"Gli uomini sono brutali in tutto il mondo: la stessa cosa sarebbe potuta accadere ovunque. Ma i lebbrosi, le iene, le zanne d' avorio e i rifiuti, i ragli degli asini, gli scarichi all'aperto nei vicoli con l'acciottolato, l'odore intenso delle spezie, il macellaio coperto di sangue che alza la mannaia per spaccare una gobba pelosa e portare alla luce la massa morbida del grasso di cammello, e fa un sorriso forzato nell'offrire il grasso in regalo, il mormorio delle preghiere, l'invito di occhi scuri a entrare nella penombra di una capanna, le urla di "straniero!", tutto questo spiegava perché Rimbaud fosse stato tanto felice in quel luogo. Aveva amato l'Africa perchéera l'anti-Europa, l'anti-Occidente, e lo ètuttora, a volte provocatoriamente, altre quasi per indolenza. Anch'io l'amavo per quelle ragioni, perché Elànon c'era niente che fosse "patria". Essere in Africa era come essere su un pianeta ignoto." (Paul Theroux).
Cadere dall'orlo - recensione di John Matshikiza su l'Internazionale - 611, 6 ottobre 2005 Era un bel pezzo che restavo a terra. Ultimamente, chi ha l'abitudine di curiosare in questa rubrica per scoprire dove sono stato, rimane deluso. "Ma insomma, negli ultimi tempi non sei andato da nessuna parte!", dice. Invece si rispondo: sono stato a casa mia, a girare in tondo nella mia testa. Un bel viaggio di esplorazione, a pensarci bene.
La settimana scorsa, però qualcosa mi ha indotto a fare un lungo viaggio aereo per la prima volta da mesi. Ma non voglio parlare del viaggio. Preferisco parlare di ciòche mi ha tenuto compagnia durante le lunghe ore passate in aria. All'aeroporto di Johannesburg ho comprato un libro che volevo leggere da anni. Oggi la vita à troppo piena d'impegni per trovare il tempo di leggere.
E allora salire su un aereo diventa una buona scusa per pensare a se stessi e immergersi in un buon libro senza essere distratti. Anche se a volte il cosiddetto intrattenimento in volo, in particolare quei video che partono appena spingi un interruttore posto all'altezza degli occhi, puòinterferire, convincendoti a farti ottundere il cervello da film d'azione idioti.
Il libro di Paul Theroux, Dark star safari, ha catturato la mia attenzione, esposto in bella vista in mezzo a tutti gli altri volumi sull'Africa scritti da autori bianchi: Oreficeria africana, Stili africani, Elefanti africani, Miti d'Africa, Ritmi africani, Rapaci africani, Tamburi africani, Il miracolo africano, Africani africani.
Ve l'assicuro, ci vuole uno stomaco di ferro per guardare tutte quelle copertine a colori sgargianti. Perché capisci che é il solito smaccato sfruttamento dell'Africa, raccontata da bianchi (stranieri o indigeni) e proposta in confezione speciale ai passeggeri dei voli internazionali, che non hanno nessun altro punto di riferimento. Ma di Paul Theroux mi fido. I suoi primi romanzi nascevano dalle esperienze che ha fatto in gioventù nel Malawi, da istruttore dei Peace corps.
Erano libri acuti, in cui si sentiva il fascino per la condizione umana, erano anche sconci e facevano giustizia di tutte le stupidaggini razziste. Poi Theroux è diventato uno dei massimi narratori del nostro tempo: fa un lavoro di ricerca duro e tenace, ha un occhio puntato saldamente sul genere umano e l'umanità è più un gran senso del ridicolo. Abbina un'opera di ricerca rigorosa a un'intelligenza indagatrice.
