Invisibili
Due vecchissime donne, due paesini del Bengala, due storie. Una, Dulali, sogna e ricorda un vecchio amore impossibile perché proibito; l'altra, Andi, sogna di vivere in una favola. Una è stata derubata della vita, l'altra è stata derubata della vista. Tutte e due riescono a vedere solo a occhi chiusi, una vede il passato mentre l'altra, sotto forma di favola, vede il presente. Dulali e Andi sono accomunate da un pensiero, da una speranza, da un sogno, forse da una visione: riuscire a mangiare tanto da potersi riempire la pancia. Conclude il libro un saggio di Gayatri C. Spivak, studiosa di letteratura comparata e Avalon Foundation Professor alla Columbia University di New York, che affronta da femminista il problema della traduzione di un'opera post-coloniale. Spivak critica la politica occidentale della traduzione che spesso riduce la letteratura delle donne del terzo mondo al suo messaggio sociale; ne discute in prima persona, mettendosi in gioco e mostrando in che modo si è cimentata con il testo di Mahasweta Devi, che ha tradotto dal bengali all'inglese.
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Mahasweta Devi, nata a Dacca (nell’attuale Bangladesh) nel 1926 in una famiglia di intellettuali impegnati, è figura di grande spicco e carisma: insegnante, scrittrice, giornalista, autrice di più di cinquanta opere tra romanzi e raccolte di raccolti, è notissima anche per il suo impegno a favore dei diritti civili e sociali delle popolazioni tribali dell’India, ancora oggi emarginate e tenute in uno stato di semischiavitù. Devi si è formata alla scuola di Shantiniken, fondata da Tagore, la stessa da cui provengono intellettuali e artisti di fama internazionale come il regista Satyajit Ray e l’economista Amartya Sen. Militante comunista fin dagli anni dell’Università, dove consegue la laurea in letteratura inglese, pubblica il primo romanzo nel 1956 e fino al 1984 insegna presso l’Università di Calcutta. |