La notte al Sahara è cielo
Un diario di viaggio. Come usava un tempo. Una sorta di moleskine. Un esempio di narrativa di viaggio lontana da cliché e tour operator. Il pratese Emilio Borelli ci accompagna Partiamo per scoprire il relativo sotto l'assoluto del cielo. Per risolvere l'equazione, nemmeno troppo complicata, che ci lega agli altri. Strade, orme, gente, vento, silenzio, dubbio. Fino all'arrivo, sporcati da ciò che abbiamo sfiorato oltre le nostre intenzioni. State per tuffarvi in un diario romanzato, una mappa di parole che traccia solchi concreti e sahariani per chiunque vorrà seguirli. C’è la notte col suo nero pieno di tutto, una lavagna su cui incidere il sogno. Ci sono mille paesaggi figli della stessa luna. Si va per trovare un punto di partenza nuovo.
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Questa recensione è stata tratta dalla prefazione dell’autore
Una raccolta di scritti a volte più diventare una storia, racconti più o meno brevi, testi sviluppati in varie epoche sulla base di situazioni di viaggio, in piccola parte basate su appunti scritti di getto, talvolta nel luogo stesso degli avvenimenti, che spaziano su vari continenti. La più gran parte nasce, anche a gran distanza di tempo, dal ricordo di fatti e situazioni che l’autore ha riportato a galla nei dettagli e nelle immagini nascoste, anche se in apparenza sembravano dimenticate. Leit motiv di questa selezione per ragioni che appariranno palesi al lettore fin dalle prime righe, è l’Africa, in special modo quella delle regioni desertiche. Il Sahara quindi, ma non soltanto, giacchè il viaggiare è proprio come il vivere – qualcuno disse a tal proposito che se viaggi hai quindi vissuto due volte – si articola in tante sfaccettate parentesi: Africa dell’Ovest e del Sud, cui si alternano Indocina, mari lontani, tutti luoghi consegnati dal sentire collettivo quasi alla sfera del fantastico ed alla dimensione dell’esotico. Tutti luoghi e situazioni invece tremendamente reali e paradossalmente più prossimi a noi, contrariamente a quanto i più credano. Motore di tutto come sempre la curiosità, il piacere di starsene in giro senza briglie e, sopratutto, senza troppo bagaglio, in tutti i sensi. Non si tratta di una banalità, l’atteggiamento puramente pedissequo di adesione e di sudditanza psicologica verso l’altrui opinione se “griffata”, per l’autore è talmente controproducente da svilire ogni esperienza; nel sentire levantino ha quasi valenza di peccato, in arabo ha un nome: il taqlid. Giacchè il principale filo conduttore di questa raccolta si dispiega sulle pagine ondulate delle regioni sahariane troverete talora termini in lingua locale, per la maggior parte arabo o tamashek, francesismi e non soltanto; vi sono anche termini che empiricamente capita di usare nelle conversazioni in quella lingua fatta di più idiomi, una sorta di esperanto da viaggiatori ignoranti ma comunque intraprendenti. Non sia inteso questo come mesto snobismo o vezzo tardo-orientalista ma piuttosto un sincero modo per meglio ambientare le situazioni descritte nel racconto; troverete inserito un glossarietto sperando di aiutare il lettore ad inserirsi meglio nelle atmosfere, quasi respirare davvero l’aria frizzante dell’alba nel deserto, percepire nel maglione l’odore della cenere del fuoco da campo, assaporare l’odore del caffè “polveroso” spesso più masticato che bevuto nelle miserabili bettoline sperdute sulla Transahariana. Basta un odore rimasto nell’auto, a volte, per rivedere una scena, rivivere una sensazione. Si parla di deserti, si parla di Algeria, di Tunisia lontane dai circuiti turistici, e delle loro genti, c’è un profondo Niger, l’Africa nera dei paesi del Golfo di Guinea vista da dietro le quinte, la Cambogia dei templi, delle mine e di altro ancora… ci sono immersioni in oceani pieni di vita, come il Sahara deserti solo alla superficie… Ancora una cosa, forse la più importante, al di là dei tramonti, delle albe e delle immagini della memoria: viaggiando succedono cose, si incontrano persone, si entra in contatto con situazioni particolari e le si vivono, con risvolti ed implicazioni imprevedibili; da questi fatti è ovvio trarre delle considerazioni che ovviamente non possono essere generalizzate, il fattore umano – che lo vogliamo o meno, che siano scomodi o no, ma tutti abbiamo dei ruoli – è sempre decisivo anche nell’immagine che rende di sé e di ciò che rappresenta. I racconti non sono né vogliono essere politically correct. Sono il frutto – romanzato – di sensazioni, situazioni, cose dette, riportate, fatte, viste o al più ascoltate. Sul posto. Troverete conversazioni inaspettate e avrete scorci privilegiati su culture che molti ritengono di conoscere. In un libro di racconti di viaggio, almeno in questo, non troverete soluzioni miracolose o Verità assolute. In questo potrebbe esserci però una chiave di lettura semplice e finora – forse perché semplice – inesplorata. Non è di certo obbligo percorrere migliaia di chilometri in luoghi lontani per vedere più chiare anche molte cose a noi vicine. Però aiuta parecchio. Ma l’aspetto più bello del riordinare questo vero e proprio taccuino, come accennato sopra, è stato un’altro. Se è possibile paragonare il nostro cervello ad un computer è impossibile rendersi conto della mole di immagini, sensazioni, che possono venire rivissute nel corso di una semplice ricostruzione di fatti avvenuti tanto tempo fa. In realtà è stato il modo di estrarre dai cassetti più reconditi della memoria tutta una serie di episodi che erano stati completamente rimossi. Ma che erano ben salvati da qualche parte. Solo che non ricordavo dove. |