Ero certo che con Dark star safari sarei stato in buona compagnia, e non mi sbagliavo. Tanto che, quando l'aereo è atterrato nella mia lontana destinazione, mi ha dato fastidio dover chiudere il libro a metà di un capitolo. Per una volta ho sperato che ci sarebbe stato il solito ritardo. E invece ci sono riusciti: per una volta hanno spalancato i portelloni puntualmente, la scaletta ha sbattuto contro la fiancata dell'aereo e io sono stato costretto a rinviare il resto della lettura ai pochi momenti rubati nei giorni seguenti, e poi al lungo volo di ritorno. Non posso sapere come hanno accolto questo libro altre persone, né chi lo legga o perché
Ma chi lo fa cosa trova, a parte la prevedibile conferma che l'Africa è un caso disperato, un continente in preda all'autodistruzione, pieno di buffoni indifesi, nutriti di mitologie, gente di pelle scura che abita un universo parallelo e tende le mani in gesto di supplica e sofferenza, implorando elemosine? È questa l'Africa che emerge dallo straordinario viaggio dal Cairo a Città del Capo che Theroux ha compiuto quasi per intero via terra e via acqua. Detto così sembra una cosa da niente. Ma il fatto prodigioso di Dark star safari è che l'autore non risparmia né a se stesso né al lettore le esperienze dure, ricche, irritanti e spesso incantevoli di questa avventura.
Neanche i suoi pericoli e la possibilità che in qualsiasi istante tutto possa concludersi in un fallimento. A differenza di tutti gli altri libri sull'Africa che ti fissano dagli scaffali della libreria dell'aeroporto, il meticoloso resoconto degli ingegnosi modi che Theroux ha trovato per spostarsi via terra, dal paese dei Faraoni al paese di Mandela, ci dice qualcosa di profondo sul continente africano. L'autore fa un resoconto puntuale dell'atmosfera mutevole e immutabile, del profumo della storia che fa dei popoli ciò che sono, dell'odore delle persone stesse.
La descrizione delle sue difficoltà per passare dall'Egitto in Sudan è una lezione di storia e al tempo stesso di attualità politica. Poi c'è l'indefinibile Etiopia, unico paese africano mai colonizzato, ma da dove tutti, a quanto pare, vogliono lo stesso emigrare in America. E va ancora avanti, attraverso il resto di quello scalcagnato continente in cui tutti riponiamo tante speranze, salvo restare sempre delusi. Dark star safari non regala ottimismo sulla "madre di tutti i continenti". È un libro umano e sconfortante al tempo stesso. Ma non è paternalistico, come gli altri libri sui "lavori africani in perline".
È un libro vero. Mi ha permesso di partecipare al viaggio dell'autore, mentre mi concedevo il lusso di farne uno parallelo in Africa. Sono sceso dall'aereo. Non vedevo l'ora di finire il libro e digerirlo. Ho avuto la sensazione di trovarmi sull'orlo di qualcosa di vecchio e di nuovo. Ho avuto la sensazione di cadere dall'orlo. |
Paul Theroux (Medford, Massachusetts 1941) scrittore statunitense. Dopo gli studi viaggiò in Italia e in seguito in Africa. Qui prestò la sua opera all'interno del Corpo dei volontari della pace in una scuola del Malawi (da cui fu espulso per supposta "attività sovversiva") e insegnò presso un'università ugandese. A Kampala conobbe V.S. Naipaul, la cui visione del mondo, che mescola pessimismo a comicità, esercitò una notevole influenza sul giovane Theroux. Dopo il romanzo d'esordio (Waldo, 1968), scrisse, tra le altre opere, Jungle Lovers (1971), rievocazione delle sue esperienze nel Malawi. In Gran Bretagna, dove risiedette stabilmente per diciassette anni, lavorò a opere molto apprezzate, tra le quali narrazioni di viaggio spesso incentrate su percorsi in treno (The Great Railway Bazaar: by Train through Asia, 1975) e il romanzo Mosquito Coast, da cui fu tratto nel 1986 l'omonimo e fortunato film diretto da Peter Weir e interpretato da Harrison Ford. Attualmente Theroux vive tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, e questa doppia esistenza è al centro del romanzo-confessione My Secret Life.
