La recensione de L'Indice
Scrive Messner: "Ammettere la sconfitta è difficile da sopportare soprattutto quando l'eroe muore. Questo vale ancora oggi. In quel periodo, nel 1924, si parlò molto poco del fallimento di Mallory sulla via del ritorno. Se almeno avesse lasciato dietro di sé qualche traccia come Robert Falcon Scott al Polo Sud! Quando Mallory precipitò sotto la cresta nordovest non c'era nessuno che più tardi avrebbe potuto testimoniare". Di George L. Mallory, il colto ed eccentrico alpinista inglese scomparso sull'Everest con il compagno Irvine quando la scalata dell'Everest era un'impresa per pazzi o per sognatori, si parlò sempre di più con il passare degli anni e con l'accrescersi del mito, fino a quando Hillary e Tenzing, nel 1953, salirono sulla montagna più alta del mondo e dovettero misurarsi a ogni passo con il mistero di chi (forse) li aveva preceduti, e poi fino alla primavera del 1999, quando una spedizione americana ha ritrovato il corpo seminudo di Mallory a grande altezza, sul versante tibetano della montagna. Ne è nato uno scoop giornalistico di dubbio gusto e le macabre immagini sono rimbalzate in tutto il mondo: la seconda morte di Mallory. Negli ultimi tre anni sono stati versati nuovi fiumi di inchiostro sull'eroe dell'Everest e tutti hanno potuto dire la loro: che era stato in cima, che non ci era stato; che era caduto in salita, in discesa, di notte, per la tempesta, causa lo sfinimento degli ottomila metri. Mancava la voce forse più autorevole, quella di Reinhold Messner, che dell'Everest ha compiuto la prima ascensione senza ossigeno e la prima salita solitaria, proprio sulla parete tentata da Mallory sessant'anni prima.
Il libro si dipana attraverso tre chiavi di lettura: una chiave storica che ricostruisce i fatti collocandoli nell'eccezionalità del tempo; una chiave documentaria che propone e commenta passi ricavati dalle lettere e dagli appunti personali di Mallory e compagni; una chiave letteraria che, immedesimandosi nel protagonista simbolicamente scampato alla morte e sopravvissuto nel mito, rende testimonianza di quanto siano mutati i sentimenti per la più alta e più ambita montagna del mondo, dall'incoscienza dei pionieri alla programmazione tecnologica delle attuali spedizioni commerciali, capaci di portare in vetta cinquanta persone in un giorno solo, su nevi ormai sconsacrate dal denaro e dai rifiuti. È cambiato un mondo: il tetto del mondo.
"Ero pronto - scrive Mallory-Messner prima dell'ultima partenza del 1924 -. Ricordo ancora come la mia anima sorvolasse sui diversi preparativi e si dicesse, come Dio dopo la creazione, che tutto andava bene. Il pensiero di ciò che sarebbe potuto succedere nei due giorni successivi balzò, come in un sogno, verso l'alto, e i miei desideri volarono di nuovo: immagini piene di speranza. La mia meta era straordinariamente chiara: il punto più alto della terra!".
Poco importa, a questo punto, che Messner dimostri con una certa chiarezza che Mallory non ha mai raggiunto la cima dell'Everest. Lui, uomo di grande volontà ma rocciatore modesto, avrebbe dovuto scalare una parete di sesto grado quando nemmeno sulle Alpi si superavano simili difficoltà. Ciò che conta è che Mallory ha creduto nell'impossibile, in "ciò che non era mai stato raggiunto, nell'eterno irraggiungibile". Quindi non ha fallito e vive nei desideri degli uomini liberi.
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