Il cammello battriano
Il viaggio di Stefano Malatesta inizia da Peshawar, in Pakistan, al cospetto di alcune delle montagne più alte del pianeta, e attraversa una parte del desolato altopiano del Pamir tagiko.
"Il Pamir, che gli arabi chiamavano Bam-Dunya, il Tetto del Mondo, si trova alla latitudine del Mediterraneo, ma non nasconde da nessuna parte quei piccoli paradisi verdeggiandi come altrove nell’Himalaya. E’ una steppa gelida, spazzata dal vento come le montagne che le circondano. L’aridità dell’aria provoca una rapidissima evaporazione su qualsiasi superficie e i rari viaggiatori primaverili rimangono stupefatti quando le valanghe staccatesi dalle cime vaporizzano in nuvole d’argento prima di toccare il suolo (…) Nei tremila chilometri quadrati che costituiscono il cuore di ghiaccio e neve del Pamir, ci sono 1500 ghiacciai, di cui almeno 30 superano qualsiasi ghiacciaio delle Alpi ".
Dopo aver valicato i passi che uniscono Pakistan e Tagikistan, Malatesta scende in Cina e il suo itinerario tocca la millenaria città di Kashgar, nel Turkestan Cinese.
"I cavalli erano la maggiore attrazione del mercato (…) Rimasi incantato ad ammirare i volteggi scuri, gli arresti imperiosi, la scioltezza morbida con cui stavano in sella i cavalieri che venivano dalle steppe. Kirghisi, kazaki, mongoli, uiguri, tagiki, che d’estate salivano dalla pianura per raggiungere i grassi pascoli delle montagne. Ma la domenica riscendevano, attratti dal mercato di Kashgar. La città esiste da almeno duemila anni. Ma la domenica riscendevano, attratti dal mercato di Kashgar. La città esiste da almeno duemila anni."
L’obiettivo di Malatesta è quello di seguire le tracce degli archeologi – alcuni senza scrupoli – che qui scavarono giungendo a scoperte grandiose. Il viaggiatore italiano prosegue ancora nellla regione del Xinjiang, alla ricerca delle famose oasi, con la bussola sempre puntata verso est. Raggiunge infine Tun-huang, alle pendici dell’imponente catena montuosa dello Nan Shan. Dunhang, un'oasi sperduta tra la Mongolia e il Tibet, era la tappa iniziale della "Via della seta" per chi proveniva dalla Cina e quella finale per chi partiva dal Mediterraneo, e faceva parte di una straordinaria cultura fiorita per mille anni e poi scomparsa sotto la sabbia. Per arrivarci Stefano Malatesta ha seguito le antiche strade carovaniere, sulle tracce di geografi, avventurieri e pellegrini. È stato a Kashgar, il più grande mercato dell'Asia centrale e nelle valli dell'Himalaya, dove è nato il mito di Shangri-là. Ha incontrato i cafiri dagli occhi azzurri e i nomadi kirghisi che cacciano con le aquile.
"Dando un semplice sguardo alla carta geografica ci si accorge che l’Asia Centrale non appartiene né alla Russia né alla Cina, e nemmeno a se stessa. Appartiene al vuoto."
Il cammello battriano” è il racconto del lungo itinerario che Stefano Malatesta ha seguito attraverso Pakistan, Tagikistan e Turkestan Cinese. Nel corso del viaggio, Malatesta snocciola aneddoti, curiosità, storie e fatti legati a questa affascinante quanto sconosciuto frammento d’Asia, riuscendo perfettamente nell’intento di appassionare e stupire il lettore. Una regione da sempre attraversata da carovane, uomini e oggetti che viaggiavano lungo l’asse ovest-est; le merci provenienti dall’estremo Oriente erano richieste in Occidente, e proprio grazie a questi scambi commerciali hanno anche circolato idee, religioni, culture, saperi. Qui si sono mescolate popolazioni per secoli, tanto che non è raro trovare alcune etnie con caratteri spiccatamente nordici, quali occhi azzurri e capelli chiari, come i cafiri del Palistan, o come le mummie del Tarim, una serie di corpi che mostrano spiccati caratteri caucasici ritrovati lungo il fiume Tarim risalenti a circa 2000 anni prima di Cristo. La grande ricchezza dell’Asia Centrale sta nel fatto di essere stata, per molti secoli, una sorta di terra di mezzo che tutti dovevano attraversare. Era questo settore il fulcro, il motore del mondo dell’epoca. E come ricorda Stefano Malatesta, è vero che le civiltà sono nate una volta che l’uomo ha messo radici, ma senza il movimento – di uomini, oggetti, idee – non saremmo arrivati ai livelli culturali oggi.
La presenza dei nomadi metteva allegria. Sappiamo che le civiltà sono nate quando i popoli migratori sono diventati stanziali. Ma qualcosa continua a suggerirci che la nostra natura consiste nel moto e che la quiete assoluta è la morte".
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