Lybya Felix
La classe non è acqua e Bulaj è all'altezza della sua fama. Sicuramente l'essere donna l'ha avvantaggiata nell'entrare in un mondo femminile precluso e completamente invisibile a chi è un semplice turista. Bulaj ha lavorato con Rumiz che così commenta la pubblicazione: “È questa la Libia segreta di Monika Bulaj. Polacca e viaggiatrice come Kapuscinski, Mickiewicz, Potocki e – perché no – Wojtyla, anche lei insegue voci deboli, cerca periferie, microcosmi dimenticati dalla storia. Racconta come pochi le terre di nessuno, sospese tra luce e ombra, monoteismo e superstizione, Occidente e Oriente. Viaggia leggera, veloce come un’oca selvatica. Dorme sotto le stelle, mangia quando capita, ha la resistenza di un guerrigliero afghano. Cerca in Iran e sul Baltico, traversa Caucaso e Carpazi lungo piste da bracconieri. Riempie taccuini di una scrittura minuta, fotografa con gli occhi prima che con la macchina. Un lampo blu che cattura, addomestica, trova l’anima delle cose.” (Paolo Rumiz)
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Monika Bulaj, nata a Varsavia nel 1966, è fotografa, scrittrice, filmaker, pubblica reportage sui confini estremi delle fedi; scrive le sceneggiature per i documentari, tra cui il film Romani Rat 2002 di M. Orlandi, sull’Olocausto dei Rom. Collabora a: D - La Repubblica, Io Donna, Corriere della Sera, National Geographic, EAST, Courrier International, Gazeta Wyborcza, Internazionale, GEO. Ha pubblicato i libri: Libya felix; Donne, storie... ; Gerusalemme perduta, con Paolo Rumiz, Figli di Noe. E’ Regista, fotografa e sceneggiatrice del film documentario Figli di Noè (produttore: Lab80 FILM). Ha presentato mostre fotografiche individuali in Italia e Europa.
Hanno scritto di lei «Se avete il sospetto che la fede non stia nelle piazze strapiene o nel marmo delle cattedrali, ma nelle periferie, nei villaggi ai confini dell'impero, allora guardate il lavoro di Monika Bulaj sui microcosmi perduti dell'Est». La Repubblica, Roma
«Le sue foto hanno l'odore della terra umida, dell'incenso, trasmettono la luminescenza dei ceri, riflettono la chiarezza del cielo pannonico. E oggi Monika Bulaj è riconosciuta nell'universo della foto artistica». Le Soir, Bruxelles
«Questa antropologa curiosa, colta e appassionata, viaggia dal Marocco all'Iran su linee di frontiera che non troverete sulle carte, tra ciò che conosciamo e il mondo che rimane nascosto nel cono d'ombra della storia». L'Eco di Bergamo
«La Bulaj abbina fotografia e scrittura, li mescola in una forma nuova di comunicazione, anche nella sua lingua nuova, l'italiano. Prosa forte, immaginifica, di un realismo fantastico.Va da sola d'inverno per piste da bracconieri, abita terre di nessuno, si infratta nelle «borderline», si sposta a una velocità incredibile, con pochissimi mezzi, dorme sotto le stelle, ha una resistenza da guerrigliero afghano». Il Piccolo, Trieste
«Attraversa le frontiere d'Europa per catturare le immagini di una fede bollata come «popolare, folcloristica, esaltata». Un mondo di minoranze che il Muro ci ha impedito di conoscere per lunghi anni e ora rischia di sparire». Il Riformista, Milano
«Il suo lavoro è un'occasione straordinaria di capire che non siamo solo europei, ma che ci sono minoranze culturali e religiose che il Muro tra Est e Ovest ci ha impedito per anni di conoscere». Liberazione, Roma
«La luce, tutta interiore, esplode in sequenze blu notte, rosso e giallo oro. I volti – vecchie monache che biascicano le litanie, giovani donne che al corteo funebre portano il cibo per i morti, sposi che mostrano una icona sacra per essere accolti dalla comunità. L'obiettivo di Bulaj ritrova tracce del fervore apocalittico che contagiò la Polonia Nord Orientale nei primi decenni del secolo scorso e le traspone nei colori panici e nella luce che accelera la corsa estatica della donna scalza fra il grano maturo». Alias, Roma |