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Fantasmi.

Dispacci dalla Cambogia

Terzani Tiziano


Editeur - Casa editrice

Longanesi

Asia
Sud Est asiatico
Cambogia


Città - Town - Ville

Milano

Anno - Date de Parution

2008

Pagine - Pages

366

Titolo originale

Fantasmi. Dispacci dalla Cambogia

Lingua originale

Lingua - language - langue

italiano

Edizione - Collana

Il Cammeo


Fantasmi. Fantasmi.  

La Cambogia è stato uno dei grandi amori di Tiziano Terzani. La storia di questo piccolo regno, che custodisce al suo interno i misteriosi templi di Angkor, divenne per lui emblematica della storia dei paesi dell'Asia travolti nel corso del XX secolo dai giochi delle grandi potenze (USA, Cina, URSS). Terzani visitò più volte il Paese tra il 1972 e il 1994, divenne amico del suo re e nemico indignato degli assassini khmer rossi, per denunciare infine come ipocrita e immorale anche l'operato di pace da parte delle Nazioni Unite. Il libro, fondato sui reportage di Terzani dalla Cambogia, contiene anche il racconto scritto in prima persona della sua cattura da parte di combattenti ragazzini, dell'attimo in cui si salvò la vita con una risata - come amava raccontare - e circa cinquanta fotografie originali, scattate spesso da lui stesso.

 

Consulta anche: Ascolta la lettura delle prime pagine del libro su RadioAlt.


Recensione in lingua italiana

La recensione di IBS
Questo libro di Tiziano Terzani raccoglie gli articoli, i messaggi, i telegrammi, le corrispondenze inviate dalla Cambogia in guerra ai giornali europei: a Der Spiegel, di cui era corrispondente fisso dall’Asia, al Giorno, all’Espresso, al Messaggero, alla Repubblica e, dal 1988, al Corriere della Sera. Sono pagine intense, sospese tra l’illusione di una nuova era per l’Indocina e l’autocritica che il giovane reporter esercitò senza remore, di fronte ai drammatici eventi descritti con la sua Lettera 22.
Il libro inizia con i pezzi sui bombardamenti americani in Cambogia nel ‘73, i caccia bombardieri F-111 che saettavano nel cielo, il ronzare dei B-52 che nel giro di un secondo potevano cancellare un intero villaggio: Terzani, giunto a Singapore all’inizio del ’72, si era spostato a Phnom Penh nel marzo dell’anno seguente e aveva trovato un Paese assediato dalle bombe e dalla miseria. Al governo c’era il generale Lon Nol che, nel 1970, sostenuto dalla Cia, aveva rovesciato il re Sihanouk e aveva preso il potere senza godere di alcuna simpatia da parte della popolazione. Terzani vedeva i mercanti e gli ufficiali di quella repubblica, arricchiti dalla guerra, pranzare sulle verande degli alberghi mentre per le strade la gente era costretta dalla fame a mangiare i cani randagi e a scortecciare gli alberi per fare la legna per cucinare. In quello scenario di coprifuoco e rovine, c’era la grande attesa per l’arrivo dei Khmer Rossi, i “partigiani”, il movimento comunista clandestino formato da Khieu Samphan e Saloth Sar, il futuro Pol Pot. “I guerriglieri – scriveva il giornalista fiorentino nell’agosto del ’74 – controllano l’80 per cento del paese, hanno le risaie, la regione con le rovine di Angkor, tengono in mano tutte le strade… si sono anche presi il vecchio importante centro buddista di Udong.” In quel clima di tensione per l’arrivo della svolta, Terzani si spostò al confine con la ricca Thailandia e nella piccola cittadina di Poipet, appena invasa dai guerriglieri rossi, rischiò di morire fucilato perché scambiato per “Ameriki! Ameriki!”, come gli urlava il quindicenne che per ore lo tenne al muro con una pistola puntata al volto. Liberato, perché grazie a un commerciante cinese venne riconosciuto come non americano, Terzani attraversò quello stretto ponte di ferro che costituiva la frontiera tra Thailandia e Cambogia convinto che alle sue spalle, al di là di quel ponte, finisse non solo il paese della corruzione, dei repubblichini arricchitisi con i dollari dei militari Usa, ma anche che cominciasse una Cambogia diversa: quella dei contadini, la Kampuchea Democratica come l’avrebbero ribattezzata i Khmer Rouge, povera, dura e popolare.
Invece non ci fu neanche il tempo di festeggiare l’ingresso dei “liberatori” nella capitale che una cortina di silenzio calò sul paese: 4 milioni di abitanti furono trasferiti in pochi giorni con una forzata migrazione, dalle città nella campagna. Tutti i mezzi di trasporto vennero collettivizzati, il danaro eliminato e l’intera popolazione fu costretta a partecipare al lavoro nelle risaie e a vasti progetti di opere pubbliche. I giornalisti occidentali furono espulsi da Phnom Penh e se, per il nuovo regime di Pol Pot, il paese era un’”immensa officina”, Terzani nel ’76 raccontava la tabula rasa realizzata dall’epurazione e confermava ciò che dicevano i rifugiati scampati ai massacri di un esercito di ragazzini ai danni dei propri connazionali. Scuole, biblioteche, chiese e pagode furono chiuse; insegnanti, intellettuali, chiunque avesse legami con la memoria del passato fu ucciso. “Non c’è persona oggi in Cambogia – scrisse Terzani nell’80 – che non abbia perso un familiare, la stima di 3 milioni di cambogiani uccisi o morti di fame tra il 1975 e il 1978 non dovrebbe essere esagerata.” Il giornalista ricostruì l’orrore onnipresente: fosse comuni e stragi in nome di un comunismo nazionalista e rurale, rozzo e primitivo, in nome della “purezza khmer” anti-thailandese e anti-vietnamita (i nemici storici del nord e del sud).
Da quei Killing fields, dai teschi delle vittime accatastati nel crudo ed efficace “museo dell’orrore” di Tuol Sleng, prenderà corpo la svolta che porterà Terzani ad abbandonare ogni fiducia nell’ideologia, in cui pure aveva creduto, per iniziare un nuovo cammino di ricerca. Perché in Cambogia, l’unico paese dell’Asia che visiterà per altri 25 anni, Terzani vide in piccolo la tragedia del mondo in grande. E questo libro, Fantasmi, spiega le ragioni che lo hanno spinto a voltare le spalle al mondo e a cambiare direzione.

Consulta anche: Ascolta la lettura delle prime pagine del libro su RadioAlt.