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Un bellunese di Patagonia

Lentini Alfonso


Editeur - Casa editrice

Nuovi Equilibri

America del Sud
Argentina
Patagonia


Anno - Date de Parution

2005

Pagine - Pages

189

Titolo originale

Un bellunese di Patagonia

Lingua originale

Lingua - language - langue

italiano

Edizione - Collana

Eretica

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Un bellunese di Patagonia

Un bellunese di Patagonia Un bellunese di Patagonia  

'Torna' a Belluno - dove non è mai stato - Sergio Dal Farra, nato in Patagonia. Torna nella terra dei suoi antenati per sfuggir alla dittatura argentina, che dal '76 all'83 ha sterminato una generazione di oppositori: 30.000 persone. Il racconto di un'avventura individuale, tuttavia la storia di Sergio getta un ponte tra le vicende italiane e quelle sudamericane. Perché, per comprendere gli avvenimenti che hanno segnato il nostro paese negli anni Settanta, bisogna guardare ai movimenti di liberazione dell'America Latina.

 



Recensione in lingua italiana

Sergio Dal Farra è nato a San Carlos de Bariloche, in Patagonia, ma le vicende della sua vita lo hanno condotto infine ai luoghi d'origine della sua famiglia, a Belluno. Le alte vette e i paesaggi montani sono i luoghi di provenienza e di arrivo, e segnano l'appartenenza a un ambiente naturale maestoso. Ma è un'altra la geografia che rende possibile l'evoluzione. La Plata, Buenos Aires. La città, che si distende a perdita d'occhio sulla pianura inerte, brulica di vita. Là si costruisce la storia.
Gli anni della gioventù di Sergio sono complessi e controversi. La dittatura del generale Videla, il secondo mandato di Perón, la Triplice A. Nel clima di repressione che caratterizza l'Argentina degli anni settanta, Sergio sceglie la via sotterranea e clandestina della ribellione. Mentre studia architettura all'università di La Plata, abbraccia la causa dell'Erp, l'Esercito rivoluzionario del popolo, e riconosce nella forma più dura del contrasto l'unica fonte possibile di liberazione dal totalitarismo. Nemico da sempre della violenza, paga, in coscienza, il prezzo di una scelta complicata ma definitiva. Nel resoconto fatto ad Alfonso Lentini, da cui quest'opera prende vita, Sergio continua ancora oggi a vedere nella lotta armata l'unica via possibile per contrastare le imposizioni pesanti di quella condizione storica piena di eccessi e contraddizioni.
Nonostante l'indicazione in copertina, che identifica senza possibili dubbi questo testo come un romanzo, la modalità narrativa spazia in realtà tra vari generi e si avvale di artifici propri del monologo teatrale e della biografia. Se l'autore ha ceduto alle malie espressive di diverse forme letterarie e all'affascinante gioco di sovrapposizione di realtà e finzione, è invece univoca l'intenzione comunicativa, chiara nel testo e confermata con vigore nella nota finale. Non proprio un'opera dalle esplicite intenzioni politiche, quanto piuttosto una provocazione lanciata attraverso una coinvolgente storia di vita, relativa a un'epoca storica dalle tinte forti. Il ricordo diventa veicolo di riflessione ad altre latitudini e in un ambiente politico completamente diverso. Riporta a situazioni limite di privazione delle fondamentali libertà e stimola il confronto. Una differenza viene segnalata dallo stesso protagonista, quando paragona la sua esperienza militante in Argentina e la sua attività politica nella sinistra italiana degli stessi anni: "La grande discriminante è proprio questa: l'esistenza di una democrazia. Le mie scelte derivano dall'essermi sentito costretto". Sergio non giustifica la Brigate Rosse perché la violenza non era l'unico mezzo disponibile in quegli anni in Italia.
La componente puramente letteraria dell'opera è affiancata dalla forte presenza di un'intenzione ideologica precisa. È un libro che si legge volentieri in un paio d'ore, racconta una storia in modo gradevole, e stimola la riflessione su situazioni estreme che ci appartengono ma che forse vengono percepite come distanti dai tempi e dai modi che ci sono più familiari.