Freya Stark negli anni '20 e '30 del secolo scorso percorse - a piede, a dorso di cavallo, cammello e asino, e con tutti gli altri mezzi localmente possibili - i territori medio-orientali dell'Islam, raccogliendo ogni sorta di materiale. In questo libro racconta il viaggio avventurosissimo dal porto di Aden fin nel cuore dell'Hadramaut sulle tracce delle scomparse 'vie dell'incenso' e degli altrettanto scomparsi imperi mineo, sabeo, imiarita. Viaggio che affronta da sola in quanto unico modo possibile per lo straniero di entrare in autentico contatto con un paese diverso e la sua gente.
Un libro di viaggio, ma non solo: Le porte dell'Arabia è più ancora un'immersione, un racconto che vibra dell'energia e delle emozioni di una viaggiatrice inglese degli anni Trenta che si perde nell'Arabia meridionale, attraversandone i wadi desertici e scoscesi, seguendo le tracce delle antiche «vie dell'incenso», nel cuore di quell'Arabia felix di cui già aveva scritto Plinio, ma che per l'Occidente moderno rimaneva una terra misteriosa. Freya la percorre a dorso di mulo, sopportando la sete e le temperature del deserto, in compagnia dei soli beduini, parlando, mangiando e condividendo ogni esperienza con loro, trovando ospitalità negli harem, mentre continua a muoversi alla ricerca di città fantasma e delle meravigliose vestigia dei grandi imperi preislamici. La sua è una ricerca archeologica ma anche e soprattutto l'incontro con un mondo vivo e dinamico, un Islam incorrotto, in cui la legge del Corano regna incontrastata e si fonde con le antichissime regole delle gerarchie tribali che ne innervano il tessuto sociale. La meta ultima di Freya è Shabwa, la Sabota di Plinio, l'ancora inviolata città dei sessanta templi, cuore e motore dell'antichissima via imperiale dell'incenso. Ma più la meta si avvicina, più il lettore si accorge che non è in quel luogo che il viaggio troverà il suo significato: esso stava già tutto nei volti della gente che lo ha permesso e accompagnato, nei sorrisi sospettosi dei soldati e nei gesti amichevoli dei beduini, nella possibilità di un incontro autentico con l'Oriente islamico.
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In 1934, a 42-year-old Englishwoman named Freya Stark arrived in the British-governed Protectorate of Aden on a singular mission: to locate the fabled, long-lost city of Shabwa. Located on the high Hadramaut plateau in what is now Yemen, Shabwa was renowned in antiquity as the source of frankincense. Little visited even then, it was also thought to be a particularly forbidding place; Genesis mentions it as the "enclosure of death," and the Roman geographer Pliny reported that it contained 60 great temples and wealth beyond measure. That was good enough for Stark, who, having not long before made a difficult passage across the badlands of Iran, thrived on improbable adventures. And so, by burro and whatever mechanical conveyances she could find, she ascended the high mountains into a world that was sometimes perilous, but that also sometimes approached fairy-tale dimensions, as when, climbing the Hadramaut, she writes, "The path kept high and open, until gradually the valley clefts narrowed again upon us, and shut us in walls whose luxuriant green made a romantic landscape of the kind usually only invented in pictures."
Stark never reached Shabwa; laid low by measles, she had to be evacuated from territory overrun in any event by warring religious factions and gangs of bandits. Though cut short, her time in the Yemeni highlands yielded this superb travel narrative, full of uncommon vistas and milieus (harems, bazaars, and Bedouin camps among them). Anyone who values tales of adventure well told will find Stark's body of work--and this book in particular--to be full of treasures. |