La guerra di Etiopia
"Oggi 5 maggio, alle ore 16, alla testa delle truppe vittoriose, sono entrato in Addis Abeba." Con queste parole il Maresciallo Pietro Badoglio telegrafava a Mussolini la fine ufficiale delle ostilità in Etiopia, costate 4350 morti, 9000 feriti e 40 miliardi di lire. Ma la guerra era tutt'altro che finita. Meno di un quarto del territorio etiopico era stato occupato. Almeno centomila soldati dell'esercito di Hailé Selassié restavano in armi. Da quel giorno cominciò una guerra segreta, senza comunicati, nascosta dalla censura, nel corso della quale restarono uccisi dieci volte più soldati che nella guerra ufficiale. Angelo Del Boca è stato il primo storico a dare una lettura molto critica del colonialismo italiano, del quale ha denunciato i crimini (uso massiccio di armi chimiche, creazione di veri e propri campi di concentramento, deportazioni e uccisioni di massa). In questo volume ricostruisce in modo dettagliato le varie fasi della campagna d'Etiopia, che fu il preludio alla pomposa proclamazione dell'Impero. Ma quel conclamato trionfo, che segnò il culmine del favore (e fervore) popolare verso Mussolini, segnò anche l'inizio di una guerra di resistenza locale che tenne impegnate le truppe italiane fino al 1941, anno in cui gli inglesi attaccarono la colonia e misero fine al sogno imperiale fascista. Un sogno breve e, nonostante le atrocità, oggi ben note dopo l'apertura degli archivi di Stato e la pubblicazione di montagne di documenti, persino "innocente".
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Recensione da L'IndiceSulla copertina, sotto il suo nome e davanti a una cartina militare del Corno d'Africa, si legge "autore di Italiani, brava gente?". Domanda retorica ma consapevole dei crimini commessi, oltre che rimando importante, dovuto a uno storico che si è mosso controcorrente, rispondendo alla rimozione della memoria coloniale con ampi e dettagliati lavori sui crimini compiuti dagli italiani in Africa. Una scia che non abbandona neppure in quest'ultimo lavoro sull'impresa coloniale in Etiopia. Le prime righe aprono lo scenario bellico con la marcia su Addis Abeba. È il 5 maggio del 1936. L'attuazione dell'ordine del giorno 572, redatto da Badoglio, prevede tre colonne: una autocarrata sotto gli ordini del generale Gariboldi, una composta da battaglioni eritrei al comando del colonnello De Meo, la terza, con quattro battaglioni, diretta dal generale Gallina. Le truppe italiane che di lì a poco entreranno nella città sono spinte dalla propaganda fascista, dal desiderio impiantato nelle coscienze italiane della vendetta di Adua, dal mito della civilizzazione. L'intento di Mussolini, chiarisce invece Del Boca, è di "scatenare una guerra di sterminio con il preciso proposito di creare larghi vuoti nel paese da riempire con milioni di italiani affamati di terre". A dimostrazione di ciò un telegramma, nel quale Mussolini dà precise indicazioni sul da farsi appena occupata la capitale: dovranno essere fucilati i sorpresi con le armi alla mano o coloro che entro ventiquattr'ore non le abbiano consegnate, i giovani etiopici autori morali di saccheggi, coloro che abbiano partecipato alle violenze. Ma anche le leggi contro il meticismo (sic), le quali dispongono che nessun italiano, militare o civile, rimanga nei territori coloniali più di sei mesi senza moglie. Renzo De Felice ignora tutto ciò o tace su questi aspetti. Vanno a vuoto i tentativi di Hailé Salassié di disattivare i meccanismi di guerra: a nulla serve la liberazione di cinque ostaggi italiani, la bandiera bianca imposta alle milizie, gli appelli lanciati dal Negus alla Società delle Nazioni. Mussolini alle 19.45 si affaccia dal balcone di piazza Venezia, urla al mondo che la guerra è finita, che la pace è ristabilita: "Si tratta – aggiunge il duce – della nostra pace, della pace romana, che si esprime in questa semplice, irrevocabile, definitiva proposizione: l'Etiopia è italiana". Gli fa eco il mondo intellettuale italiano (Fanfani, Montanelli, Marconi, Gentile, Pirandello), l'Europa e il mondo: plausi arrivano dall'Inghilterra di Churchill e Chamberlain, dal Giappone, più cautamente dagli Stati Uniti di Moore. Rimane fuori dal coro solo la Francia che, con le parole del ministro degli esteri Flandin, bolla l'impresa come "vera follia". Hic manebimus optime, motto della romanità fascista, meta di un percorso iniziato nel 1925, subito dopo l'assassinio di Matteotti. La parabola comprende la rioccupazione della Libia, l'annessione integrale della Somalia, dei sultanati di Obbia e Migiurtinia. Poi nel '29 il Fezzan, nel '31 la Cirenaica. L'anno successivo viene presentata a Mussolini la Relazione sull'Etiopia: De Bono viene incaricato di preparare l'offensiva nei confronti dell'impero etiopico. Il 5 dicembre 1934 a Ual Ual, nell'Ogaden, si accende una furiosa battaglia fra truppe italiane ed etiopi: il bilancio è di ventuno morti e sessantuno feriti tra gli italiani. Per Mussolini è un'occasione da sfruttare: lo sforzo è sia militare, sia di propaganda (si pensi alla "giornata della fede" in risposta alle sanzioni della Società delle Nazioni). Quando, il 3 ottobre 1935, De Bono varca la frontiera, iniziando così la guerra dei sette mesi, non esistono più mezze misure. Mussolini vuole l'Etiopia a ogni costo: piovono diluvi di bombe, anche su chiese e ospedali. Badoglio userà, inoltre, l'iprite e i gas asfissianti: la guerra si fa di annientamento. Non mancano scene apocalittiche come quelle descritte da Vittorio Mussolini: "Grossi fuochi tenevano lontano iene e avvoltoi, mentre i nostri soldati bruciavano cataste di abissini". Dopo aver piegato il paese, l'ultimo ostacolo sono le armate del Negus: la battaglia di Mai Ceu si conclude con una ritirata etiope dopo quattordici ore di operazioni militari. "Tutti innocenti, tutti assolti": De Bono, Badoglio, Graziani, gli alti gradi militari, ma soprattutto Mussolini. Dice Del Boca: "Non ci sarà una Norimberga africana", nonostante i crimini di guerra, 350 tonnellate di gas mortali che hanno causato 17.000 morti, stragi e fucilazioni sommarie, 300.000 morti in battaglia, 24.000 patrioti fucilati, migliaia sterminati nei campi di concentramento. Dietro all'idea di impero si cela la vera matrice del fascismo, che alla discriminazione fece seguire l'eliminazione culturale e fisica. Londra e Washington hanno esercitato pressioni perché non fosse istituita un'istruttoria internazionale, perché questa tragica pagina di storia terminasse, conclude Del Boca, "nel silenzio e nella rimozione". Gabriele Proglio |