Nel cuore della notte algerina
Dieci anni fa si pubblicava con successo la prima traduzione italiana di un'opera narrativa di Assia Djebar. Oggi, con questo volume, l'autrice torna a proporre un altro affresco delle "nuove donne" d'Algeria, nelle più recenti vicende di esilio e di eroismo, di speranza e di violenza. Assia parla di uomini e di donne che vivono in costante pericolo, in clandestinità, in lutto, ma continuano a resistere contro le mutilazioni dei corpi e dei pensieri, contro la cancellazione di voci passate e presenti.
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scheda di Martelli, E. L'Indice del 1999, n. 02
Si chiama Djebar, uno dei novantanove nomi diDio, che significa l'Intrattabile.Ma è un nome-velo che lei stessa scelse quando, ancora studentessa, pubblicò un romanzo d'amore all'insaputa dei genitori.Un nome che dice la determinazione di un'algerina che ha saputo impugnare parole francesi per restituire alle connazionali le loro storie: storie di figli rubati, di mariti assassinati, di femminilità reclusa in spazi minuscoli come ditali.Un nome che dice l'ostinazione di una donna che ha imparato ad armarsi di cinepresa per ridare alle altre donne la loro immagine, figura di corpo vietato: "questo film - dice alle ragazze che riprende - è fatto perché voi lo vediate". Storica di formazione, poetessa, Assia Djebar è anche cineasta, ma è nota in Italia soprattutto per i suoi romanzi, che solo recentemente hanno avuto un riconoscimento ufficiale con il premioPalmi attribuito aNel cuore della notte algerina, una raccolta di storie e novelle che raccontano la quotidianità ferita d'Algeria.L'Algeria è nella storia della madre terribile che spinge la figlia disonorata oltre il parapetto del terrazzo, in quella della moglie di un giovane giornalista che assiste impotente al martirio del marito, in quella della maestra che, decapitata davanti alla sua stessa classe, continua con pazienza un racconto di liberazione per il giovane allievo che la ama.Algeria è Félicie, madre sprofondata in un coma silenzioso, madre che non riesce a morire, che riesce appena ad ascoltare i suoi figli. Djebar, che nell'originale titolava la raccoltaOran, langue morte, lascia che siano i morti a scrivere: "Non voglio più dire nulla - confessa la protagonista della prima novella -: soltanto scrivere.Scrivere Orano, mia lingua morta".Così fa Djebar, rabdomante di suoni, quando ascolta le voci morte d'Algeria e, come René Char, sa sentire la pioggia anche quando non c'è pioggia ma notte.Djebar sa trovare le voci e trattarle come voci sacre: di qui lo stile documentario e rigoroso, di qui le forme intrattabili della sua scrittura che lei stessa riconduce a Glissant, meravigliosa guida dell'eresia romanzesca antillese.È da fuori che viene la più vivace riforma al romanzo francese: "è così che io - racconta l'autrice -, con la mia scrittura, che palpita innanzi tutto al ritmo del fuori, nell'esplorazione dei volti, delle nuvole, delle sfumature, mi sono espulsa da sola".
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