L'enigma di Hu
Questo libro racconta la storia – affascinante, ambigua e toccante – del primo cinese che si trovò a conoscere l’Occidente. Hu era un vedovo quarantenne di Canton, scelto per accompagnare il gesuita Foucquet nel suo viaggio di ritorno in Europa, 1722. Venne così esposto all’assolutamente altro, un mondo che provocò in lui reazioni violente. A un certo punto lo incontriamo a Parigi mentre predica in cinese ai passanti esterrefatti, accompagnandosi con un piccolo tamburo. Poi lo ritroviamo nel manicomio di Charenton. E infine assistiamo al suo ritorno in Cina, dopo esilaranti e strazianti vicissitudini. Per un curioso caso, sono sopravvissute testimonianze dirette della sua storia. E su di esse si basa Spence, come nel suo mirabile Imperatore della Cina. E, ancora una volta, Spence non ha voluto offrirci uno studio dei fatti, ma una narrazione: la forma è quella del diario. Giorno per giorno, e quasi ora per ora, vediamo svolgersi sotto i nostri occhi una sequenza sconcertante di avvenimenti, “di una bellezza e di una stranezza che fanno venire in mente i racconti di Borges e di Calvino” (Mark Strand).
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scheda di Masi, E. L'Indice del 2000, n. 09
A partire dal lontano To Change China: Western Advisers in China, 1620-1960 (1969), molte fra le opere di Jonathan Spence sono biografie. Ma la vocazione di biografo si esercita nella direzione eccellente dove le storie degli individui sono occasione di indagini circostanziate su epoche e ambienti e la biografia si fa storia nel senso pieno. In questo Enigma di Hu il tema dichiarato nel titolo è per gran parte un pretesto. Già nel Palazzo della memoria di Matteo Ricci (1984) lo spunto iniziale - l'analisi di un testo cinese del grande missionario - era occasione per una libera biografia, che si trasformava poi in un excursus nella società, negli usi, nel pensiero, nelle vicende politiche in Asia e in Europa fra il XVI e il XVII secolo. In L'enigma di Hu il protagonista, o presunto tale, è un personaggio di fatto inesistente, un'ombra. Si può dire che il reale biografato sia non tanto Giovanni Hu, quanto piuttosto padre Jean François Foucquet, che dalla Cina del XVII secolo lo portò con sé in Francia, per poi abbandonarlo al suo misero destino. Hu si mostra fin da principio del tutto inetto al compito di copista-traduttore al quale Foucquet lo aveva destinato, non riesce ad adattarsi all'ambiente straniero, e alla fine viene considerato pazzo e rinchiuso in manicomio; per essere infine rispedito in Cina. Ha avuto qui la meglio la tentazione sempre presente in Spence, passare dalla biografia all'allegoria e infine al romanzo. |