La vendetta della melanzana
Cibo gioioso, cibo goloso, cibo di rito, digiuno odiato. Una donna dispone di ben due mariti in eterna competizione: come una dea della foresta, va placata con offerte straordinarie di cibo. Un prete-bambino che calza scarpe Nike e mangia a ritmo lento e inesorabile: la felicità, per la nonna a caccia di un prete da nutrire alla cerimonia più importante dell'anno. Bala è la cugina povera: i parenti se la passano come un pacco postale, e lei si fa apprezzare con spuntini prelibati e rammendi impeccabili. Ma quando il giovane Raj sbuca dall'America e mette gli occhi proprio su di lei, il normale ordine delle cose è sconvolto. Una raccolta di racconti in cui ricordi, sogni e invidie si confondono con il piacere del cibo tra sfrigolii e rumori di stoviglie.
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Le prime righe di: Ditelo con i cavolfiori
Finocchio, senape, cumino e anice gettati nell'olio di senape bollente. Si sprigiona un aroma pungente, avvolge la testa di Dida e procede fino a noi. Io e il mio fratellino ci allunghiamo in avanti, attenti a non valicare la linea invisibile che separa la cucina della nonna dal resto della casa. Nessuno ha il permesso di entrare in quel locale stretto e buio, spazzato e lavato quattro volte al giorno da Dida. Cipolle, aglio, carne, piatti di vetro e servi non hanno mai varcato la soglia; però ci vive un topolino, talvolta lo vediamo, ci spia da dietro una fila di recipienti di ottone. Dida lavora seduta sul pavimento della cucina. La vedo tagliare le verdure in piccoli pezzi, mondare il riso, impastare e lavare foglie di spinaci dalla mattina alla sera; e pensare che lei mangia soltanto una volta e digiuna un giorno sì e uno no, come tutte le vedove bramine ortodosse. Mia madre saltuariamente è ammessa in cucina, ma soltanto dopo aver fatto il bagno, essersi lavata i capelli e cambiata d'abito. Dida, che ricordo minuta e fragile nelle sue vesti bianche da vedova, cucina e mangia prima degli altri. Nipotini, figli, nuore e parenti poveri vari che le piace sfamare siedono attorno al lungo tavolo di marmo bianco mentre Dida non lo sfiora nemmeno - anche se l'ha portato lei in dote da bambina, sessant'anni fa. Rappresenta quel che lei odia di più. Ricchi curry rossi di carne con aglio e cipolla l'avevano macchiato; a questo tavolo contaminato i figli avevano intrattenuto estranei, di certo non bramini; una volta ci aveva visto appoggiata persino una bottiglia di birra maleodorante. Adora girare intorno al tavolo durante i pasti, e far piovere prelibatezze nei nostri piatti: frittelle di melanzane, loochi e mishti. Si tiene discosta, ben attenta a non sfiorare il tavolo. Le sue mani pallide, che le ho visto lavare almeno cinquanta volte al giorno, si librano come libellule, e di colpo qualche delizia cade nei nostri piatti. Dida non era molto più alta di me, che all'epoca avevo dodici anni. Era così sottile che l'unico braccialetto d'oro le scivolava dal polso quando faceva il bagno. Non indossava altri gioielli; teneva quel semplice cerchietto ammaccato perché, spiegava, bisogna portare un ornamento d'oro quando si muore, come dazio per Yama, il dio della morte.
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