Il pavone rosso
Ambiziosa, indomabile, istrionica, la ragazza che da grande diventerà la terza moglie di Mao Zedong vuole dimostrare a tutti i costi di non essere «la figlia dell’erba», nata per farsi calpestre, bensì uno splendido pavone. Lo fa lasciandosi alle spalle il dolore e la rassegnazione della madre, ultima concubina di un uomo violento, lo fa sottraendosi a ogni umiliazione e ribellandosi alla pratica dolorosa della fasciatura dei piedi, simolo di un’intera, millenaria tradizione. Lo fa, soprattutto, prima sognando e poi calcando le scene dell’Opera di Pechino: ancora adolescente, lascia il marito impostole dai nonni per dare inzio a una carriera che la porterà sulle ribalte di Shanghai e, dopo il matrimonio con Mao, negli studi cinematografici di Pechino, a filmare le moderne eroine di opere e balletti politici di sua creazione. Recitare, inventare altre realtà, attirare l’attenzione del pubblico sono le cose che le riescono meglio, e nella vita reale interpreta la sua parte con la stessa passione che porta sulla scena, per tutti i suoi uomini si trasforma in una donna diversa ogni sera e come una consumata attrice interpreta anche la sua più grande storia d’amore, quella con Mao, assegnandosi la parte di primadonna nell’ascesa al potere del «moderno imperatore» e nella cruenta Rivoluzione Culturale. Con una narrazione che fin dalle prime pagine si sdoppia in qiella accesa e addolorata della protagonista e quella più distaccata di un’imparziale terza persona, Anchee Min scva nel mito negativo della signora Mao creato dalla storia cinese ufficiale, quello del «demone dalle bianche ossa», e riporta alla luce la donna, con le sue forti passioni, il suo struggente bisogno d’amore, la sua strenua volontà di affermazione e la sua tragica fine: sugli eventi che sconvolsero la Cina del Novencento si staglia un ritratto intenso, ambiguo e ricco di chiaroscuri che sembra invitare il lettore a sospendere il giudizio.
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