L' ape
Con la sua aria proletaria e la sua duttilità postmoderna, l'Ape - o meglio la Lapa, il Tuk-Tuk, il Gua-Gua e gli altri cento nomignoli con cui è chiamata nel linguaggio popolare dei vari paesi del mondo - ha ottenuto un successo planetario che l'ha consacrata come l'unica via pop al traffico. Dietro la sua vivacità da dialetto, da oralità, c'è infatti una capacità tutta creola di rispondere alle sfide del futuro con soluzioni non banali che raccontano la storia di un diverso rapporto tra cultura e mobilità. Come testimoniano le immagini di Melo Minnella che ci portano da una struggente Sicilia in bianco e nero alla frenetica vitalità di paesi emergenti come l'India e l'Egitto, colti attraverso la vocazione meticcia di questo sorprendente veicolo a tre ruote. Così, quello che è stato uno straordinario multiuso casa-bottega che ha solcato e solca la nostra storia urbana e rurale, questo ibrido ancora incerto tra un carretto, un'auto e una moto, si rivela capace di mostrarci il quotidiano in presa diretta, offrendosi senza falsi pudori a uno sguardo che può essere giocoso senza per questo perdere la voglia di capire, di andare oltre la superficie delle cose. Per guardarci, insomma, come se i "primitivi", il primitivo oggetto dell'antropologia, fossimo noi.
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Franco La Cecla e Melo Minnella, L'APE, Antropologia su tre ruote (Ed. Eleuthera, pp. 96, euro 14,00). L'Ape, anzi la Lapa, Lape, o Apo, oppure Ape, certo, ma anche il Tuk-Tuk, il Gua-Gua, la Tre ruote, l'Apina per i più profani: insomma quel triciclo a motore, o quel fuoristrada a 3 ruote, o quel Suv che si guida in piedi, il negozio-magazzino ambulante, l'incrocio tra una Vespa e un camion, la Station Wagon cabriolet, il pick up dialettale, il camioncino con le porte ma non le portiere, che ha segnato tanta storia d'Italia, ma non solo, visto quanti se ne vedono in estremo oriente e in Africa Tra decine di splendide fotografie di Melo Minnella che immortalano nel mondo un oggetto-mito-archetipo del libero movimento urbano e rurale, Franco La Cecla, geniale, irriverente, lucido e spudorato urbanista e antropologo di fama internazionale scrive l'apoteosi dell' Ape per aprire un nuovo brillante capitolo della sua personalissima «antropologia del quotidiano» in cui i primitivi siamo noi. Ma per farlo, La Cecla avverte che occorrono alcune considerazioni preliminari: 1. che si sia disposti ad ammettere che un veicolo a tre ruote stia in piedi; 2. che si abbia un'idea molto vaga dell'uso di un simile veicolo; 3. che si pensi che ci si possa andare dappertutto, scale comprese; 4. che si pensi che nulla possa essere più comodo; 5. che si pensi che è l'unica alternativa alla decappottabile. «Poste queste condizioni, gli individui degni di guidare la Lapa sono veramente pochi», sono come «profeti di una nuova era della mobilità». E ciò nonostante una diffusa vergogna del produttore per il suo aspetto popolare, folk, dialettale, proletario, contadino: priva di optional e dotata solo di funzioni, la Lapa non è mai metallizzata, non ha l'autoradio, nè aria condizionata, sedili in pelle, vetri elettrici. È un mezzo per pochi, in cui non c'è differenza tra chi siede a destra o a sinistra del pilota, non si staglia nel paesaggio, bensì ne è assorbita, e può altresì diventare un camioncino della frutta, un taxi, un gelataio, un porta-cugini o carro bestiame, altare di devozione, ambulanza, carro funebre, vetrina di leccornie, tracasser di vignaioli svizzeri. «L'Ape è un escamotage che ci libera per un momento dalla stupidità tecnologica in cui siamo calati», con auto sempre più ingombranti che soffocano i centri storici, dilatano a dismisura i tempi della moderna e frenetica mobilità, l'Ape è il Google del trasporto, che consente di trovare i posti dove volete andare, esplorare e visitare le città in modo amichevole, come se voi foste un mouse che percorre lo spazio urbano. «Insomma, è parte di quella modernità futura per la quale possiamo essere un pò orgogliosi di vivere nella nostra epoca». |