Chi ha paura del Dalai Lama?
«Ho preferito sempre il viaggio alla meta del viaggio. Ed è sempre bello ritornare... » Lanza del Vasto Se per caso gli viene posta la domanda, scoppia a ridere. Paura di un monaco, un semplice monaco buddhista la cui sola e unica arma consiste nella non violenza? E nel suo sorriso, quello che apre i cuori. Anche se certe porte si ostinano a restare chiuse. Egli non se ne preoccupa nemmeno, conoscendo il valore dell’eternità; ancora una volta il Dalai Lama sorride proseguendo il suo cammino di monaco errante, condividendo in qualche modo il destino del nomade per eccellenza del XX secolo: il rifugiato, accettato malvolentieri e sempre in qualche modo diverso, ogni volta che un paese lo accoglie. È il prezzo da pagare per godere di una certa libertà. «Io insegno ciò che serve per raggiungere la pace», ripete a chi lo vuole ascoltare. Chi dunque dovrebbe temere una simile tenacia nella scelta del fine e dei mezzi? Sorride con in mano una rosa: «A chi potrei fare paura?» si meraviglia con il solito candore. Eppure, egli stupisce e sembra essere una persona fuori dal comune quando percorre con passo tranquillo un mondo dove la violenza trasuda da ogni parte; nelle città d’oriente o d’occidente, nei film o nei libri, nel silenzio dimenticato segnato da un frastuono incessante che a volte si placa, per un istante, durante il suo passaggio. È malata la società oppure bisogna dare la colpa alla natura umana, troppo sollecitata da ogni parte per preservare il proprio equilibrio?
«Non me ne voglia se mi ripeto: ho spesso detto che la civiltà occidentale mi sembra basata sulla ricerca e sul potere derivato dalle scienze esteriori, e che i suoi problemi più gravi provengono dal fatto che essa si preoccupa troppo della materia, trascurando la comprensione del mondo interiore, dello spirito. La civiltà tibetana è fondata, da parte sua, sulla ricerca e sul potere derivato dalle scienze interiori, e i problemi maggiori dipendono dal fatto che l’aspetto materiale viene troppo trascurato. Bisogna perciò imparare da entrambe le culture… I problemi che oggi dobbiamo affrontare, i conflitti violenti, la distruzione della natura, la povertà e il terrorismo, sono creati dagli uomini e possono essere risolti grazie ai nostri sforzi, grazie alla comprensione reciproca e allo sviluppo di un vero senso di fraternità. Ci troviamo sul limitare di un’epoca in cui l’influenza di dogmi e concetti politici estremi, potrebbe diventare più debole, rispetto alle questioni umane. Dovremmo cogliere l’occasione storica di sostituirli con valori umani e spirituali universali, affinché diventino la pietra miliare della grande famiglia globale che sta nascendo. Molti problemi attuali derivano, in fondo, da una mancanza di preoccupazione per gli altri, dall’egoismo, se volete. Un senso accresciuto di responsabilità universale aiuterebbe a trovare la soluzione. I problemi che si presentano alla società in termini di sviluppo economico, di crisi dovuta alla distruzione dell’ambiente, di tensioni tra nazioni ricche e povere, di conflitti geopolitici, potrebbero essere risolti soltanto riconoscendo l’umanità profonda degli altri, rispettando i loro diritti, condividendo, per alleviarle, le difficoltà e le sofferenze. E compiendo tutti insieme uno sforzo comune. In una prospettiva affine, sembra che abbiamo raggiunto una tappa cardine nel nostro sistema di vita, il quale si modifica notevolmente. Lo sviluppo delle ricerche in numerosi settori è in qualche modo causa di mutazioni. Se dobbiamo credere alla medicina tradizionale tibetana, il giorno in cui le tecniche più avanzate saranno estese nel mondo, nasceranno malattie dovute soprattutto ad avvelenamento chimico. Non so se si tratti realmente di qualcosa che già accade, ma potrebbe darsi che alcuni tipi di cancro o anche altre forme fin qui mal conosciute di disturbi fisici, possano spiegarsi in questo modo. Almeno, i medici tibetani valutano la situazione in questo senso. D’altronde, non è forse logico? Non sarò certo io a insegnarle che l’aggiunta, negli alimenti, di prodotti per l’appunto chimici, non è la soluzione migliore. Prendete ad esempio il latte artificiale. Io lo detesto! Quando sono in viaggio, specie negli Stati Uniti e in Europa, evito assolutamente di berlo. Se c’è il latte, quello vero, tanto meglio; se no, ne faccio a meno, il tè mi basta!» |
Claude B. Levenson, scrittrice e giornalista, è nata a Parigi. Dopo gli studi superiori a Mosca, ha viaggiato nel Sud-est asiatico, in India, nella regione himalaiana e in America Latina. Le sue opere, dedicate al buddhismo tibetano e al suo capo spirituale, sono state tradotte in molte lingue. In italiano ha pubblicato Tibet, storia di una tragedia, ed Lavoro La montagna dei tre tempi, Nuova Pratiche Editrice, 1996. Così parla il Dalai Lama, Lindau 2006 |