Con Le strade dell'uomo Ted Conover, finalista per il Premio Pulitzer nel 2001 e collaboratore di alcune delle più prestigiose testate americane, come il "New York Times" e il "New Yorker", offre al lettore un grande esempio di reportage di viaggio, un genere nel quale gli scrittori statunitensi sono maestri, a patire, almeno, da John Steinbeck.
Da sempre sulle strade non viaggiano solo merci, persone e, come la storia insegna, soldati e armi, ma anche stimoli e fermenti. Il libro non si propone di dimostrare questa tesi piuttosto evidente. In linea con il genere letterario al quale appartiene, invece, racconta fatti, idee e condizioni umane in presa diretta, perché l'autore si pone allo stesso livello della materia che racconta. Una materia che egli stesso ha incontrato andando in giro per il mondo. Composto da sei reportage che possono essere letti in modo autonomo, il volume è dunque una ricognizione delle esperienze che si vivono on the road, ma anche delle dimaniche sociali che tali esperienze mettono in evidenza. Ted Conover non ha però, in tutto questo, l'atteggiamento del sociologo. Non ricava leggi universali osservando i fenomeni, ma li vive in prima persona e li consegna alla carta.
Nel primo capitolo, per esempio, segue il viaggio di un ipotetico carico di mogano dalle foreste del Perú, raccontando la vita durissima dei trasportatori delle Ande, fino al lussuoso appartamento di Park Avenue dove quel legno viene utilizzato senza alcuna consapevolezza del suo travagliato cammino. In un'altra sezione, ancora, Conover racconta l'umanità dolente che accompagna i camionisti del Kenya nei loro viaggi verso l'Uganda e che li vede protagonisti più o meno inconsapevoli della diffusione dell'AIDS. In definitiva, il tratto che sempre accomuna i diversi momenti del libro è l'approccio dell'autore, che affida alla pagina il frutto di ampie, appassionate e non comuni esperienze. La descrizione dei paesaggi e degli ambienti, quasi sempre lontani dalle rotte turistiche più battute, non è mai fine a se stessa, ma serve a creare il contesto. La strada diventa così una grande lavagna sulla quale la vita traccia segni netti e duri. Segni che Conover racconta e decifra, guidandoci nel polveroso caos delle strade di Lagos o lungo quelle frenetiche della Cina in violenta espansione economica. Sarà poi l'efficacia della cronaca a permettere di trarre dal libro alcune suggestive declinazioni di ciò che il tema della strada rappresenta. Nell'epoca di internet e delle telecomunicazioni, il valore fisico e tangibile delle vicende umane torna a imporsi proprio in viaggio. Che questo avvenga lungo una highway degli States o sull'asfalto sconnesso di un'ubriacante carrozzabile andina poco importa. La strada, madre di tutte le cose - come forse pensavano gli epici protagonisti dell'esodo all'Ovest lungo la Route 66, la mother road di una generazione - si rivela un'arteria capace di veicolare linfa ed energia vitale.
Anche in negativo, quando diventa vettore di conflitto e contagio (come nel caso dell'AIDS in Africa), o quando la sua assenza segna l'emarginazione od offre il destro per altre significative avventure - per esempio sulla superficie ghiacciata di un fiume in Ladakh (nel capitolo "Fuga da Shangri-La") -, ancora una volta alleata della più che umana ricerca di un futuro migliore.
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