Rebecca e la pioggia
"Il mondo della pioggia comincia di colpo. A nord un mare di deserto pietroso, più pietroso del Sahara. In mezzo divaga il Nilo, senza rendere fertile nulla, con una cornice minimale di verde coltivato che diventa subito sterile. Il Sudan ha il numero più grande di displaced people del mondo, profughi in guerra tra loro per un pugno di sorgo, per l'accaparramento o il controllo di un fiume di aiuti umanitari che diventano la forma più perversa di divide et impero. Nella regione maledetta del Darfur è esattamente questo che accade. La guerra, di cui nessuno qui ricorda l'inizio, ha inghiottito generazioni. Non ci sono anziani; solo nugoli di bambini, e poi, ovunque, uomini giovani, appoggiati al fucile come fosse un bastone da passeggio, a far nulla. Rosa e Rebecca, le due donne senza corpo, mi portano nell'universo femminile dei dinka. Il fiume delle donne che vanno a lavorare nei campi si gonfia, ma è una fila di gente zoppa, storpia e malformata come in un quadro di Brueghel il Vecchio. Eppure, quei corpi segnati ballano, saltano e cantano. Ridono, soprattutto. In Africa incontro la gente più bella più colta, più forte della chiesa. Noi europei, che abbiamo imposto all'Africa le nostre misure, i nostri meridiani, i nostri dei, noi che abbiamo disegnato la geografia a nostro esclusivo profitto, forse avremmo bisogno di imparare da loro, di farci evangelizzare da queste missioni africane." Con un'intervista di Paolo Rumiz a Monsignor Cesare Mazzolari, missionario comboniano e vescovo di Rumbek.
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Monika Bulaj, nata a Varsavia nel 1966, è fotografa, scrittrice, filmaker, pubblica reportage sui confini estremi delle fedi; scrive le sceneggiature per i documentari, tra cui il film Romani Rat 2002 di M. Orlandi, sull’Olocausto dei Rom. Collabora a: D - La Repubblica, Io Donna, Corriere della Sera, National Geographic, EAST, Courrier International, Gazeta Wyborcza, Internazionale, GEO. Ha pubblicato i libri: Libya felix; Donne, storie... ; Gerusalemme perduta, con Paolo Rumiz, Figli di Noe. E’ Regista, fotografa e sceneggiatrice del film documentario Figli di Noè (produttore: Lab80 FILM). Ha presentato mostre fotografiche individuali in Italia e Europa.
Hanno scritto di lei «Se avete il sospetto che la fede non stia nelle piazze strapiene o nel marmo delle cattedrali, ma nelle periferie, nei villaggi ai confini dell'impero, allora guardate il lavoro di Monika Bulaj sui microcosmi perduti dell'Est». La Repubblica, Roma
«Le sue foto hanno l'odore della terra umida, dell'incenso, trasmettono la luminescenza dei ceri, riflettono la chiarezza del cielo pannonico. E oggi Monika Bulaj è riconosciuta nell'universo della foto artistica». Le Soir, Bruxelles
«Questa antropologa curiosa, colta e appassionata, viaggia dal Marocco all'Iran su linee di frontiera che non troverete sulle carte, tra ciò che conosciamo e il mondo che rimane nascosto nel cono d'ombra della storia». L'Eco di Bergamo
«La Bulaj abbina fotografia e scrittura, li mescola in una forma nuova di comunicazione, anche nella sua lingua nuova, l'italiano. Prosa forte, immaginifica, di un realismo fantastico.Va da sola d'inverno per piste da bracconieri, abita terre di nessuno, si infratta nelle «borderline», si sposta a una velocità incredibile, con pochissimi mezzi, dorme sotto le stelle, ha una resistenza da guerrigliero afghano». Il Piccolo, Trieste
«Attraversa le frontiere d'Europa per catturare le immagini di una fede bollata come «popolare, folcloristica, esaltata». Un mondo di minoranze che il Muro ci ha impedito di conoscere per lunghi anni e ora rischia di sparire». Il Riformista, Milano
«Il suo lavoro è un'occasione straordinaria di capire che non siamo solo europei, ma che ci sono minoranze culturali e religiose che il Muro tra Est e Ovest ci ha impedito per anni di conoscere». Liberazione, Roma
«La luce, tutta interiore, esplode in sequenze blu notte, rosso e giallo oro. I volti – vecchie monache che biascicano le litanie, giovani donne che al corteo funebre portano il cibo per i morti, sposi che mostrano una icona sacra per essere accolti dalla comunità. L'obiettivo di Bulaj ritrova tracce del fervore apocalittico che contagiò la Polonia Nord Orientale nei primi decenni del secolo scorso e le traspone nei colori panici e nella luce che accelera la corsa estatica della donna scalza fra il grano maturo». Alias, Roma |