recensione di Lanternari, V., L'Indice 1996, n. 6
Sette anni dopo il libro che segnalava in Romano Mastromattei il primo antropologo italiano dedito con matura professionalità alla complessa problematica dello sciamanesimo ("La terra reale", Valerio Levi, 1988; cfr. "L'Indice", 1989, n. 5) lo studioso pubblica un lavoro nel quale sviluppa sul piano documentario - per l'esperienza diretta praticata metodicamente per anni soprattutto in Nepal - ma anche sul piano transculturale, e soprattutto teorico, un lavoro di portata scientifica innovativa, un testo base. La riflessione, approfondita e originale, appare determinante ai fini di una comprensione intellettuale del nucleo problematico, di per sé indecrittabile e irrazionale, radicalmente altro dalla ragione logica, che è il fenomeno dell'estasi sciamanica raccolta nell'esperienza viva del suo protagonista, lo sciamano. Di questa esperienza lo studioso ripensa ed enuclea le componenti psicoculturali, le implicanze mitico-simboliche, i significati cognitivi e assiologici. Mastromattei ci pone dinanzi allo sciamanesimo - al di fuori da ogni approccio sociologico, o funzionalista, e tanto più dall'arcaico e definitivamente accantonato approccio psicopatologico - da un punto di vista dignitosamente antropologico-religioso. Del resto affrontare il tema della "condizione estatica" vuol dire farsi problema della comprensione dell'essenza stessa dello sciamanesimo, dato che "senza estasi non v'è sciamanismo", come - seguendo Dominik Schröder - ribadisce l'autore. Dalla condizione di estasi in realtà lo sciamano - e questo risulta chiaramente dalla documentazione e dalle riflessioni riportate da Mastromattei - acquisisce il potere di gestire, nel bene e nel male, per gli altri e per sé, la dimensione del sacro. Nello sciamanesimo, sottolinea lo studioso, l'importante non è tanto la capacità dell'operatore sciamano di guarire un paziente dal suo male, n‚ quella di vaticinare il futuro a richiesta d'un cliente, o di predire calamità in aiuto della comunità d'appartenenza - anche se queste funzioni possono far parte del suo mansionario - ma è soprattutto centrale l'attitudine a gestire la dimensione del sacro. L'approccio di Mastromattei dunque guarda a quella dimensione che sola giustifica il fatto che lo sciamano indice la sua seduta rituale, fuori da qualunque condizionamento o richiesta esterna, o occasionale opportunità pratica, solamente per propria autonoma e libera decisione e opportunità personale: come dire, per essere se stesso, rimettendo alla prova, periodicamente, la propria signoria sopra forze e spiriti avversi, il padroneggiamento del mondo spirituale. Il libro compendia i risultati di due intensi periodi di ricerca in Nepal, 1984-87 e 1988-91: ricerca condotta con vari collaboratori, tra i quali gli autori di tre studi minori qui uniti in appendice. Essi hanno rivolto il proprio interesse a distinti aspetti della religione nell'area himalayana (Nicoletti, Riboli) o viciniore cinese (Sani). Martino Nicoletti presenta un quadro della religione bon tibetana, in cui si ritrova la possessione rituale sciamanica. Cristina Sani, sinologa, ha studiato la religione cinese dei Na-Khi dello Yunnan, ove ha trovato la presenza di figure sciamaniche con altri aspetti rituali e di operatori tipici dell'area himalayana. Soltanto Diana Riboli prende in esame un complesso sciamanistico nepalese: quello dei Chepang, con un contributo che integra dunque il maggiore di Mastromattei, specialmente dedicato ai Tamang dell'area sud-occidentale di Kathmandu. L'interesse peculiare dello sciamanismo chepang sta nel carattere eccezionalmente arcaico di questa cultura etnica, rimasta fino a età recente a livello di marginali cacciatori primitivi, poi forzosamente sedentarizzati e induizzati, con conseguenti adattamenti dello sciamanesimo originario. Altro elemento degno di nota riguarda la presenza, rilevata dalla ricercatrice, di casi di sciamanesimo femminile, o di coppie di partner uomo-donna, insieme cooperanti come sciamani (pande). Il riscontro viene a integrare quello di Mastromattei fatto fra i Tamang, cioè il raro caso di sciamano-donna. - un caso nel quale si rivela l'esistenza di tabù femminili di origine arcaica di culture cinegenetiche: il tabù, per le donne, d'uccidere personalmente l'animale sacrificale indispensabile per ogni seduta rituale. La mansione è riservata ai maschi, come lo era anticamente la caccia. Chiaro segno - tra altri - dell'origine preistorica dello sciamanismo fra gruppi di cacciatori primitivi. Mastromattei riesce, attraverso una ricerca viva, metodica, ripetitiva, "sul campo" a descrivere la realtà dello sciamanismo attraverso un'indagine condotta sull'intero complesso di elementi del rito, nei suoi aspetti semiologici, simbolici, cinesici, musicali, coreutici, vocali e sonori, senza lasciare