Milarepa (DVD)
Liberamente ispirato alla biografia scritta da Rechus (XII sec.) Milarepa, grande yogi del Tibet, è la storia del viaggio mentale di uno studente di oggi che si identifica in un giovane contadino del Nepal, vissuto nell'XI secolo. Dopo un incidente stradale, mentre si attende che giungano i soccorsi, Leo declama al prof. Bennett la storia del grande maestro tibetano di meditazione Milarepa che ha appena finito di tradurre e che rispecchia per molti versi la propria vita. Il film, che per la sua chiara struttura geometrica piacque molto a Pier Paolo Pasolini, è ripartito in tre capitoli ben distinti: quello della magia nera (Mila, spinto dalla madre vendicativa, causa la morte dei ricchi persecutori); quello della magia bianca (Mila grazie al severo esercizio si incammina lungo la via della saggezza); quello della trasfigurazione (Mila, ormai diventato Budda, rivela il segreto della felicità: l'assoluto distacco da ogni realtà materiale).
Sceneggiatura / Liliana Cavani, Italo Moscati Fotografia (colore) / Armando Nannuzzi Montaggio / Franco Arcalli Musica / Daniele Paris Interpreti / Lajos Balazsovits, Marisa Fabbri, Paolo Bonacelli, George Wang, Marcella Michelangeli Produzione / Lotar, RAI TV Anno di produzione / 1974 Durata / 108’ Formato / 35mm
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Pier Paolo Pasolini, «Cinema Nuovo», n. 229, maggio-giugno 1974
Che straordinaria esperienza (in parte dimenticata) vedere un film veramente bello. Il cinema appartiene allo stesso ordine della vita: per questo, mentre si vede un film veramente bello, se ne sente l'artificialità, ma, dopo averlo visto, esso si ripresenta alla memoria come una cosa reale anche se sognata. Milarepa di Liliana Cavani è uno di questi film assolutamente rari. Non lo si ricorda come un film, ma come una perfetta Geometria, in cui si sia sintetizzata e cristallizzata un'esperienza visiva vissuta nella realtà. Curiosa esperienza. Noi infatti, nella realtà, siamo condannati a vivere una "eterna soggettiva": la macchina da presa è sem-pre al nostro occhio, l'angolazione è sempre determinata dal punto dove noi ci troviamo, e il campo visivo è sempre lo spazio che ha al centro il nostro corpo. In un film, invece, il testimone oculare che vede, è padrone di tutte le angolazioni possibili ed è al centro di ogni possibile spazio. Egli può vedere contemporaneamente la madre di Milarepa nel suo villaggio e Milarepa in un monastero a cento chilometri di distanza.
L'esperienza del reale vissuta dal testimone oculare del cinema è l'esperienza di uno spirito onnipresente, ubiquo, che talvolta vede il personaggio come un oggetto, talvolta si immedesima col personaggio e si fa quindi soggetto, vedendo perciò come un oggetto il luogo che prima era il suo punto di osservazione. Chi dunque ricorda un film non come un film (che tale è, in parte, mentre lo vede) ma come un'esperienza del reale realmente vissuta, può concentrare, in un unico soggetto osservante e vivente, delle esperienze diametralmente opposte. Cioè per esempio le esperienze: di Milarepa che vede sua madre; della madre di Milarepa che vede Milarepa; del testimone ideale (la macchina da presa) che vede, tutti e due insieme, Milarepa e la madre di Milarepa. Ma nella memoria tutte queste esperienze sono fuse: e la realtà si presenta come vista contemporaneamente da infiniti punti di vista, pur non perdendo i caratteri della realtà che noi conosciamo, cioè quella vissuta da un punto di vista unico (il nostro soggettivo). Ora, mai mi sarebbe venuto in mente di fare un preambolo simile per un altro film che non fosse Milarepa. Era tanto che negli schermi non appariva un film così bello: e dove dunque fossero esaltate con tanta evidenza le qualità espressive del cinema. Non solo. Ma la Geometria che sintetizza tutti i punti di vista (vissuta e vista vivere) di Milarepa, ha come dire, tecnicamente i caratteri della visione religiosa del reale, che è appunto sempre polivalente e onnicomprensiva (lo sguardo della santità "razionale" è quello di un sublime e perfetto pittore cubista, che vede contemporaneamente tutte le superfici di una realtà oggettiva). L'andirivieni di Milarepa che cerca il sapere o un modello inaugurale di sapere attraverso cui interpretare la vita, si cristallizza nel film della Cavani in una serie di linee quasi rigidamente ritmiche: una successione di inquadrature ferme, di panoramiche per lo più irregolari (in cui si giustifica anche qualche movimento di zoom) su un mondo "profilmico" stranamente geometrico anch'esso: un Abruzzo brullo e azzurro, spesso con nuvole o nebbie vaganti su distese di rocce perdute in una solitudine particolarmente profonda.
Anche nella parte moderna, che fa da cornice e da fondamento all'esperienza religiosa di Milarepa, e che ha la funzione di renderla esplicitamente onirica, la Geometria (ripeto, tecnicamente irregolare) è perfetta. Onirica anch'essa. Un sogno su cui si impianta un altro sogno.
In cosa consiste l'esperienza religiosa di Milarepa? Letteralmente, si tratta di un'esperienza mistica classica, tipica di qualsiasi Bassa Era o Medioevo: tipica di qualsiasi cultura di un mondo agrario ristretto socialmente e magari fisicamente im-menso. Decisione di annullare la realtà, ricerca del Sé, concentramento di tutti i fenomeni fisici in un Senso unico che ne assicuri la perfetta circolarità (l'eterno ritorno) o, meglio ancora, la completa contemporaneità e identificazione; e la conseguente ritualità della vita pratica, come rinuncia, rifiuto del mondo ecc. Ma la Cavani non è sostanzialmente religiosa: essa è profondamente suggestionata dalla religione come da un fatto o pratico o estetico. Non ne sa cogliere la razionalità, oppure l'irrazionalità che sconvolge e distrugge tutto. Quasi senza rendersene conto, la Cavani ha raccontato non la vita di Milarepa, ma il suo apprendistato. Ciò ha reso il film profondamente e miracolosamente intimo. La Cavani vi ha infatti proiettato una propria immagine di adolescente ideale (che fu ed è vera) che cerca un Maestro e, attraverso esso, il Sapere: qualsiasi sapere, questo è il punto. Non importa se laico o religioso, se razionale o irrazionale, se sacro o profano, se accademico o pratico (fino magati al nozionismo o all'ammaestramento al successo). Ogni tipo di sapere è identico di fronte al ragazzo che vuole essere iniziato (e che dunque sa solo il proprio non sapere). Non per nulla Milarepa passa con una certa indifferenza, o almeno una indifferenziata ansia, da un maestro all'altro. Quando egli trova finalmente il maestro che una certa maturità, già comunque raggiunta, gli indica come il "suo" e glielo fa scegliere definitivamente, comincia la parte più straordinaria del film: la storia dei rapporti tra un ragazzo che non sa e vuole e sapere e un maestro che sa e ha paura del proprio sapere. [...] |