Impermanence
Impermanence Il riscatto di un popolo lunedì 13 settembre 2004 di Andrea De Gioia
"L’impermanenza del tutto è una verità universale. Noi siamo nati per morire, ma la questione fondamentale della vita è cme vincere il dolore tra la nascita e la morte". Con questa emblematica frase Goutam Ghose descrive il senso del suo documentario sul quattordicesimo Dalai Lama (Impermanence, presentato nella sezione "Cinema digitale" di Venezia 2004), la più sacra autorità religiosa tibetana, la reincarnazione vivente del Buddha, la guida spirituale e morale di un intero popolo. Girato con cura e sensibilità, con l’aiuto di due troupe in diverse località del Tibet per riprese durate oltre un mese, il documentario parte dall’infanzia del sacro ministro religioso, e con una perizia da scienziato percorre le varie tappe della sua vita, da quando, non ancora prescelto, Tensin Gyatso giocava con l’acqua e con gli altri bambini davanti a case povere di legno logoro, passando dalla nomina di Dalai Lama,fino all’invasione cinese, e all’esilio. I cineasti più assidui sono già stati abituati al Tibet dalle opere di Bertolucci, Scorsese, Annaud, ma questo documentario ci regala suggestioni nuove e uniche in quanto molte immagini sono state girate con speciali permessi rilasciati dalle autorità cinesi che hanno autorizzato il regista indiano a filmare in località mai riprese prima come l’interno del palazzo del Potala (l’antica residenza del Dalai Lama), il monastero di Jokang a Lasha (uno dei pochi luoghi di culto ancora attivi in Tibet) e in posti quasi inaccessibili all’uomo, figuriamoci a una troupe cinematografica. L’autore racconta la volontà del Dalai Lama e della sua comunità di far sopravvivere la profonda e antica cultura di un popolo che è stata preservata per secoli nel silenzio delle montagne e che oggi, grazie a un piccolo territorio nel cuore dell’Himalaya fornito dall’India, è risorta nei suoi valori essenziali. Il pensiero del Dalai Lama ci arriva dalla sua capacità di comunicazione con il pubblico, tocca i temi più importanti (pace, perdono, umanità, tolleranza, fede) ai quali sempre più persone di oriente e occidente guardano con interesse. Il regista cerca di trattare il discorso sull’importanza della non-violenza, del dialogo, della compassione e di "impermanence" con un linguaggio poetico e ironico in modo che arrivi efficacemente alla mente e al cuore degli spettatori come un segnale di enorme importanza e speranza, specialmente in un clima di violenza generalizzata come quello di questi ultimi anni. Goutam Ghose, ormai noto in tutto il mondo come grande ritrattista dei più suggestivi personaggi contemporanei del mondo dell’arte, della cultura, del pensiero, della solidarietà, si concentra questa volta sulla più importante guida etica e religiosa di un’intera etnia per lanciare un messaggio tanto semplice quanto fondamentale: vincere il dolore è l’eterna ricerca dell’umanità e l’illusione di avvertire come permanente ciò che è passeggero induce all’errore e porta alla distruzione. L’unica soluzione dunque è avere una forte consapevolezza della propria responsabilità universale. Quindi, "è innegabile che la nostra felicità sia indissolubilmente legata a quella degli altri. È innegabile che se la società soffre soffriamo noi stessi. Ed è altresì innegabile che più abbiamo il cuore e la mente afflitti da sentimenti ostili, più infelici diventiamo. Perciò possiamo rifiutare qualsiasi cosa, religione, ideologia, tutta la saggezza ricevuta, ma non possiamo sfuggire la necessità dell’amore e della compassione". Parola di Dalai Lama.
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