Vite minime
Una vena ilare e tragicomica attraversa le novelle che compongono questo libro di Acheng: esse raccontano in modo rapido e incisivo le storie di piccole e umili esistenze marchiate dal sistema, dai tempi di Mao ai nostri giorni. Acheng fissa la sua lente su esseri semplici e qualunque, ne coglie i tic e le manie, fruga nella loro vita quotidiana, entra nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle sezioni di partito. In questa bizzarra microepopea non c’è spazio per le grandi sovversioni: gli eroi di Acheng, anime sperdute nel gigantesco ingranaggio del Potere, non si sognano di combattere a viso aperto il regime. Le loro trasgressioni, minime o grandiose che siano, assomigliano alle stramberie dei pazzi: spesso sono semplici «atti mancati», lapsus, sintomi, stranezze e fissazioni di poveri diavoli che esprimono così il malessere che li opprime. C’è il maniaco della pulizia perseguitato dalla «sporcizia» dei superiori; c’è il «responsabile delle sedie» in un ufficio tentacolare; c’è l’uomo che non fa che guardare, e guarda tutto, per incamerare immagini nel caso venisse di nuovo messo in carcere: Oppure c’è il candore e la coerenza di chi si rifiuta di venire riabilitato perché rivendica la libertà di essere un «comunista di destra», o di chi mantiene una moglie e una concubina, e viene ora additato come modello di «unità e stabilità».
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