La tentazione di esistere
Chi vuole avvicinarsi a Cioran apra questo libro: è forse il suo più perfetto, ma soprattutto è quello che lo rivela nei suoi gesti peculiari, nella fisiologia, nel "ritmo suo proprio, pressante e irriducibile". Maestro attuale di quell'arte del "pensare contro se stessi" che si era già dispiegata in Nietzsche, Baudelaire e Dostoevskij, questo scrittore rumeno, al quale dobbiamo la più bella prosa francese che oggi si scriva, appartiene per vocazione alla schiera dei condannati alla lucidità. Che la lucidità sia una condanna oltre che un dono, nessuno sa mostrarcelo, con altrettanta precisione, con altrettanta inventiva quasi da camuffato romanziere. E si tratta di una lucidità macerata dal tempo, dall'eredità di tutta la nostra cultura. Se "c'è un odore del tempo", e così anche "della storia", Cioran è, fra gli animali metafisici, il più addestrato nel riconoscerlo, nell'inseguirlo, anche là dove spesso chi fa professione di storico non avverte le tracce di questa "aggressione dell'uomo contro se stesso". Non c'è osservatore più perspicace di quel "lato notturno" della storia che oggi avvolge il mondo in un manto oscuro. Che cosa sia, che cosa sia stata l'Europa si respira in ciascuna di queste pagine. E mai corriamo in esse il pericolo di cadere in una maiuscola Serietà, "peccato che nulla può riscattare". Trovandosi a vivere in un'epoca dove essere "epigoni è di rigore", Cioran ha voluto spingere l'ironia delle sue buone maniere sino a comporre, in una pagina memorabile di questo libro, un elogio della futilità, di quella "futilità cosciente, acquisita, volontaria" che è la "cosa più difficile al mondo". Per noi che "abbiamo il fenomeno nel sangue", che nasciamo già "in preda alla febbre del visibile", ogni strategia per approssimarsi alla "liberazione da sé e da tutto" implicherà le virtù della leggerezza, dello stile e della mistificazione. Così "per diventare futili, dobbiamo tagliare le nostre radici, diventare metafisicamente stranieri".
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