’At the Villa Moro’: un’avventura siciliana di Paul Theroux di Silvestro Livolsi, 2 settembre 2004 Paul Theroux è nato nel 1941 negli Stati Uniti ed è internazionalmente conosciuto come uno scrittore instancabile e raffinato di romanzi, diari e cronache di viaggio dai luoghi più diversi per storia e cultura (Singapore, la Patagonia, Honolulu e tantissimi altri). In Italia delle sue opere sono state pubblicate: Ultimi giorni a Hong Kong, Il Gallo di Ferro, O-Zone, Hotel Honolulu. Di recente per l’editrice Baldini e Castoldi è uscito l’ultimo libro di Theroux ’L’infermiera Wolf e il dottor Sacks’: una storia ambientata a New York con protagonisti personaggi veri, tra i quali il celebre medico e scrittore Oliver Sacks e che ha fatto riscuotere per l’autore una rinnovata attenzione di pubblico e di critica in Italia. Italia, nella quale ha più volte soggiornato, in passato, e che riecheggia in alcuni suoi scritti. Uno di questi, poco conosciuto ma decisamente interessante e curioso è quello pubblicato nell’autunno del 2001, sulla rivista inglese di narrativa Granta, nel numero 75, dal titolo ’At the villa Moro’. Il romanziere americano, su Granta, racconta di un’avventura siciliana, di quando, ventenne, nel 1962, soggiornò a Taormina alla ricerca dei luoghi descritti da Lawrence in ’Snake’ e in particolare della fascinosa residenza di quel meraviglioso luogo, Villa Moro. Giunto con pochi soldi, con pochi abiti, insomma con scarsi mezzi per rimanere a lungo a Taormina e soprattutto per abitare la Villa che può solo limitarsi ad ammirare esternamente, Theroux fa però un incontro, seduto ad un tavolino di un bar, con una coppia di tedeschi, un tale Haroun che accompagna una sua amica, la contessa Grafin, che sarà per lui particolarmente proficuo. Stabilitasi un’immediata amicizia tra i tre, dopo aver perlustrato assieme Taormina, Thoreox si trova un giorno ad accompagnare in macchina la contessa Grafin, desiderosa di andare a vedere uno splendido uliveto situato tra Caltanissetta e Sperlinga. Durante il viaggio, in prossimità di Troina, la macchina si ferma per un guasto. E, proprio nella suggestiva atmosfera di solitudine e deserto che il paesaggio intorno a Troina suscita, Theroux inizia a concepire un suo piano fatto di bugie e seduzioni per raggiungere il suo scopo: villeggiare a Villa Moro. Riesce a riparare la macchina, dopo gli inutili e vani tentativi dell’autista, il siciliano Fulvio; riporta a Taormina la contessa Grifin, finge di abitare già a Villa Moro, vi si reca assieme a lei, le dichiara il suo amore, diventa suo amante: rimane così due settimane in quella Villa con Grifin e l’amico tedesco che vi si trasferisce e paga regolarmente il conto del vitto e dell’alloggio (con i soldi della contessa); fin quando, fa i bagagli e sparisce, senza lasciare tracce, ritornando in America. In conclusione, Theroux, dopo quarant’anni, ripensa a quell’episodio e deduce che il segreto del suo successo di scrittore è legato a quell’esperienza vissuta in Sicilia, quando l’abilità di raccontare storie gli si rivelò e gli servì a realizzare un suo sogno: dimorare laddove già era stato Lawrence, ma anche, gli servì a capire che narrare è ’ornare’ e variare una sola e propria storia in tanti diversi e successivi racconti, nel suo caso proprio quella storia vissuta tra la calda e pullulante Taormina e la solitaria e montagnosa Troina. |