da parte il problema della raccolta e interpretazione dei testi recitati o cantati. Tra i referenti più diretti della formazione storico-religiosa spicca la grande personalità di Angelo Brelich, che dopo Raffaele Pettazzoni aprì da noi la via alla più acuta, eppure laica, comprensione e allo studio storicisticamente orientato di ogni espressione del "sacro", ossia delle religioni viste nella storia. Ma per quel che riguarda lo sciamanesimo in sé dobbiamo riferirci al classico e prestigioso libro di Mircea Eliade, "Lo sciamanismo e le tecniche dell'estasi" (Mediterranee, 1992, ed. orig. 1951) del quale l'autore condivide l'attribuzione di valore assolutamente autonomo data allo sciamanismo, assunto come complesso religioso autosignificante. Mastromattei avanza una lieve riserva all'ideologia eliadiana "pervasa da un singolare edenismo uranico", e che conduce Eliade a un'"opzione assoluta per una forma ideale e ricostruita di sciamanesimo primordiale...: opzione formulata in piena coscienza contro ogni evidenza storica". L'ideologia eliadiana della cosiddetta "nostalgia del paradiso", che adombra appunto un'originaria epoca del sacro in dimensione assoluta, a cui ogni espressione religiosa richiamerebbe l'uomo entrato nell'epoca "storica", dunque nell'epoca della dimensione "profana", è apparsa da sempre, allo scrivente, compromissionariamente antistorica ed eticamente pericolosa. Del resto lo studio dello sciamanesimo lasciatoci da Eliade non arriva a elucidare tutte le sottili caratterizzazioni del rito sciamanico che invece la diretta analisi antropologica di Mastromattei riesce a evidenziare. Ci troviamo dunque, con la testimonianza documentaria che il libro ci offre, commentandola e interpretandola, davanti a una riscoperta del fenomeno sciamanico più vicina alle esigenze di un'antropologia che sa cogliere, oltre alla storia del fenomeno nel suo insieme, le più nascoste significazioni semantiche e simboliche, ma anche le più implicite contraddizioni, reticenze, indecifrabili espressioni del comportamento dello sciamano. Vero è dunque che la prospettiva qui seguita si discosta da quella predominante dei sociologi e degli antropologi sociali che professionalmente puntano verso l'analisi degli aspetti divinatori, taumaturgici, terapeutici - insomma d'utilità sociale - della professione sciamanica, presupponendo la dimensione mistica della trance come ovvietà. Con un pizzico d'ironia Mastromattei si atteggia verso di loro ("con buona pace degli stessi"), per sottolineare la preminente e nuova importanza del tema da lui scelto e approfondito. Del resto egli stesso non può non sfiorare aspetti d'ordine funzionale, quando ci rende conto, per esempio, di sedute sciamaniche cui ha partecipato e che risultano indette su istanza d'un paziente in cerca di terapia. Fatto sta che, focalizzando il momento dell'estasi come condizione psicoculturale autonoma e riservando alla seduta sciamanica "un suo valore fondamentale e autonomo, come atto rituale in sé", Mastromattei viene a imporre alla propria ricerca un tale rigore analitico e un tale impegno interpretativo volto alla decodificazione dei significati da mettere in luce precisamente gli aspetti più problematici, nebulosi e d'incerta interpretabilità del complesso della procedura sciamanistica.Ne deriva, per buona parte dei risultati, un carattere di work in progress, come tentativo di mediazione tra lo sciamano e la scienza. Risultano a volte contrastranti i rapporti tra i contenuti apparentemente espressi nella trance dalla persona, e quelli eventualmente alterati (pur volontariamente?) nel rinarrarli al ricercatore che glieli richiede e li raccoglie; oppure il contrasto può verificarsi rispetto ai contenuti che il ricercatore liberamente ritiene d'intuire e registra al momento. Certamente l'intera procedura del rito sciamanico pone in atto un rapporto diretto della persona dello sciamano con il mondo sovrannaturale degli spiriti e delle divinità. Giova, a proposito di divinità, rilevare - come fa l'autore - l'intreccio sincretico dello strato di religiosità sciamanistica, certamente il più arcaico, con gli strati di religione induista o buddhista, in Nepal come in India e nell'ambito delle grandi religioni asiatiche. I comportamenti dello sciamano, attraverso la trance, alludono al suo rapporto d'impersonazione con entità sovrumane o animali o vegetali o divine; ma la frequente reticenza o l'amnesia dello sciamano dopo la seduta può rendere difficile la ricostruzione del suo viaggio oltremondano, la delucidazione delle situazioni da lui effettivamente sperimentate. Il carattere di tipo onirico dell'esperienza estatica può produrre una falsa corrispondenza tra i comportamenti gestuali o espressivi della persona nella trance e le situazioni effettivamente da essa vissute, le quali possono spesso riferirsi