Vasta è la prigione
Tra Algeri e Parigi - sulla scia di un altro grande scrittore segnato da questa duplice appartenenza, Albert Camus - Assia Djebar distende la sua narrazione; misura con impietoso lirismo i bordi, i perimetri della prigionia, di questo stato multiforme, cangiante, ossessivo che scivola dalle condizioni esteriori sin dentro le pieghe dell'animo della protagonista e voce narrante, Isma. Isma, 37 anni, tra le spire della tradizione e gli impulsi della modernità, obbligata a sposare un uomo non amato, fa esperienza del desiderio di un altro uomo, dell'Amato, come di un proibito moto di libertà che la spinge lontano dai vincoli, fino a Parigi. Diventata regista, ritorna nella sua terra, tra i lacci che la imprigionavano, ma in modo diverso, dietro lo schermo della lente della cinepresa che divora il mondo con la stessa inesorabilità con cui, per secoli, lo sguardo maschile ha divorato le donne algerine e, tra queste, Yasmina, giornalista, testimonianza vivente del "sangue della scrittura". In "Vasta è la prigione" non c'è alcuna concessione alla politica che svigorisca l'impeto letterario; la scrittura lascia il segno e la storia raccontata si incide nel lettore, il foglio bianco dell'oblio e del silenzio viene divorato e la letteratura diventa luogo di redenzione in cui si prepara lo sfondamento di ogni forma di prigionia.
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Assia Djebar Scrittrice di romanzi, racconti e saggi storici, cineasta e docente universitaria fra le più importanti del Maghreb, tradotta in molte lingue, ha insegnato letteratura francese e franco-maghrebina alla New York University. Dal 1997 è stata professore e direttore del Center for French and Francophone Studies della Louisiana State University. È stata nel 1955 la prima donna algerina ammessa all’Ecole Normale Supérieure francese. Coinvolta nella guerra di liberazione algerina, fin da quegli anni si è fatta conoscere con "La soif" (1957) e "Les Impatients" (1958), a cui sono seguiti altri romanzi nei quali affrontava i nodi dell’emancipazione femminile e delle relazioni fra i sessi nella società algerina. In Italia si è affermata con "Donne d’Algeri nei loro appartamenti" (Giunti, 1988), al quale hanno fatto seguito molte altre opere narrative fra cui "L’amore, la guerra" (1985, Ibis 1995, Prix de l'Amitiè franco-arabe 1985), "Ombre sultane" (1987, Baldini & Castoldi 1999, Literatur Prize 1989), "Lontano da Medina" (1991, Giunti 1993), "Bianco d’Algeria" (1996, Il Saggiatore 1998), "Nel cuore della notte Algerina" (Giunti 1998, Marguerite Yourcenar Prize of Literature 1997). Dalla fine degli anni Settanta ad oggi ha scritto e realizzato due lungometraggi: "La Nouba des femmes du mont Chenoua" (1978), vincitore nel 1979 del Premio internazionale delle arti alla Biennale del Cinema di Venezia, e "La Zerda ou le chant de l’oubli" del 1982. Nel 2000 ha ricevuto il Premio della Pace ed il Teatro di Roma ha prodotto il suo dramma musicale "Figlie di Ismaele nel vento e nella tempesta" (Giunti 2001). Il 16 giugno 2005 Assia Djebar viene eletta all’Académie Française e nel gennaio 2006 riceve il premio Grinzane Cavour a Torino. Muore il 6 febbraio 2015, all'età di 78 anni, nella capitale francese dove ha trascorso buona parte della sua vita. L'Algeria le riconosce il ruolo culturale intitolandole dal 2015 il premio letterario più importante della nazione algerina e del Magreb, che viene assegnato ogni anno ai migliori romanzi pubblicati nel paese e presentati al Salone Internazionale del Libro di Algeri, un premio per ciascuna lingua del paese (arabo, francese, berbero). |