui una donna poteva emergere grazie all'intelligenza e alla cultura (così come si può anche vedere nella tradizione delle Mille e una notte e nella figura di Shahrazad), in Occidente l'harem viene invece immaginato come luogo di lussuria: non a caso le raffigurazioni pittoriche di grandi artisti europei mostrano donne coperte da veli, sdraiate in pose languide, in attesa di essere scelte dal signore, così nella letteratura occidentale è soprattutto l'elemento erotico e la sensualità a dominare, non di meno questo è avvenuto nel cinema europeo o americano dove l'harem è perennemente rappresentato come sede emblematica del piacere maschile. Ma da dove nasce questa concezione così anomala? Forse, dice la Mernissi, dal desiderio maschile occidentale che esista un luogo di questo genere, quasi una rivalsa nei confronti di un universo femminile che ha ottenuto la parità. Inoltre i dati statistici dimostrano che, al di là delle indubbie costrizioni, la donna nell'universo dell'Islam ha ottenuto alcuni importanti risultati e occupa posizioni di prestigio all'interno della società. Alcuni dati: più del trenta per cento dei docenti universitari nei paesi islamici è di sesso femminile, così percentualmente il numero di laureate in ingegneria e in altre materie scientifiche è maggiore in queste nazioni che in Francia o in Spagna; un terzo dei tecnici è donna e, analogamente, le donne occupate in professioni di tipo tecnico sono più numerose che in Europa. Tutto ciò, naturalmente, laddove non ci sia una predominanza dell'estremismo e del fanatismo religioso che la Mernissi condanna in modo risoluto e senza appello. Interessante è l'ultima parte del saggio in cui viene fatto un parallelismo sulle restrizioni riservate alle donne nei paesi islamici e in Occidente: il velo, la limitazione al movimento possono far dire che a queste donne è stato rubato "lo spazio". Ma non esiste forse anche un'altra, e forse più pericolosa, depauperazione nell'evoluto mondo occidentale? Dice l'autrice: a nessuna donna è possibile dimostrare più di quattordici anni, pena il diventare "invisibile"; così esiste una schiavitù che i media affermano in modo sempre più subdolo, quella, dice la Mernissi, della "taglia 42". Una donna deve essere giovane e magra e, per rispondere a questa richiesta sociale, molte sono cadute in vere e proprie patologie. Quindi alle donne occidentali è stato rubato "il tempo". E lei, questa bella signora di sessant'anni, che si occupa di sociologia in ambito internazionale, si continua a battere perché le donne, tutte, senza nessuna differenza di religione e cultura, possano riconquistare pienamente tutto il tempo e lo spazio delle loro vite e così possano esprimere pienamente la loro ricchezza interiore e la loro intelligenza.
L'harem e l'Occidente di Fatema Mernissi Titolo originale: Scheherazade goes West or: The European Harem Traduzione di Rosa Rita D'Acquarica Pag. 190, Lire 28.000 - Edizioni Giunti (Astrea) ISBN88-09-01806-0
Le prime righe
STORIA DELLA DONNA DAL VESTITO DI PIUME
Se per caso vi capitasse di incontrarmi all'aeroporto di Casablanca, o su una nave in partenza da Tangeri, vi apparirei disinvolta e sicura di me, ma la realtà è ben diversa. Ancora oggi, alla mia età, l'idea di varcare una frontiera mi rende nervosa, temo di non comprendere gli stranieri. "Viaggiare è il modo migliore per conoscere e accrescere la tua forza", diceva Jasmina, mia nonna, che era illetterata e viveva in un harem, una tradizionale abitazione familiare dalle porte sbarrate che le donne non erano autorizzate ad aprire. "Devi focalizzati sugli stranieri che incontri e cercare di comprenderli. Più riesci a capire uno straniero, maggiore è la tua conoscenza di te stessa, e più conoscerai te stessa, più sarai forte". Jasmina viveva la sua vita nell'harem come una vera e propria prigionia. Aveva perciò un'idea grandiosa del viaggiare e vedeva nell'opportunità di varcare dei confini un sacro privilegio: la migliore occasione per lasciarsi dietro la propria debolezza. A Fez, la città medievale della mia infanzia, giravano voci affascinanti su abili maestri sufi che esperivano straordinari lampi di illuminazione (lawami') ed estendevano rapidamente la loro conoscenza, tanto erano tesi ad apprendere dagli stranieri che incrociavano nella vita.
Qualche anno fa, ho dovuto recarmi in Occidente e visitare una decina di città, per la promozione del mio libro La terrazza proibita, uscito nel 1994 e tradotto in ventidue lingue. Sono stata intervistata da più di cento giornalisti occidentali, e in quelle occasioni ho potuto notare che la maggioranza degli uomini pronunciava la parola "harem" con un sorriso. Quei sorrisi mi sconcertavano. Come si fa a sorridere evocando un sinonimo di prigione?
© 2000, Giunti Gruppo Editoriale
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Sua madre, analfabeta, voleva a tutti i costi che lei studiasse e apprendesse l’arte del raccontare. Fatema Mernissi ha insegnato all’Università di Rabat ed è ststa tra i maggiori studiosi mondiali del mondo islamico, raccontando la sua molteplicità, le radici storiche e le complesse sfumature delle sue culture. Ricercatrice in tutti i sensi: per professione, nella vita quotidiana e nell’anima. Convinta del ruolo rivoluzionario della donna e della necessità della diffusione della partecipazione e del sapere, Fatema è stata capace, a oltre 60 anni, di stupirsi e di rinnovarsi, di cogliere ogni dato nuovo per comprendere la realtà che la circonda e per raccontarla. Ha letto la sua vicenda personale sempre in relazione con la storia. “Ci sono milioni di anni luce tra quello che era mia nonna Jasmina e quello che sono io, ma allo stesso modo ci sono milioni di anni luce tra me e questa mia studentessa …”. Al Festival della letteratura di Mantova 2002 ha portato con sé due testimoni diretti del passaggio dalla dittatura alla democrazia, due prigionieri politici che hanno tradotto in scrittura la loro esperienza diretta. E in ogni intervista aveva con sé, pronta a mostrarla alla domanda giusta, la fotocopia di una piccola guida per le tv satellitari arabe: vuol far capire a tutti quello che sta cambiando e che potrà cambiare. ========= Con Zahra, Najia e molte altre donne, Fatima ha fondato Sinergie civique, un’associazione che ha promosso la «Carovana» che gira di villaggio in villaggio, nelle zone meno conosciute del paese e ai margini dei circuiti turistici, per raccogliere testimonianze e diffondere le speranze di cambiamento che si celano nel «cyber-Islam». |