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22/11/2024 13:34:33

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Luoghi selvaggi

In viaggio a piedi tra isole, vette, brughiere e foreste

Macfarlane Robert


Europa
Inghiltera
Irlanda


Titolo originale

Luoghi selvaggi. In viaggio a piedi tra isole, vette, brughiere e foreste

Lingua originale

Lingua - language - langue

italiano

Traduttore

Sacchi D


Luoghi selvaggi Luoghi selvaggi  

Esistono ancora luoghi veramente selvaggi? Luoghi sconfinati, isolati, elementari, splendidi e feroci, che seguono leggi e ritmi propri, incuranti della presenza umana? E se mai sopravvivono, dove cercarli? Dopo aver fantasticato fin da bambino sui luoghi selvaggi della letteratura, Robert Macfarlane - appassionato alpinista, critico letterario e professore a Cambridge - intraprende una serie di viaggi alla ricerca della natura selvaggia ancora presente in Scozia, in Inghilterra e in Irlanda. E quella che traccia è una mappa della selvaticità che luogo dopo luogo - dalle isole Skelligs alla vetta del Ben Hope, dalla mitica Rannoch Moor alla spiaggia di Orford Ness - si trasforma sotto i suoi stessi occhi in un vero e proprio romanzo di formazione, segnato da incontri e addii, da scoperte e sorprese. Seguendo le orme dei padri del deserto, dell'epica nordica, dei grandi "narratori" dell'incanto della natura (Thoreau, Muir, Coleridge, ma anche Calvino, W. H Murray e l'amico Roger Deakin), degli scienziati affascinati dal mistero delle diversità e delle analogie, Macfarlane si avventura in prima persona fuori dagli angusti confini del noto e del domestico e traccia un nuovo itinerario, personale e profondo, in territori di pietra, di legno e di acqua, che scopriamo con lui straordinariamente vivi, sconosciuti e raggiungibili.

 


Recensione in altra lingua (English):

Are there any genuinely wild places left in Britain and Ireland? That is the question that Macfarlane poses to himself as he embarks on a series of breathtaking journeys through some of the archipelago's most remarkable landscapes. Illustrated.



Recensione in lingua italiana

CARTOGRAFIE VISSUTE

Alla ricerca della bellezza, possibilmente incontaminata, si immola nei suoi viaggi Robert Macfarlane, autore di Luoghi selvaggi. In viaggio a piedi tra isole, vette, brughiere e foreste (Einaudi, 2011, pp. 322, euro 21). Macfarlane inizia con una classica constatazione di morte della natura selvaggia, ormai scomparsa dalle carte geografiche, per abbandonare poco a poco il genere della lamentazione e trascinare il lettore in una serie di avventure che rimanda, almeno idealmente, ad atmosfere alla Huckleberry Finn.
Con piglio di studioso e di esploratore al tempo stesso, si addentra in scenari naturali della Gran Bretagna e dell'Irlanda nei quali l'uomo non ha ancora assunto un ruolo prevaricatore, riuscendo con perizia a divincolarsi non solo tra temporali e notti all'addiaccio, ma pure tra gli stereotipi che vorrebbero ridurre il «selvaggio» a qualcosa di ostile, oscuro, infestato da creature mostruose e contrapposto alla civiltà dei lumi, oppure ad un mirabile regno del prodigio e della fecondità, paradiso perduto di cui tessere le lodi.
La sua idea iniziale di una natura selvaggia «disumana, nordica, remota» si sgretola al contatto con il terreno reale, con la consapevolezza che non esistono più valli o isole o selve che non siano state visitate, lavorate, abitate negli ultimi cinque millenni: «umano e selvaggio sono indivisibili». E se il suo intento è quello, come dichiarato in esordio, di tracciare una mappa da contrapporre all'atlante stradale, Macfarlane centra l'obiettivo, ricordandoci che la cartografia premoderna era un'attività fondata sulla conoscenza e sulla supposizione, e che oggi, nonostante la tecnologia, nessuna rigorosa mappa-griglia può dirsi esaustiva, perché riduce il mondo a un elenco di dati. Opta dunque per una mappa-racconto, una cartografia parlata atta a descrivere i paesaggi insieme agli uomini che li hanno vissuti e agli eventi che vi sono svolti. Un ottimo libro, scritto in una lingua ricca e precisa, che sollecita ciascuno di noi a scorgere la selvaticità nelle aree intermedie, nei margini, dietro alle fabbriche abbandonate, e a farsi, al di là delle inevitabili approssimazioni, «cartografo dei propri campi».
Camminatore esperto e accorto è anche Luca Gianotti, autore de L'arte del camminare. Consigli per partire con il piede giusto (Ediciclo, 2011, pp. 151, euro 14,50), un manuale «rivolto sia a chi non ha mai camminato per più di una giornata, sia a chi già lo fa e vuole aggiungere o sottrarre qualcosa al proprio bagaglio». Gianotti alterna indicazioni tecniche a spunti di riflessione, rifuggendo in tal modo il rischio, frequente nei libri di questo tipo, di stilare delle classifiche - nel cammino tout se tient. Il trattamento delle vesciche, la preparazione dello zaino, l'alimentazione corretta, la scelta delle scarpe e dei vestiti, l'uso della tecnologia, sono rilevanti quanto la ricerca di «una condizione in cui tutti i sensi sono pienamente compresenti e partecipi», la sfida che, se vinta, trasformerà il nostro passo incerto nel «sigillo di un imperatore», fermo e delicato al contempo.
L'arte del saper andare non può esistere senza l'arte del saper fare ritorno, il «coraggio di alzare i tacchi» quando si è raggiunto un limite che metterebbe in pericolo la nostra vita: ci vuole coraggio a non arrivare sulla vetta, dice Gianotti, rievocando una scalata di Reinhold Messner conclusasi a pochi metri dalla punta di una delle montagne più alte dell'Himalaya, di contro alla scomparsa, tra gli Appennini, di un amico che «ha superato quel punto che non si dovrebbe superare mai, il punto di non ritorno». Lasciare a casa le ansie della quotidianità, accettare gli imprevisti, dotarsi di spirito di adattamento, valorizzare l'incontro con le persone che vivono nei luoghi in cui passiamo, apprezzare il silenzio, non avere fretta, perché il cammino non è una competizione: si conclude così, con un decalogo, un libro che - come scrive Wu Ming 2 nella prefazione - «può curarci lo sguardo».

Luigi Nacci - il manifesto 21/09/2011
La quieta ribellione del camminatore