Il mio mondo verticale
Jerzy Kukuczka è stato il secondo uomo al mondo, dopo Reinhold Messner, ad aver scalato tutti i 14 ottomila della terra. Compì questa straordinaria impresa nel breve arco di otto anni, dal 1979 al 1987, lottando oltre che con la montagna, soprattutto con condizioni economiche precarie. Nel farlo realizzò dieci vie nuove e quattro prime invernali su Dhaulagiri, Cho Oyu, Kanchenjunga e Annapurna. Questo libro scritto in maniera semplice e diretta, ci restituisce le sensazioni e le emozioni di un alpinista appassionato, impulsivo e capace di anteporre le grandi montagne himalaiane a ogni altro interesse. Kukuczka fu il simbolo di un alpinismo leale, pulito e rispettoso delle regole del gioco. Quando gli fu chiesto perché continuasse a scalare, disse con semplicità: Penso che la migliore risposta la diede Mallory. Interrogato sul perché volesse conquistare l’Everest, rispose: perché esiste. Nel 1989 precipitò mentre si trovava a 200 metri dalla cima del Lothse che stava scalando per l’inviolata parete Sud. Il suo corpo fu rinvenuto alla base della parete, 3000 metri sotto il luogo dell’incidente, sepolto in un crepaccio.
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«Sei tu, quel Kukuczka? Non sembri neanche un alpinista…» Markus, una guida svizzera, mi guardava non proprio negli occhi, ma molto più giù dove spuntava la mia pancia non proprio sportiva. Ero aumentato un po’ di peso durante quei quattro mesi senza far niente, ma non era certo la frase di quel tizio snello come un levriero, che non faceva altro nella vita che gironzolare per le Alpi, a bruciarmi. Lì era pieno di tipi così: tedeschi, austriaci, svizzeri, di solito guide alpine. Ci incontrammo tutti a Dasso, ultimo paese sulla strada per il K2, dove si poteva arrivare con veicoli muniti di ruote. C’era movimento, chiasso, fra poco sarebbe partita la carovana e c’erano cose più importanti da fare che ribattere a quell’osservazione dello svizzero indirizzata a me. Avevo preferito lasciare perdere. «Parleremo a 8000 metri» mormorai tra me e me. Perché mai avrei dovuto pensare adesso alle sue allusioni? Come ero finito in questa compagnia internazionale? Cercherò di spiegarlo in breve. Dopo le tragiche esperienze sul Kangchenjunga, e anche a seguito dei diverbi tra il capo e i partecipanti avevo deciso di smettere di agganciarmi alle grandi spedizioni. Dovevo cercare in tutti i modi di andare in Himalaya per conto mio, con squadre ridotte al minimo e adottando lo stile alpino. Ero convinto che avrebbe funzionato meglio e cercavo ripetutamente di convincere gli altri di questa cosa. Al pensiero di unirmi a un grande gruppo, che provocava tanti conflitti, mi si rizzavano i capelli in testa. Proprio quando ero seduto a riflettere nel silenzio di casa mia venni chiamato al telefono da Stettino. «Ciao, Jurek! Parla Tadek Piotrowski. Herrligkoffer mi ha proposto di partecipare alla spedizione sul K2. Posso anche coinvolgere qualcuno. Ti interessa?…» In quel momento mi dimenticai di tutte le mie precedenti riflessioni, mentre dicevo al telefono: «Sì, certo, sì.» |