a miti tradizionali, eventualmente recitati nelle formule d'accompagnamento del rito, o mimati nel corso della trance. Ma la mancanza d'una adeguata équipe di esperti rimanda al carattere di work in progress: perché conoscenza dei miti, decifrazione delle formule e lettura dei canti sono elementi essenziali per completare l'analisi delle componenti della seduta sciamanica, come ricorda l'autore, ammettendo i limiti oggettivi della ricerca. È tuttavia una riserva che nulla toglie al valore d'importanti intuizioni e definizioni teoriche di portata generale. Particolarmente importanti, per originalità d'intuizione in prospettiva etnopsicologica, ci sembrano le osservazioni che concernono la difficile demarcazione, nel quadro di "stati alterati di coscienza" noti agli psicologi, fra "possessione" e quella "fuoriuscita dal proprio sé" che gli etnopsichiatri (Richard Prince) chiamano "dissociazione". Così "uno jhƒkri, sciamano dei Tamang - riferisce il testo - può impersonare anche gli esseri più sgradevoli e pericolosi,... ed è difficilmente tracciabile la linea del tutto ipotetica che separa uno stato di coscienza alterato classificato come 'possessione-impersonazione', da una condizione estatica intesa come 'fuoriuscita dal proprio sé'". E ancora: "I gradi di distacco dalla sua personalità quotidiana, per il protagonista del rito, sono vari e diversi. Perfino nell'ambito d'una stessa seduta lo sciamano in vari momenti può attuare in sé un distacco profondo o quasi totale, ma anche tenue o nullo, dalla sua ordinaria fisionomia psichica. Fra gli altri tratti più originali e chiarificatori del libro vale la pena segnalare anzitutto il definitivo superamento della - fino a poco tempo fa persistente - definizione come "patologia psichica", di quella che viene oggi presentata come sindrome squisitamente culturale. Ciò a noi ricorda la correzione, in termini di sindrome culturale, applicata al tarantismo da Ernesto De Martino: tarantismo prima di lui classificato nel campo della psicopatologia. Inoltre, si impone come accento originale quello posto sulla sindrome del tremito. Essa si rivela segno della "prima visita" degli spiriti, cioè della vocazione del soggetto alla missione sciamanica. E lo scuotimento verticale intenso della persona, anche in positura seduta, si ripeterà in ciascuna reiterazione del rito sciamanico. Di particolarissimo rilievo sul piano semantico ci sembra il problema del "volo" dello sciamano, come si presenta nell'esperienza e nei colloqui avuti con uno 'jhƒkri' (o sciamano) tamang, Sete Rumba, perspicua personalità incontrata già in passato. Questo sciamano - reca il testo - "si rifiutava sempre di discutere sull'argomento del 'volo' affermando che sì, gli sciamani volano, ma senza aggiungere altro, oppure raccontando come diversivo storie divertenti di nessun interesse". Ma di contro il nostro antropologo ci riferisce l'andamento d'una seduta sciamanica già registrata in precedente inchiesta, e che rivela la corrispondenza della fase estatica del viaggio con una dura battaglia intervenuta tra lo stesso Sete Rumba e le potenze antagoniste incontrate. E qui la rinarrazione della seduta precedentemente registrata si pone come modello preciso di eventi drammatici e - io direi - di un arduo rapporto diretto, sostenuto dalla persona, con il sacro. Infatti - come riferisce la fonte - "lo sciamano, all'epoca sessantacinquenne, dopo aver suonato a lungo il tamburo e danzato, di schianto si abbatté al suolo, scosso dal tremito e da spasmi delle braccia e delle gambe, gli occhi arrovesciati all'indietro. Dopo qualche minuto divenne rigido e immobile. Il torace non era più dilatato dal respiro. Gli astanti temettero per la sua vita pensando che l'eccessiva tensione e fatica gli avessero causato un attacco di cuore. Alcuni minuti passarono. Poi Sete Rumba si rialzò elasticamente senza manifestare alcun malessere, e disse a bassa voce, con i suoi aiutanti, ch'era tempo di sacrificare un gallo". È qui che noi stessi possiamo interloquire per dire che nell'esperienza - come questa - di attivo contatto col sacro si coglie appieno la portata drammaticamente ambivalente - cioè insieme "fascinosa e tremenda" - dell'incontro col sacro, che si qualifica - l'insegnò Rudolf Otto nel suo classico libro "Il Sacro" (Feltrinelli, 1984, ed. orig. 1917) - come quello che in tutta evidenza è il 'ganz Anderes': il "tutt'altro" in senso assoluto. Le reticenze di uno sciamano, la vaghezza o il velo lasciato circa il suo comportamento, possono trovare la loro spiegazione proprio nel carattere di sacralità della sua esperienza, come tale "indicibile, incomunicabile" al mondo profano. Ma questa mia ipotesi interpretativa non è esplicitata, anche se Mastromattei lo lascia intuire affermando il carattere di religione dello sciamanismo, contro Dominik Schröder che lo nega. |