Le vite eccezionali come quella di Beppino Disertori, quando passano, lasciano una scia di memorie, ricordi, libri, affetti che sembra infinita. Cento anni dalla nascita (19 giugno 1907) sono l'occasione per ricordare questa complessa figura di medico, intellettuale, politico, partigiano. Con l'aiuto di chi lo conobbe, proviamo così ad esplorare il mondo di Disertori: a partire da Riccardo Bacchi , editore, figlio dell'eroe partigiano Egidio che con Beppino Disertori condivise la scelta dell'antifascismo. «Ho "ereditato" da mio padre l'amicizia di Beppino - racconta oggi - e posso dire che, dal 1963 in poi, gli sono stato vicino come un figlio. Cosa posso dire? Era una persona eccezionale. Un uomo dalla cultura vastissima, ma di grande modestia. Sapeva stare con tutti perchè parlava in modo piano, semplice. E, naturalmente, era un grande medico». Prossimamente l'editrice Temi di Riccardo Bacchi darà alle stampe un libro sul vecchio S. Chiara, ricco di ricordi, testimonianze e ritratti delle figure storiche dell'ospedale. Ci sarà anche Beppino Disertori, naturalmente. «Amava ricordare il suo passato di partigiano - dice Bacchi - e anche quando dovette riparare in Svizzera il contatto con mio padre, con Gigino Battisti, con Giannantonio Manci era quotidiano. Tornato in Italia, non ha mai smesso di fare battaglie, di prendere posizione in politica e nei temi civili. Quasi tutti i giorni arrivava la sua telefonata: si parlava di tutto, non gli mancavano certo argomenti di discussione. Seguiva moltissimo la politica locale ma anche quella internazionale. Era un moderato, oggi si direbbe un riformista di centro». Non fu però moderato quando espresse forti critiche all'approvazione dello Statuto speciale del Trentino Alto-Adige: poi modificò questa sua opinione? «Sì, con gli anni aveva rivisto quella posizione. All'epoca erano molti, in quell'area politica, a giudicare duramente l'autonomia come era stata realizzata. Ma lui fu uno dei padri dell'autonomia trentina, fin dal 1944, insieme a mio padre, i documenti del Clm parlavano di autonomia amministrativa e federalismo». Un libro di Disertori da consigliare a tutti? «I suoi libri di viaggio, importanti ed interessanti, editi da noi con Neri Pozza. Oppure "Sotto il cielo di Saturno", del 1984, con diari, poesie, ricordi. Ha scritto una quantità infinita di cose: solo per citarne due di poco conosciute, un libro degli anni '30 su Gandhi e un importante testo sul Mazzini filosofo». Lucio Luciani , già primario di urologia al S. Chiara e collega di lunga data di Disertori, ricorda «un amico che sentivo molto vicino. Era buono, più di quanto si poteva capire parlandoci: buono nel senso più completo del termine, disponibile ed aperto. Un ricordo fra tanti, per capire la sua trentinità: in una conferenza a Rovereto, citò, descrisse ed elogiò lungamente tre grandi trentini un po' dimenticati: Giovanni Antonio Scopoli, medico e naturalista, scopritore della scopolamina, nato a Cavalese, e i grandi fratelli Fontana. Erano spiriti che sentiva molto vicini, ne condivideva l'approccio illuminista».
Claudio Boninsegna, dirigente di neurologia al S.Chiara, è stato uno degli ultimi allievi di Disertori: «Incarnava la figura del medico umanistico. Non il medico super-specializzato dei giorni nostri, ma il portatore di un approccio olistico. In campo psichiatrico, superò il contrasto tra le due scuole di pensiero degli organicisti e degli psicanalisti. Lo fece introducendo una logica multifattoriale, una visione globale che coinvolgeva più discipline e prevedeva una terapia multimodale. Sul piano filosofico, promuoveva il superamento di una visione meccanicistica, con l'apertura al metafisico e alla trascendenza. Dio non è qualcosa di mistico, Dio è una seria possibilità della ragione diceva spesso. Sul piano umano, nella professione, era un medico che, più che gli strumenti diagnostici tecnologici, si basava sulla conoscenza dell'ammalato, l'osservazione dei particolari, il ragionamento su quanto il paziente diceva. Non c'erano ancora tac, risonanza magnetica, neuroimmagini: era come uno Sherlock Holmes che indagava pazientemente sui segni. Il rappresentante di una medicina più umana, che attraverso il contatto continuo con il paziente creava condizioni ideali per quest'ultimo. Oggi, con le immagini, i dati, le macchine, la medicina rischia di perdere tutto questo e di prescindere dal paziente stesso». di MICHELE IANES da L’Adige del 21 giugno 2007
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