La figlia dell'aggiustaossa
LuLing e Ruth. Madre e figlia. Cina e Stati Uniti. Due persone, due mondi si affrontano e si intersecano in un delicato arazzo di affetti e rancori. Ruth, quarantasei anni, è cinese solo nelle fattezze: la sua professione, la lingua, il modo di interpretare la realtà sono quelli di un'americana di oggi. LuLing ha più di settant'anni. La tragica occupazione nipponica precedente la Seconda guerra mondiale e una serie di disgrazie familiari l'hanno costretta a lasciare il suo paese. Pur avendo vissuto per mezzo secolo negli Stati Uniti, è profondamente legata alla terra d'origine. Le sue paure, le ansie e le superstizioni sono ancora quelle di una figlia dell'Impero Celeste. LuLing vive sola, si mantiene con un povero sussidio e comincia a mostrare i segni del morbo di Alzheimer: fughe improvvise, comportamenti irrazionali, una confusione mentale che la porta a mescolare il presente con le tristi vicende del passato. Colpita da questa circostanza, Ruth decide di far tradurre dal cinese un manoscritto che, anni prima, la madre le aveva affidato pregandola di leggerlo (cosa che lei aveva sempre rinviato fino a dimenticarsene), per avvicinarsi al suo passato. E, in effetti, il passato è colmo di sorprese. Ruth scopre che il suo bisnonno era un "aggiustaossa" e apprende segreti familiari inimmaginabili. Queste rivelazioni scavano dei solchi nella sua identità, acuiscono la sua sensibilità, le suggeriscono nuovi pensieri che, in un sottile gioco di riflessi, si mescolano alle figure sorprendenti del racconto materno.
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Le prime righe
LA VERITÀ
Queste sono le cose che so essere vere: Mi chiamo LuLing Liu Young. Il mio primo marito si chiamava Pan Kai Jing, il secondo Edwin Young: sono morti entrambi e i nostri segreti sono scomparsi con loro. Mia figlia si chiama Ruth Luyi Young. È nata nell'anno del Drago d'Acqua, io in quello del Drago di Fuoco. Ragione per cui siamo uguali, ma per motivi opposti. So tutte queste cose, eppure c'è un nome che non riesco a ricordare. Sento che è lì, sepolto negli strati più antichi della mia memoria, ma non riesco a portarlo alla luce. Centinaia di volte sono tornata con la mente a quel mattino in cui Preziosa Zietta lo scrisse su un foglietto. Avevo solo sei anni, allora, ma ero molto sveglia. Sapevo fare di conto. Sapevo scrivere. Avevo un'ottima memoria, ed ecco cosa ricordo di quel giorno d'inverno. Ero tutta insonnolita, ancora coricata sul letto k'ang che dividevo con Preziosa Zietta. Il condotto che portava il vapore nella nostra piccola camera era il più lontano dalla stufa situata nella stanza comune, e i mattoni del mio k'ang si erano raffreddati da un pezzo. Mi sentii scuotere per una spalla. Come aprii gli occhi, Preziosa Zietta scribacchiò qualcosa su un pezzo di carta che poi mi mostrò. "Non ci vedo" protestai. "È troppo buio." Lei sbuffò, posò il foglietto sul nostro basso armadio e gesticolò facendomi capire che dovevo alzarmi. Accese il braciere sotto la teiera e, quando i carboni cominciarono a fumare, si avvolse lo scialle sul naso e, la bocca e versò l'acqua per lavarsi nella cuccuma. Appena l'acqua fu calda, Preziosa Zietta diede inizio alla nostra giornata. Mi sfregò ben bene il viso e le orecchie. Mi spartì i capelli, mi pettinò la frangetta, inumidendo le ciocche che spuntavano in fuori come le zampe di un ragno. Poi mi raccolse i capelli in due bande che intrecciò. Mi legò le trecce in alto con un nastro rosso, in basso con uno verde. Agitai la testa e le trecce sventolarono allegramente in qui e in là come le orecchie dei cani di palazzo.
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