Prefazione
Fu Oscar Wilde a pronunciare l'enigmatica affermazione: «La maggior parte della gente è altra gente». Sembra uno dei suoi rompicapo più stravaganti, ma in questo caso Wilde difese il suo punto di vista in maniera estremamente convincente: «I loro pensieri sono opinioni di qualcun altro, le loro vite uno scimmiottamento, le loro passioni una citazione». È straordinario fino a che punto ci facciamo influenzare dalle persone con cui ci identifichiamo. Odi settari attivamente incoraggiati possono diffondersi in un lampo, come abbiamo visto recentemente nel Kosovo, in Bosnia, in Ruanda, a Timor, in Israele, in Palestina, in Sudan e in molte altre parti del mondo. Con un'adeguata dose di istigazione, un sentimento di identità con un gruppo di persone può essere trasformato in un'arma potentissima per esercitare violenza su un altro gruppo. Molti dei conflitti e delle atrocità del mondo sono tenuti in piedi dall'illusione di un'identità univoca e senza possibilità di scelta. L'arte di costruire l'odio assume la forma dell'invocazione del potere magico di una determinata identità, spacciata per dominante, che soffoca le altre affiliazioni e può arrivare anche, in una forma adeguatamente bellicosa, a sopraffare qualsiasi simpatia umana o naturale benevolenza di cui possiamo normalmente essere dotati. Il risultato può essere una violenza elementare, artigianale, oppure una violenza e un terrorismo globali, sofisticati.
L'idea che le persone possano essere classificate unicamente sulla base della religione o della cultura è un'importante fonte di conflitto potenziale nel mondo contemporaneo. La credenza implicita nel potere predominante di una classificazione unica può incendiare il mondo intero. Come ho già detto, una visione del mondo basata su un unico criterio di suddivisione non contrasta soltanto con la buona vecchia convinzione che noi esseri umani siamo più o meno uguali ma anche con l'idea, meno dibattuta ma molto più plausibile, che siamo diversamente differenti. Il mondo viene spesso visto come se fosse un insieme di religioni (o di «civiltà», o di «culture»), ignorando le altre identità che gli individui possiedono e giudicano importanti, legate alla classe sociale, al genere, alla professione, alla lingua, alla scienza, alla morale e alla politica. Questa tendenza a suddividere in base a un criterio unico provoca molti più conflitti di quanto non faccia l'universo di classificazioni plurali e distinte che dà forma al mondo in cui viviamo realmente. Il riduzionismo «alto» della teoria può dare un grande contributo, spesso senza rendersene conto, alla violenza «bassa» della politica.
I tentativi a livello globale di sconfiggere questa violenza, inoltre, risentono spesso di una confusione concettuale analoga, con l'accettazione – esplicita o implicita – di un'identità unica, preliminare a molte delle strade più ovvie per opporsi alla violenza. E la conseguenza può essere che la violenza religiosa non viene combattuta passando attraverso il rafforzamento della società civile (il che sarebbe ovvio), ma schierando una serie di leader religiosi di opinioni apparentemente «moderate», incaricati di sconfiggere gli estremisti in una battaglia intrareligiosa, ridefinendo in modo adeguato, nel caso, le prescrizioni della religione interessata. Come già accennato, considerare le relazioni interpersonali tra esseri umani unicamente in termini di rapporti tra gruppi, come «amicizia» o «dialogo» fra civiltà o comunità religiose, trascurando gli altri gruppi a cui quegli stessi individui appartengono (sulla base di legami economici, sociali, politici o altro genere di legami culturali), equivale a perdere per strada gran parte dell'importanza della vita umana, equivale a suddividere gli individui in tanti piccoli contenitori.
Gli effetti spiacevoli di questa miniaturizzazione degli individui sono l'argomento principale di questo libro. È necessario riesaminare, dare una nuova valutazione di argomenti consolidati come la globalizzazione economica, il multiculturalismo politico, il postcolonialismo storico, l'etnicità sociale, il fondamentalismo religioso e il terrorismo globale. Le prospettive di pace nel mondo contemporaneo possono nascere forse dal riconoscimento della natura plurale delle nostre affiliazioni, e nel ricorso alla discussione ragionata in quanto semplici abitanti di un vasto mondo, invece di fare di noi stessi tanti detenuti rigidamente imprigionati in angusti contenitori. Ciò di cui abbiamo bisogno sopra ogni altra cosa è una comprensione lucida dell'importanza della libertà di cui possiamo disporre nel determinare le nostre priorità. E a questo proposito è indispensabile dare il giusto riconoscimento al ruolo e all'efficacia di una voce pubblica ragionata, all'interno dei singoli paesi e nel mondo intero. |
Amartya Kummar Sen, e' nato il 3 Novembre 1933 a Santiniketan, in India. Ha studiato al Presidency College di Calcutta e al Trinity College di Londra. Ha insegnato in diverse prestigiose universita' (Dehli, Oxford, Cambridge, Staford, Cornell, MIT), ha collaborato con John Rawls, Robert Nozick, Martha Nussbaum, Thomas Scanlon e altri celeberrimi filosofi ed economisti. Nel 1998 gli èstato assegnato il Premio Nobel per l'economia. Dal 1998 insegna al Trinity College. |